31/12/10

[Free music for punx]
CAPITE DAMNARE (Anarcopunk, Milano/Verona, Italy) - Capite Damnare (tape - Italy 1988)
"Noi porteremo veleno alla cena del Signore, saremo i lupi nel gregge di pecore, le streghe, gli eretici, l'anticristo. Il serpente attorcigliato alla croce, la mela avvelenata. Un'insidia...".
[Puj] Nulla sapevo dei Capite Damnare, band anarcopunk milanese dei tardi anni '80, finché non entrai in possesso (grazie Marky!) di questa meravilgiosa
ristampa della loro prima ed unica cassetta registrata nel 1988. Il cd, curato da alcuni amici friulani, ripropone integralmente il booklet originale a sfondo fantasy con testi e commenti, che é davvero stupendo e che ho inserito in .jpg nell'archivio che potete scaricare da qui sotto, assieme ai nove pezzi (8 da sudio e uno live), l'intera produzione di questa band (finora) dimenticata.
Il sound ricorda gli Antisect, ma naturalmente anche alcuni grandi gruppi
anarcopunk italiani dell'epoca, come Contropotere e Contrazione, con momenti folkeggianti; brano più audace é "They say: it's safe", per sola voce, nel quale la cantante Katia s'ispira evidentemente alla musica tradizionale gaelica. C'è spazio anche per una canzone sulla Milano craxiana dei tempi, intitolata "Milano europea": "...Fermati un attimo, prova a pensare / crea aggregazione contro il ritmo inumano, contro l'annientamento...".
La band scriveva testi radicali piuttosto riusciti, di una
complessità mediamente al di sopra degli standard compositivi di allora, e che meritano una lettura attenta. Dato che li trovate tutti nel booklet, non aggiungo altro. Buon ascolto!

>>> Download CAPITE DAMNARE tape in .mp3 + complete art scan (.rar - 99 mb.)

16/12/10

[Kalashnikov collective live! archive]
16 ottobre 2010 @ Villa Vegan, Milano + Ebola, Warpath, Anxtv, Extirpation


15/12/10

[Free books for punx]
Hakim Bey - Millennium: dalle t.a.z. alla rivoluzione (1997)
[Pep] Nel 1997 Hakim Bey, autore del discusso “T.A.Z. Zone temporaneamente autonome”, presenta al pubblico italiano una raccolta di quattro saggi inclusiva di una lunga e significativa intervista ad opera di David Endler, Jack Hauser e Christan Loidl. Scegliendo l'impegnativo titolo complessivo di “Millennium” e situando il proprio discorso teorico nello scenario “oggettivamente pre-rivoluzionario” del mondo contemporaneo, il pensatore libertario statunitense, attraverso la pratica sovversiva di una scrittura visionaria e disorientante, conduce il lettore alla ri-scoperta del concetto di rivoluzione: riconfigura così il proprio immaginario politico, storicamente incentratosi sulla figura dell'insurrezione, ossia su di una dinamica di resistenza al capitalismo radicata nelle contingenze situazionali e priva dello sguardo globale (cui si correla il rischio implicito di gerarchizzare i vari livelli dell'azione e della militanza) proprio della dinamica rivoluzionaria. Quest'ultima, nella rilettura di Hakim Bey, appare un percorso di riemersione della differenza (con particolare riferimento a quella localistica, da riaffermarsi in una logica secessionista) nell'ambito del mondo pan-capitalista, generatore di un inesorabile processo globale di unificazione dell'esistente nell' Impero dell'Immagine, il non-luogo virtuale nel quale si compie l'abolizione dell'im-mediatezza e del desiderio, attraverso la sostituzione di quest'ultimo con la sua alienata immagine. Hakim Bey invoca il ristabilimento neo-pagano dell'incoercibile regno della Natura Selvaggia, annientata dallo sguardo biofobico e mediatore del pancapitalismo spettacolare, configurando la creazione di differenze che trovino la propria condizione ontologica nella non-rappresentabilità, in un quadro politico che vede la neutralità abolita. La decadenza del mondo bi-polare degli anni Ottanta a favore del monopolarismo capitalista rende, infatti, impossibile la terzietà di una posizione che pratichi un'equidistanza tra i due sistemi valoriali in gioco: tale era stata la posizione anarchica rispetto a capitalismo e comunismo, in particolare nella versione spiccatamente anti-ideologica che Hakim Bey ne aveva dato in “Zone temporaneamente autonome”. Non ci resta quindi che intraprendere il percorso della doppia Jihad: la lotta maggiore contro il potere interiore e quella minore contro il potere esteriore, nel rilancio di un progetto che trovi la sua realizzazione territoriale nella riproposizione del federalismo anarchico contro il paradiso delle immagini, l'al di là dello schermo, regno apparentemente ineludibile quanto radicalmente trascendibile dell'assenza e dell'alienazione pan-capitalista. [Nel disegno: Hakim Bey].

>>> Download Hakim Bey - Millenium in .pdf (32 mb.)

10/12/10

[Punk uzbeko]
Dal nostro corrispondente da Tashkent, Uzbekistan...
[Puj] Nei primi anni di attività del gruppo non ci sbattevamo granché per suonare dalle nostre parti, usavamo piuttosto la nostra musica per entrare in contatto con i punx che vivevano lontano, lontanissimo, possibilmente dall’altra parte del mondo. E non intendo negli Stati Uniti, in Australia o in Giappone, ma nelle zone più “culturalmente” remote del pianeta. Quelle nelle quali non ci si immagina che il punk d.i.y. possa essere mai arrivato.
Fu così che, un po’ di anni fa, ci capitò di intrattenere una corrispondenza con un punk anarchico dell’Uzbekistan, una di quelle ex-repubbliche sovietiche che nessuno sa bene dove stanno: “Salom
Urtoklar! Come state? Qualche parola sul paese in cui vivo! L’Asia Centrale divenne parte dell’impero russo a metà del diciannovesimo secolo e dal 1922 al 1991 fece parte dell’Unione Sovietica. E’ diventata poi una regione “indipendente”. Dopo aver ottenuto l’“indipendenza”, l'Uzbekistan è stato guidato da un ristretto gruppo di persone: una specie di mafia. Il Presidente Islam Karimov ha i media e la tv nelle sue mani. E’, come dire, un mini-“duce” [disegno della svastica, ndr], con le stesse idee e gli stessi modi. Ci sono molti partiti politici nel paese, ma nessuno vuole fare opposizione al Presidente – sono come un gregge di pecore. Solo i fondamentalisti mussulmani sono considerati oppositori, ma le loro organizzazioni sono state distrutte durante la repressione degli anni ‘99, 2000 e 2001. In questo modo, con la scusa di combattere il terrorismo, è diventato molto popolare andare contro il diritto di manifestare e arrestare le persone che criticano apertamente il governo. E’ per queste ragioni che non posso spedirvi nulla della locale scena punk: alcuni pazzi degli uffici postali uzbeki sostengono che i cd e le cassette devono essere preventivamente ascoltate per controllare che non contengano informazioni compromettenti. Fanculo alle poste uzbeke! Riguardo alla scena punk di Tashkent [la capitale dell’Uzbekistan, ndr], è triste per me constatare che praticamente non esiste. Conosco solo tre-quattro gruppi che suonano. Ma non sono granché attivi. Ci sono i Dictatorshit (R.I.P.) che facevano crust/grind politico, i Petlyia (h.c.) e i Tupraticons che fanno ska-punk (ma non sono punk, amano un casino i soldi…). La maggior parte dei punk di Tashkent appartengono a gruppi apolitici, e se in tutto il mondo il punk è sinonimo di lotta contro il governo, tutela dell’ambiente e uguaglianza dei diritti, qui nella ex-Urss punk significa alcool, sex pistols e t-shirt. La politica non è certo tra gli obiettivi dei punk. Ad ogni modo, qui ci sono anche persone che la pensano diversamente...
Per finire, ho un sugger
imento da darvi: non organizzate manifestazioni di protesta nei pressi dell’ambasciata uzbeka a Milano, perché l’Uzbekistan è un paese nel quale i diritti umani vengono violati ogni giorno. Vi auguro fortuna! P.S.: la prossima volta proverò a mandarvi qualcosa del punk locale…” .
La succesiva corrispondenza del nostro amico uzbeko credo sia stata bloccata dai postini pazzi di cui si parlava sopra, considerato che non ricevemmo mai più sue notizie. Ma niente paura, perché la solita Tian An Men records di Parigi ha curato nel 2006 una notevole raccolta su lp del punk uzbeko, che è naturalmente in mio possesso…

[Free music for punx]
AA.VV. - Paxta-core: underground Uzbekistan (LP/tape - Tian An Men 89 records 2006)
[Puj] Non c'é molto da aggiungere alla descrizione della situazione politica uzbeka fornitaci dal nostro corrispondente punk: ancora oggi la fa da padrone il presidente Karimov, vecchio burocrate dell'epoca sovietica.
Una cosa che il nostro amico uzbeko non poteva raccontarci (semplicemente perché non ancora verificatasi!) è la terribile repressione della primavera 2005, allorché violentissime manifestazioni di protesta scoppiarono nella città di Andijan, nella regione di Ferghana, in seguito alle iniziative antiterroristiche dello Stato, che portarono all'arresto di 23 cittadini accusati di essere integralisti islamici. In seguito alla rivolta, i soldati spararono sulla folla uccidendo almeno nove persone. I dimostranti per ritorsione presero in ostaggio trenta persone. La repressione del Presidente, poi estesa in tutto il paese, si ritiene che abbia causato molte altre vittime, non conteggiate negli elenchi ufficiali...

Fatto sta che, in un paese con questi problemi, considerato tra i meno sviluppati al mondo, nel quale é largamente praticato il baratto e la cui valuta non é convertibile in nessun'altra (ovvero é carta da culo), incredibile, esiste una scena punk! Negli ultimi anni, a Tashkent, sono stati organizzati molti festival rock che hanno ospitato anche qualche band classificabile come punk. Occorre però sottolineare alcune cose: prima di tutto, come sempre accade in paesi desolati come questi, anche in Uzbekistan esiste un'enorme differenza tra la capitale e il resto del paese; di conseguenza, la scena musicale é concentrata in città e interessa un pubblico molto limitato, ovvero la nuova borghesia figlia della speculazione capitalistica post-sovietica. E' triste, ma é così. Secondo, non tutti i gruppi inclusi nella compilation "Paxta-core" possono essere considerati punk, ma sono più che altro gruppi rock che, suonando male, risultano decisamente punk...
Detto questo, si parte con il punk-rock stonato dei Tupraticons, che il nostro amico uzbeko non riteneva essere un gruppo genuinamente punk perché interessato al business. Bisogna ammettere però che "Nonna KGB" é un gran titolo! La successiva "Degenerate" é invece un coraggioso incrocio tra disco-punk e liscio da balera. I Brogen Bogen si cimentano in uno ska-core davvero flaccido e sbilenco nel pezzo "Strade malfamate", mentre gli
Слезы Солнца (Lacrime del Sole, dall'omonimo film con Bruce Willis!) non suonano punk, ma un fantastico rock sovietico con tastiere e sintetizzatori! E' l'unico gruppo della compilation del quale sono riuscito a recuperare qualche info: "Ci siamo formati quasi per caso. Io [Nikita] un giorno ho incontrato un mio amico e gli ho chisto se voleva formare una band con me. Gli ho chiesto: che strumento suoni? Quello mi ha risposto: la fisarmonica. Beh, gli ho detto io, allora suonerai il basso. Poi é arrivato Pasha, il batterista. Al ché il gruppo era al completo, ed é iniziata l'epopea dell'acquisto degli strumenti: il basso lo abbiamo costruito con pezzi di vecchi strumenti rotti, la batteria l'abbiamo comprata al mercato di Tashkent per 40 dollari. Abbiamo poi recuperato alcuni cavi jack di seconda mano. Solo che erano tutti lacerati e aperti, quindi abbiamo comprato anche un saldatore e del nastro adesivo. Abbiamo iniziato a suonare facendo qualche cover, tipo Smells like teen spirit e Nothing else matters... solo che suonare Nothing else matters e cantarla contemporaneamente era troppo difficile per me, quindi abbiamo preso Elias, un chitarrista ritmico. Con questa formazione abbiano fatto il primo concerto al Festival dello Studente dell'Istituto di Irrigazione e Meccanizzazione dell'Agricoltura di Tashkent. Non andò granché bene, soprattutto per l'incompetenza degli organizzatori...".
Hardcore Opa e Red Aktsiya suonano un h.c. vecchio, sudicio e approssimativo, mentre i Bgmoltsy I Groboverzhtsy
un post-punk imperscrutabile e pauperistico, ma interessante. Chiudono i Сучий Потрох (Frattaglie di cane) con "Corpo morto" e "Mio caro" (terrificante garage psichedelico registrato il peggio possibile) e gli Skisserz, che invece si cimentano in un folk-punk mediorientale, davvero borderline. Buon ascolto!

>>> Download AA.VV. - Paxta-core: Uzbekistan Underground in .mp3 (.rar - 83 mb.)

09/12/10

[Punx in Armenia]
NATO (old punk from Yeravan, Armenia) - Ռոլսավան Ռոք: Շիշավոիվաժ Է Հայաստանում ("Russian rock bottled in Armenia") (e.p. 1993-94)
[Puj] Dopo il punk nepalese? Il punk armeno. L'Armenia é una regione povera e montagnosa, senza sbocco sul mare, incastrata tra la Turchia, la Georgia, l'Iran e l'Azerbaijan. Un tempo parte dell'Unione Sovietica, nel 1991 l'Armenia ottiene l'indipendenza, ma eredita dal passato un annoso conto aperto con i vicini azeri per il controllo di una zona di confine. Nei primi anni novanta, l'Armenia é un paese stremato dalla guerra contro l'Azerbaijan e la sua economia risulta pesantemente danneggiata dai blocchi commerciali che i due paesi impongono l'uno all'altro. Malgrado la povertà e la situazione d'instabilità che attraversa il paese, nel 1993, un gruppo di vecchi punk armeni trova il modo di incidere un disco e di farlo pubblicare in Europa.
Il disco in questione é l'e.p. "Rock russo imbottigliato in Armenia" dei Nato, provenienti dalla capitale Yeravan. Fu stampato nel 1994 da una piccola casa discografica d.i.y. francese, la Tien An Men 89. Chi (come me) ama l'inconfondibile, eroico sound dei vecchi gruppi punk sovietici (Grazhdanskaya Oborona, Spinki Menta...) non potrà che gioire all'ascolto della musica scalcinata e disperatamente lo-fi dei Nato. Il loro é il classico sound della provincia russa, con le chitarre che fanno pietà, la batteria di cartone e un songwriting unico, capace di mescolare reggae, punk, musica tradizionale russa e poetica fatalista tipicamente sovietica. I Nato, di loro, ci mettono una massiccia dose di tastiere ridicole e un feeling da balera bulgara, il che li rende fuori moda più che mai, nonché adatti esclusivamente ad un pubblico di veri pervertiti musicali (come me).
I loro testi non sono per nulla politicizzati, dipingono piuttosto miserabili spaccati di vita, nel segno del tipico humor alcolico e nichilista dei russi, che solitamente non fa ridere, bensì piangere. L'esordio di "Senza Pantaloni" é particolarmente significativo: "Non posso regalare dei fiori alla mia ragazza perché una rosa costa 5000 rubli, quindi, avanti, beviamo vodka... dov'é il mio bicchiere?". "Pene" invece racconta una squallida storia di sesso: "L'ho incontrata in un parco e controvoglia le ho detto: "ti amo" / Lei ha detto: "Sì, ok. Avanti Sergey, portami a casa" / Lei ha detto: "Muoviti, accendi la tua Harley!" / E un'ora dopo il mio motorino é partito...".
Oggi i componenti del gruppo vivono in esilio a Mosca e, naturalmente, la band non esiste più. Enjoy the armenian taste!

>>> Download NATO - Russian Rock Bottled In Armenia e.p. in .mp3 + complete art scan (.rar - 27 mb.)

08/12/10

[Punx from Nepal]
RAI KO RIS (Kathmandu anarcopunk!)
[Puj] A Parigi, lo scorso settembre, abbiamo suonato assieme ad Olivier (batteria) e Sareena (chitarra e voce), ovvero l'anarco-punk duo dei Rai Ko Ris, la cui provenienza lascia esterrefatti: Kathmandu, Nepal!
La Repubblica Federale Nepalese si trova tra Cina ed India ed é universalmente nota come meta turistica (entro i suoi confini sorgono le montagne più alte del mondo), ma anche come paese poverissimo: circa la metà della popolazione nepalese vive con meno di un dollaro e mezzo al giorno.
Alcuni audaci promoter danesi ha
nno invitato Sareena e Olivier in Europa, pagando loro il bilgietto aereo di andata e ritorno, così i due ne hanno approfittato per fare un breve tour. Conoscevamo i Rai Ko Ris via lettera già da molto tempo e per tutto questo tempo ci siamo chiesti come diavolo potesse esistere una punk band in Nepal... per giunta dal 1997!

La s
toria della band, come si può ben immaginare, non é quella di un gruppo di adolescenti annoiati dei bassifondi di Kathmandu che imbracciano gli strumenti per urlare la propria frustrazione. Ovvero, non è la storia di una qualsiasi punk band occidentale. La verità é che Sareena e Olivier hanno vissuto per anni in Europa ed é da lì che hanno importato la cultura punk anarchica in Nepal. Olivier, lo si capisce senza grandi difficoltà, non é di origini asiatiche: é francese, ha 47 anni e si é trasferito in Nepal una quindicina di anni fa. Le cause della fuga? "Ehi no, aspetta! Io non sono fuggito dalla Francia, sono stato bene lì, suonavo la batteria e mi facevo gli affari miei... Mi sono solo imbattuto in un altro posto nel quale mi sentivo meglio dentro di me, più accettato. Così sono rimasto lì a vivere con quelle persone. Sai, queste parole come "Francia" e "Nepal" non significano molto per me... Hai ragione, probabilmente è perché l'Himalaya era ed é una realtà meno capitalista rispetto all'occidente che mi sono sentito meglio qui...".
Quando gli chiediamo se si sente di aver rinunciato a qualche privilegio lasciando l'occidente, s'incazza: "Privilegi? Non so di che privilegi parli! Proprio il fatto di essere "bianco" è un enorme privilegio in Nepal e davvero molti "bianchi" ci vivono, molti di loro presumibilmente per "aiutare" il popolo nepalese. Se volete, in Nepal, si può realmente ottenere uno status che non si può ottenere in occidente. A volte non capisco le persone che sembrano essere prigioniere della loro nazionalità e delle cosiddette culture, tradizioni o radici".

L'aspetto di Sareena é invece, senza dubbio, quello di un'affascinante ragazza himalayana, ma parla perfettamente inglese. Scopriamo infatti che ha trascorso l'adolescenza in Inghilterra: "Mio padre era un ragazzo dalle montagne. Gli inglesi cercavano forti, tenaci, incolti uomini nepalesi che vivevano sulle montagne, per reclutarli nell'esercito britannico. Questi soldati, conosciuti come Gurkha, sono ancora oggi mercenari nepalesi al soldo degli inglesi. Mio padre venne giù dalle montagne ed entrò nella brigata dei Gurkha per motivi economici. Fece carriera fino a diventare ufficiale, un rango abbastanza elevato per un nepalese, e poté garantire a sua figlia un'educazione esclusiva: mi spedì in un vecchio, decrepito collegio inglese! Dall'età di otto anni fino ai sedici (dal 1981 al 1989) ho frequentato una di queste scuole cristiane, lontano dalla famiglia e dal Nepal. In generale, come altri giovani nepalesi che sono stati spediti in Inghilterra a studiare, ho un ricordo molto negativo del mondo occidentale. Forse ero solo una ragazzina e volevo solo suonare rock con la chitarra. Sai, non era un granché crescere in un collegio inglese nel bel mezzo della campagna, durante il governo della Thatcher. Un periodo di merda, direi!".
I soldati della brigata Gurkha rappresentano tutt'oggi un'elite in Nepal: sono militari inglesi a tutti gli effetti e percepiscono uno stipendio impensabile per un nepalese. Tra l'altro il governo britannico concede a tutti i Gurkha fuori servizio la cittadinanza inglese così da favorirne il trasferimento in terra britannica (anche perché, così facendo, gli ex-militari possono spendere in Inghilterra le sterline guadagnate in anni di servizio!). Alla luce di tutto questo, la scelta di Sareena di tornare in Nepal, rifiutando le opportunità di una vita in Europa, lasciò sicuramente contrariati i suoi genitori: "Sono tornata in Nepal non appena fui abbastanza grande da prendere le mie decisioni, contro ciò che mio padre e mia madre pensavano fosse giusto per me. Ad esempio, un radioso futuro nel "mondo occidentale"... Molti dei miei amici nepalesi sono rimasti in Inghilterra, e questo li fa sentire dei privilegiati. Pensano che il Nepal sia un posto senza uscita. Io invece amo la vita in Nepal, rispetto a quella in Europa. Sto cercando di liberarmi di ciò che ho imparato stando in occidente, che mi é stato cucito addosso durante il periodo della mia educazione. Lo stesso vale per Olivier".

Il Nepal forse non é un "dead end place" come dice Sareena, ma é sicuramente un paese in cui si sta creando un notevole gap socio-economico tra la gente che vive nelle aree rurali e gli abitanti della capitale. Kathmandu, ci spiega Olivier, è il cuore del nuovo business globalizzato: "La città é piena di centri commerciali... è divertente vedere i contadini capitare in uno di questi negozi alla moda occidentale e fare incazzare il proprietario perché non hanno la minima idea di come ci si comporti in un posto del genere! Il governo ha abbandonato ogni progetto di rivalutazione delle campagne e la gente che vive nelle aree rurali si sposta all'estero, per lavori miseri e mal retribuiti. Tutta la ricchezza della nuova borghesia di Kathmandu non aiuta il Nepal, perché serve solo a comprare beni importati, che fanno la fortuna degli indiani, dei cinesi e delle multinazionali occidentali".
Dopo anni di scambi con la scena punk d.i.y. europea, nel 2004, Olivier e Sareena hanno deciso di aprire un infoshop a Kathmandu, con dischi, video, libri e materiale informativo sulla cultura punk d.i.y., ma anche come luogo di incontro per la gioventù cittadina dove organizzare feste e concerti. Nell'ultimo anno, però, stufi di pagare l'affitto al proprietario, hanno chiuso l'infoshop e l'hanno trasferito fuori dalla città, in campagna, nel villaggio dove vivono. Hanno deciso di trasformarlo in qualcosa di più utile per la comunità, organizzando attività per i bambini e per le donne delle campagne.
Dopo aver cercato di catalizzare
un'embrionale scena punk nella capitale, sembra che Olivier e Sareena si siano un po' disillusi sulle potenzialità del punk come forza di cambiamento e maturazione politica per le nuove generazioni nepalesi: "Finora in Nepal non c'è stata un'altra band di punk politico, oltre ai Rai Ko Ris, che abbia fatto uno show quasi ogni mese e sicuramente ogni anno dal 2000 ad oggi - dice Sareena - e credo che questo abbia a che fare con il fatto che io e Olivier abbiamo fatto una scelta di vita, da quando eravamo bambini, che abbiamo rifiutato di vivere una vita repressa e capitalista, che non abbiamo scelto la via più facile (o forse la più difficile: la famiglia, la religione, la schiavitù dal lavoro, la casa, e tutto il resto), e abbiamo cercato di fare ciò che ci ha resi felici. Qui così tante persone voltano le spalle alla felicità, proprio come nel mondo occidentale capitalista. Non fraintendere: non siamo affatto orgogliosi di essere l'unica punk band politica in Nepal! Siamo tristi che non ci siano altre persone che hanno scoperto la felicità attraverso l'autogestione, l'auto-organizzazione... le gioie dell'anarchia! Ultimamente ci siamo avvicinati a persone che hanno una mentalità simile alla nostra, e che non sono i punk, bensì i contadini! Ce ne sono tanti nel nostro paese, sulle altrure del Nepal. Non sono persone perfette, ci sono molti aspetti negativi nella loro società, ma hanno un atteggiamento migliore rispetto alla gente della città. Sono più punk dei punk! E le donne sono così forti, ad ispirazione mi danno calci nel culo! E sanno anche come rilassarsi e stare bene. Questo è il mondo dal quale i Rai Ko Ris traggono ispirazione...".

Per quanto riguarda i pochi punx nepalesi, il giudizio di Sareena non é tenero: "In Nepal, c'é qualche punk band. Principalmente molto street-punk o hardcore, nu-metal e cose così. Ci sono sempre due o tre bands che cercano di andare avanti, ma poi si sciolgono o non suonano per mesi o anni. Ci sono molte ragioni per cui nel nostro paese non si riesce a tenere in pedi una band duratura: i componenti si stufano perché in Nepal non c'é una fottutissima scena punk, o perché non girano soldi (ahahah! per la verità questa è la regola universale del punk, occorre abituarsi!), oppure perché iniziano a lavorare. Personalmente, preferirei morire di fame che dire stop alla mia band! Molti ragazzi che suonano, ad un certo punto, lasciano il Nepal per andare all'estero per lavoro o studio. Dobbiamo capire che trasferirsi in occidente é l'unico modo per molti giovani di 'arrivare lontano', e di non doversi più confontare con la famiglia, la tradizione: diventare 'indipendenti', insomma.
Da parte mia, posso dirti che molte di queste motivazioni per sciogliere una band sono solo scuse. Se hai a disposizione soltanto la musica e questa è abbastanza per farti stare bane, anche se sei povero, anche se hai un lavoro, anche se la tua famiglia ti respinge, non c'é ragione di smettere. E' come innamorarsi: niente ti fermerà. Recentemente ci piaceva molto un gruppo chiamato Youth Unite, che veniva dal sud di Kathmandu, anche se erano i soliti ragazzi dai capelli spikey in stile moicano che vivono ancora a casa loro genitori. Hanno registrato sette canzoni veramente buone, nel tipico stile street punk, in nepalese e con testi abbastanza politicizzati. Abbiamo registrato i pezzi a casa nostra, per il loro primo demo. Il cantante (che suona tutti gli strumenti, ma ha deciso di cantare per accontentare tutti gli altri che volevano suonare gli altri strumenti nella band!) mi é sembrato un ragazzo con una mente acuta e molto politica. Il gruppo però si é sciolto perché alla fine nessuno degli altri componenti della band ha condiviso le sue aspirazioni, la sua voglia d'iniziare qualcosa, di essere attivi, di seguire un percorso politico, anziché limitarsi ad avere un taglio di capelli à la Casualties e parlare in modo "punk". Ora ha avviato una band con noi. Vediamo come va...
In questi anni, abbiamo incontrato tanti giovani, ma in Nepal nessuno può davvero sopportare la ribellione per troppo tempo, alla fine tutti tornano alle sicurezze della tradizione. Vi è anche un grande divario generazionale: il ragazzo di cui ti parlavo ha 22 anni, io 37 e Olivier 45. E 'sempre così: nessuno della nostra età ascolta punk politico in Nepal. Molti, davvero molti ragazzi asiatici amano la moda punk e il lato ribelle del punk. Prim'anc
ora della musica. Il punk interessa soprattutto ai ragazzi che vogliono apparire un po' ribelli.
Come donna, tra l'altro, non trovo molto bello quello che ho visto nella scena punk nepalese. Troppo testosterone, troppo machismo. Per poi tornare tutti dalla mamma per cena! La società nepalese é molto patriarcale. Personalmente ho fatto una scelta consapevole, quella di lasciare la casa appena sono stata abbastanza grande da poterlo fare. Il modo nel quale ho vissuto e il modo in cui continuo a vivere é visto come un enorme tabù nella società nepalese. Io ho detto "vaffanculo" e ho cercato di vivere in una comunità dove mi accettano per quello che faccio, non a causa del mio aspetto. Tutte le persone che ho conosciuto in Nepal e che suonano musica punk, vivono ancora a casa con i genitori. Quindi mi sento in relazione con loro fino ad un certo punto, capisci? So che molti di loro si nascondono dietro al fatto che questa é la nostra culutra. Dicono di fronte agli occidentali: "Noi vivamo così, perché questa é la nostra cultura, la nostra tradzione". Peccato che quando sono sul palco cantano di fottere il sistema e la società... Io dico che il punk è uno stile di vita, non é fare il contrario di quello che si dice...
Oltre ai pochi punk, la scena musicale giovanile del Nepal é composta da band metal che si definiscono "l'underground ne
palese" e non sono affatto DIY... Usano la parola underground che per loro significa "avere un suono pesante". Queste bands elemosinano soldi facendosi sponsorizzare da aziende produttrici di birra, che è davvero triste, perché in un luogo come il Nepal non è possibile fare i soldi ed essere un musicista. Non importa quanto mostrano il tuo volto in TV, potrai solo essere un po' "famoso", ma che senso ha in un posto piccolo come il Nepal? Devo essere onesta, queste bands sono tecnicamente valide e molte suonano per amore della musica, non cedo che non le apprezzereste perché non sono per nulla hardcore, politiche o anarchiche. Stiamo parlando solo di una scena che si sbatte per portare avanti la musica metal in un luogo piccolo come Kathmandu. Ma 'underground' per loro é una parola che manca del significato che le attribuiamo noi. Per noi underground ha a che vedere con l'essere messo in prigione per sostenere i prigionieri politici o per proclamarsi contro lo stato...".

[Free music for punx]
RAI KO RIS -
"Nepal Ko Katha Haru" (cd 2010)
[Puj] E' stata una vera fortuna incontrare gli unici due anarcopunx nepalesi, non solo perché é stata l'occasione per farci raccontare le cose che avete appena letto, ma anche perché il loro concerto alla Miroiterie di Parigi é stato davvero magico (antica stregoneria nepalese, credo). Il giro d.i.y. si conferma incredibilmente vitale e pieno di sorprese. Per questo, probabilmente, dopo tanti anni, sia noi che i nostri amici nepalesi, siamo ancora qui a fare i dischi e a gelarci il culo negli squat...
I Rai Ko Ris, dal 2000 ad oggi, hanno prodotto una grande quantità di materiale nei formati più cheap disponibili sul mercato (principalmente cassette e cd-r con copertine fotocopiate). La qualità della registrazione non é mai stata il loro forte, ma l'ultimo album intitolato "Nepal Ko Katha Haru" (Storie dal Nepal), benché registrato "live nella nostra cucina" (come recita il retrocopertina), non é così lo-fi come lascerebbe presagire, e soprattutto include alcune tra le migliori canzoni dei Rai Ko Ris. Qui, tra l'altro, li troviamo in una formazione a tre, con l'aggiunta di un secondo chitarrista. Attenzione! Il sound della band non é banalmente punk/hc, ma ricorda le cose più melodiche dell'anarcopunk inglese degli anni '80 con un appeal moderno, indie-rock. Niente male, direi. Potete scaricare
"Nepal Ko Katha Haru" da qua sotto e giudicare con le vostre sudice orecchie... Up the nepali punx!

>>> Download RAI KO RIS
- Nepal Ko Katha Haru album in .mp3 + art scan + lyrics (.rar - 48. mb.)


Rai Ko Ris live in Hannover (Germany), 17 september 2010.


Rai Ko Ris live in Barcelona (Spain), 8 october 2010.


Rai Ko Ris live in Kathmandu (Nepal)

05/12/10

[Free books for punx]
Immediatismo! I Radio Sermonettes di Hakim Bey (U.s.a. 1992)
[Pep] New York 1992: divampa uno strano evento letterario. Lo scrittore anarchico Hakim Bey, già autore del celebre e formidabile “T.A.Z. Zone Temporaneamente Autonome”, pubblica i Radio Sermonettes, una raccolta di testi orientati a mettere in luce le connessioni tra arte, vita e sovversione in chiave libertaria.
Qui li presentiamo nell'eccellente edizione italiana del 1995, a cura di Ugo Adelfio e Romano Quinto. I saggi di Hakim Bey, scritti nel consueto stile provocatorio e genialmente rutilante, sono costruiti attorno ad un motivo fondamentale: l'esaltazione di pratiche estetiche non-mediate da contrapporsi, come focolai di resistenza, alla sempre più pervasiva e sottile rete di alienanti mediazioni (materiali, tecnologiche, economiche ecc...) cui la società capitalistica sottomette ogni modalità comunicativa. La pervicace ricerca di realtà effettive o potenziali capaci di radicali im-mediatezze (laddove queste ultime indicano tanto l'assenza di mediazioni quanto la modalità temporale propria dell'agire sovversivo) porta Hakim Bey da un lato alla valorizzazione delle pratiche trasgressive ed oscure dell'Outsider Art, intesa quale modalità di comunicazione estetica a raggio interpersonale, dall'altro a progettare il costituirsi di società segrete immediatiste, estranee all'universo comunicazionale odierno e perciò socialmente invisibili, tali da produrne l'occulta contaminazione. Raddoppiare la propria esistenza dotandola di un côté immediatista che entri in dialettica eversione con i percorsi coattivi di essa all'interno dell'ubiquitario circuito mediologico significa infine riscoprirla quale performance artistica: è questo l'orizzonte ultimo di una riflessione estetico-sociale che approssima il profeta anarchico americano ai più provocatori filoni teorici dell'arte del Novecento. Siate preparati per la Guerra Segreta!

>>> Download Hakim Bey - Radio Sermonettes [ITA] in .pdf (30 mb.)

[Kalashnikov collective live! archive]
13 marzo 2010 @ Villa Vegan, Milano + Ruggine, Land of Devastation, Partizan Kabul

02/12/10

[Free music for punx]
DISPROGRESS (Milano / Trento / Alessandria raw-crust R.I.P.) - demo (cd-r 2008)
[Puj] Dopo gli/le Attacco alle Menti, recuperiamo un altro pezzetto della milano anarcopunk di qualche anno fa: i Disprogress! Fecero irruzione sulle scene nel 2007, ed erano: Chupito (voce), Yacopsae (Jacopo, batteria), Renk (basso), Enrico (chitarra) e Seba (chitarra).
Hanno suonato ben bene in giro, in situazioni belle scassate, per poi sciogliersi dopo circa un anno e mezzo a causa di problemi organizzativi, e non solo: "La voglia di continuare l'abbiamo sempre avuta io e Jacopo - dice Chupito - ma Enrico stava a Trento, Seba stava ad Alessandria, io sono stato per un po' tra Modena, Milano e Trento... e poi ci sono stati un po' di scazzi tra di noi". Oggi Chupito canta nei Warpath e Jacopo, dopo una breve esperienza con i Ruggine, suona nei Trauma. "Enrico non so che fine ha fatto (visto che non ci parliamo più), Seba gira per Milano in skate, so che faceva le prove con i Trauma, ma sinceramente non so che fine ha fatto pure lui; Renk studia e, dopo lo scioglimento degli R.s.d., non suona più con nessun gruppo...". Poco dopo essersi messi assieme, i nostri eroi si tuffano come kamikaze nell'attività live, con soddisfazioni alterne... Ce ne parla Chupi: "Il concerto piu bello è stato a Bolzano, se non sbaglio era il secondo che facevamo... tanta gente e tanto pogo, ci siamo proprio divertiti... quelli più sfigati? Sono stati tanti! A Firenze il suono non era dei migliori e non si capiva un cazzo lì dentro; in Sardegna, la ragazza di Jacopo é stata male e l'abbiamo portata in ospedale, quindi abbiamo suonato tardi (ci siamo divertiti comunque). Poi l'ultimo concerto, a Brescia: Enrico e Seba non si sono presentati perchè c'era lo sciopero dei treni. Dopo quel concerto ci siamo sciolti...".
I Disprogress hanno fatto in tempo a registrare un demo cd-r al volo, contenente dieci canzoni. I temi trattati sono quelli classici del punk catastrofico à la Discharge: la guerra in Medioriente ("l'Onu parla, il Vaticano interviene, parlano di pace, ma spacciano le armi...") e Horror of War ("uomini di scienza pagati, comprati per pianificare una nuova bomba"), il collasso planetario in Multidistruzione ("milioni di persone muoiono di fame, intanto i ricchi ingrassano come maiali...") e l'alienazione quotidiana in Costretti ("costretti a pagare perché non siamo nessuno"), Schiavo del lavoro ("tutta la tua vita chiusa in una gabbia, disperazione senza mai vedere il sole, ti alzi al mattino e devi correre, torni la sera e sei stanco e senza vita") e Vita senza vita ("questa é una vita? Una vita senza vita...").
Il sound dei Disprogress? Più che crust/d-beat come ci si attendrebbe dal nome, direi raw-punk disperato, giù a rotta di collo, con qualche sfumatura metal conferita dall'uso della doppia cassa da parte di Jacopo. Registrazione ruspante e grande rovina. Sul loro myspace capeggiava la scritta: "Whisky not bombs"...

>>> Download Disprogress demo in .mp3 (.rar - 35 mb.)
[Free music for punx]
VEX (U.k. anarcopunk) – Discography (1983-1985)
[Puj] Nel mirabile volume di Ian Glasper che meticolosamente ricostruisce la storia dell’anarco-punk inglese ("The day the country died", edizione italiana Shake 2009) non compaiono i superbi Vex di Londra. Certo, sono durati poco, hanno pubblicato un solo e.p. (“Santuario” del 1984) e non hanno suonato tanto in giro, però restano un gruppo fantastico dal sound scintillante.
Hanno vissuto sotto l’egida dei ben più celebri Conflict e della loro etichetta discografica. Quest'ultima, oltre a pubblicare il succitato e.p., li incluse in una compilation (“We don’t want your fucking law” del 1985), nella quale spicca la fenomenale “Rushing To Hide” che me li ha fatti conoscere: post-punk paranoico d'epoca pre-dark (Killing Joke, Siouxsie and the Banshees, U.k. Decay, Blood and Roses...), decisamente più vicino al bat-cave che ai Crass. Allora però nessuno faceva caso a queste sfumature...
Come tante altre grandi band anarcopunk, i Vex facevano largo uso delle percussioni in stile militare à la Penny Rimbaud (il classico tum-ta-tumba su tamburo e rullante con scarso utilizzo del charleston): uno stile oggigiorno poco praticato (tutti preferiscono il d-beat e lo sferraglaire dei crash), ma potente nonché straordinariamente suggestivo. Qui sotto tutta (ma proprio tutta) la produzione discografica della band, comprensiva di un demo registrato nel 1983 e di alcuni terrificanti, inascoltabili live...

>>> Download VEX Discrography in .mp3 (.rar - 89 mb.)

01/12/10

[Kalashnikov collective live! archive]
16 gennaio 2010 @ Telos squat, Saronno (MI) + Intothebaobab, Land of Devastation, Vivere Merda, Reparto 7-7

25/11/10

[Free books for punx]
bell hooks - Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale (1998)
[Pep] bell hooks è una pensatrice che ha dedicato la sua elaborazione teorica all'approfondimento delle sottese connessioni tra razzismo e sessismo. Tra le più geniali esponenti del femminismo nero, la studiosa afro-americana, nata nel 1952 in una famiglia proletaria del Kentucky segregazionista, porta uno pseudonimo che si propone quale atto di eversione onomastica nei confronti degli assetti identitari patriarcali: il suo nome patrilineare, Gloria Jean Watkins, è da lei sostituito tramite un gesto di ri-fondazione identitaria che ricostruisce l'asse matrilineare cogliendone la dinamica continuistica (bell e hooks sono cognomi che fanno riferimento rispettivamente alla madre e alla nonna materna) ed eludendo la funzione espropriativa che il maschilismo ha assegnato alla figura paterna e al suo potere di nominazione. Le minuscole costituiscono invece un segnale di rinnegamento del soggettocentrismo individualistico-borghese e del suo retaggio mistificatorio di enfasi identitaria e di fissismo ruolistico: bell hooks è una pensatrice che rivela ed esibisce attraverso un gesto di auto-nominazione le proprie opzioni politiche e filosofiche nonché la sua specifica ed eversiva posizione epistemologica.
Il suo pensiero si muove all'insegna di un'abile ed impronosticata pratica de-stabilizzante di acrobazia identitaria, di un'arte del non-coincidere con gli assetti identitari mono-dimensionali che all'interno delle culture emancipazioniste sono il più chiaro segno di una permeabilità di queste ultime ad un'epistemologia conservatrice: bell hooks rivendica la plurivocità del concetto di donna, attraversato in particolare dalle differenze di razza e di classe, da cogliere e giocare quali ostative rispetto all' appiattimento semplificatorio sull'identità femminile/femminista. Situarsi nella problematica ed elusiva posizione dell'eccedenza identitaria permette di smascherare l'intreccio dei codici sessisti, razzisti e classisti (nonchè di tutti gli altri codici di oppressione) uscendo dall'illusione indotta di una lettura che li separi attribuendo loro soltanto un generico parallelismo, il quale impedisca di inquadrare il nemico in tutta la sua struttura ed estensione nonchè di nominarlo compiutamente:come Patriarcato Capitalista Suprematista Bianco.
Questa straordinaria raccolta di dieci saggi che il Kalashnikov Collective Headquarter presenta è frutto della produzione dell'autrice tra il 1991 ed il 1998 ed è corredata da una biobibliografia e da una breve e limpidissima introduzione di Maria Nadotti. E non meno limpidi risultano i testi di bell hooks in cui, affrontando i problemi di maschilismo, razzismo e classismo (con particolare riferimento al mercato culturale ed all'universo mediatico) la pensatrice nera pratica ancora una volta la plurivocità identitaria, inventando una modalità linguistica che ecceda quella strettamente intellettuale cui la sua posizione di docente universitaria la orienterebbe: un linguaggio capace di attraversare in modo inquietante i livelli di fruizione, per non mai rinunciare all'acrobatico dissidio di una perenne scoincidenza con sé stessi...

>>> Download bell hooks - Elogio del margine in .pdf [ITA] (5,4 mb.)

24/11/10

[Free music for punx]
KARMA SUTRA (U.k. anarcopunk) – Complete discography (198?-1987)
[Puj] Nel 1987 viene dato alle stampe “The Daydreams of a Production Line Worker” il primo ed unico album dei Karma Sutra di Luton. Suona eroico e disperato come tutti i dischi punk dovrebbero essere, però è tardi, il tempo della gloria è scaduto. Per questo l’album (autoprodotto e scarsamente distribuito) sprofonda nell’oblio, fino a quando qualcuno, molti anni dopo, lo riscopre e si rende conto che si tratta indubbiamente di uno dei più bei dischi dell’anarco-punk inglese. Brani intensi e un sound creativo, in bilico tra il classico punk battagliero dei gruppi dell'epoca e la ballata folk da squatter malinconico. Prima di questo album, dei Karma Sutra si aveva traccia soltanto in un paio di compilation della Mortarhate, benché la band fosse da anni attiva in sede live.
The Daydreams of a Production Line Worker é accompagnato da un ricco libretto di riflessioni e commenti, che si apre con queste parole: "Lontano dall'essere un manifesto o una vera e propria mappa per Utopia, il risultato di questo lavoro è soltanto l'espressione di ciò che sentiamo in questo preciso momento. I nostri obiettivi come individui anarchici e come band sono di confrontarci, esporre e infine tentare di distruggere il potere gerarchico e tutto ciò che ne consegue nella società; suonare in una band non può esaurire in tutto e per tutto un'attività rivoluzionaria; cantare del cambiamento senza partecipare ad altri aspetti della lotta, non é abbastanza. Ciascuno di noi ha il dovere combattere per la creazione di un mondo migliore o condanneremo noi stessi a nuotare per sempre in questa merda".
Qui sotto trovate l’album completo di booklet (a tal proposito, grazie a oldpunksneverdie.com!), con l'aggiunta di tre bonus tracks: "Ora l'altra metà muore" (dalla compilation "We don't want your fuckin' law" del 1985), "E' anche il nostro mondo" (dalla comp "Who? What? Why? Where? When?" del 1984) e "Let them eat Somozas" (che si riferisce alla famiglia dei Somoza che tiranneggiò per decenni in Nicaragua con il sostegno militare ed economico degli Us.a. ed é tratta dalla compilation "God save us from the U.s.a." del 1987) ; insomma, l’intera testimonianza discografica dei Karma Sutra...

>>> Download KARMA SUTRA
"The Daydreams of a Production Line Worker" album (1987) in .mp3 + bonus tracks + complete booklet scan (.rar - 96 mb.)

23/11/10

[Free music for punx]
ART BEARS (musica radicale, U.k.) - "The World As It Is Today" (Lp – 1981)
[Puj] Ed ora qualcosa di completamente diverso. Siamo nel 1981, il punk si è ormai declinato in tutti i suoi sottogeneri underground ed è divenuto lo strumento di protesta prediletto della gioventù tatcheriana/reaganiana del decennio entrante. Fa proseliti in tutto il mondo, perché la sua virtù sta nell’imme- diatezza, nella fisicità adrenalinica e nell'accessibilità; sia che lo si ascolti, sia che lo si suoni, il punk è musica semplice, alla portata di tutti.
Negli anni ’70 la musica antagonista di matrice libertaria e sinistrorsa era tutto l’opposto: complessa, intellettuale (o intellettualoide?), ambiziosa (o pretenziosa?), difficile da suonare e da ascoltare. I gruppi militanti degli anni ’70 erano band di jazz anarchico o rock progressivo altamente sperimentale come gli Area (in Italia), gli Henry Cow (in Inghilterra), i Magma (in Francia) e i Floh De Cologne (in Germania). Malgrado tutto, con un po' di pazienza si scoprono grandi dischi anche in questo panorama di produzioni un po' trombone.
L’album “Il mondo come è oggi” degli Art Bears, uscito appunto nel 1981, è, ad esempio, un disco fantastico che ha molte cose in comune con il coevo anarcopunk dei Crass: è politicamente denso, è inquietante, è sperimentale e, soprattutto, non ha molto a che fare con la musica del proprio recente passato.
Gli Art Bears furono un ensemble inglese nato da una costola dei già citati Henry Cow, celebre band di estrema sinistra nata alla fine degli anni ‘60. Nel 1977, Dagmar Krause (voce), Fred Frith (chitarra, tastiere, viola e violino) e Chris Cutler (batteria) si stufarono del sound degli Henry Cow e misero a punto un progetto nuovo, un trio di jazz apocalittico, dai toni austeri, con l’ambizione di applicare la creatività e l'improvvisazione
del free-jazz alla forma-canzone. Ne esce una musica molto misurata, dall’appeal glaciale, scarna e militante. Ma anche incredibilmente suggestiva. Il nome del gruppo pare insensato (gli "Orsi dell'Arte"?), ma in realtà é un gioco di assonanze, in quanto in inglese Art Bears suona come "Heart Bares", ovvero Cuori Scoperti.
The world as it today” è il terzo ed ultimo album degli Art Bears, ma anche quello più esplicito politicamente. Le undici canzoni del disco attaccano ciascuna un aspetto della società capitalistica. I testi raccontano le tappe di un viaggio visionario: anatemi scheletrici che trasmettono visioni di morte e distruzione, formulati in uno stile vagamente biblico. Ne riporto alcuni. “Democrazia”: “Ho visto un leone ed un serpente uccidersi a vicenda e dai loro corpi proliferare un’orda di scorpioni. Ricoprirono il mondo e il loro veleno fu la democrazia”. "Legge": “Ho visto i nostri padroni seduti a cena, satolli della libertà tua e mia. Ho chiesto: ce n’è una porzione per il povero?
Loro risposero: certo! E ruttarono la Legge”. “Libertà”: “…ho visto moltitudini inchiodate alla terra, deprivate e rifugiate, alle quali era stato detto di essere libere. Libere di morire di fame. O di essere schiave. Libere di scegliere A o B, come veniva loro offerto, di lavorare o morire”. "Verità": “Ho visto lunghe code, ma poco cibo. Volevo parlare, ma i soldati non mi hanno permesso di restare. Allora mi sono messo a leggere e ho imparato che “la prosperità era giunta” e che questo era “il nostro Eden. Apparvero i vermi, ma la “verità” lì spazzò via”. "La canzone degli investimenti di capitale oltremare": “Il mio lavoro mi porta fuori dalla città, svuoto villaggi e brucio le loro case. Metto su fabbriche, avvio piantagioni, e porto prosperità alle nazioni più povere”. Si prosegue con grandi titoli, tipo "Pace (armata)", "La canzone dei monopolisti", "La canzone dei martiri" e "La canzone della dignità del lavoro sotto il capitalismo".
A chiudere, un monito rivoluzionario, "Sveglia, Albione!" (Albione é il nome antico della Gran Bretagna): "Becchi, lacerate il tessuto della notte per farne scintille! Sveglia! Sveglia! Lasciate che le bandiere volino come proiettili
ed oscurino il cielo!". Curiosamente, il testo di questa canzone non viene cantato nel disco; il motivo é che la Krause si rifiutò di farlo! Chris Cutler, in una recente intervista, racconta: "In quei giorni si respirava un'atmosfera difficile che rifletteva lo stato del mondo, credo: a Zurigo, dove ci trovavamo, ci furono rivolte con lanci di gas lacrimogeni, proprio mentre stavamo registrando. E in effetti Dagmar non volle di cantare l'ultima canzone, dato che trovò il testo troppo violento. Erano tempi difficili. Anche se forse questo aiutò il disco a essere tanto intenso quanto era necessario che fosse...".
Che dire? Ascoltate questo capolavoro, cazzo!


>>> Art Bears “The world as it today” album (1981) in .mp3 + complete booklet scan (.rar - 72 mb.)

20/11/10

[Free books for punx]
Kit Reed - La bomba ai giovani! (Tit. Or.: "The Judas Bomb") (racconto - U.s.a. 1970)
"Al tempo in cui regnavano i giovani, Washington venne in possesso della bomba. Gli Hypo lo scoprirno, il giorno in cui uno della banda dei Judas perse la testa e diede in escandescenze..."
[Puj Kit Reed é una simpatica signora americana autrice negli anni '70 di alcuni acidissimi racconti fanta- sociologici d'indole iconoclasta, tra i quali questo "The Judas Bomb" aka "La bomba ai giovani".
In uno scenario tra I Guerrieri della Notte e Fuga dal Bronx, o qualche altro b-movie post-atomico dei bei tempi, si snoda una storiella distopica che racconta in modo originale dei rapporti tra le generazioni e del passaggio dalla gioventù all'età adulta.
L'autrice sfrutta un classico tema paranoico, quello della bomba (atomica), tanto in voga ai tempi della Guerra Fredda... Tratto da Urania n. 745 del febbraio 1970. Ka-boooom!


>>> Download Kit Reed - La Bomba ai Giovani (racconto) [ITA] in .pdf (3,7 mb.)

19/11/10

[Free music for punx]
TOTAL CHAOS (U.k. anarcopunk) - Complete discography (1980 - 1984)
[Puj] Rovistando nella spazzatura si rinvengono piccoli tesori ammuffiti... Come la discografia di uno sfigatissimo gruppo del nord-est inglese degli anni '80, i Total Chaos (niente a che vedere con gli omonimi fashion punx californiani, naturalmente). Come molti loro coetanei, i Total Chaos di Gateshead durarono il tempo di ricevere qualche sputazzo da sotto il palco e d'imparare a tenere in mano gli strumenti. Purtroppo, gettarono la spugna nel momento in cui la loro musica si stava facendo davvero interessante: "Sai, quando ho chiesto agli altri - dice il batterista Gaz - quando e perché ci siamo sciolti... nessuno se lo ricordava! Incredibile, no? Ciascuno di noi ad un certo punto si é trovato immerso in altri impegni: Keeks finì al college, Nolie si era ammalato di una patologia intestinale che gli impediva di restare sul palco troppo a lungo (...), Jed uscì di melone, e non é più rientrato... Per quanto mi riguarda, divenni padre a 18 anni. Ci portavamo dietro mia figlia Nicole ai concerti e tutti i punk facevano un giaciglio con i loro giubbotti per farcela dormire sopra. Mi sembrano tutte buone ragioni per spiegare il nostro scioglimento...".
E' oggigiorno diffusa la tendenza a mitizzare il punk degli anni '80, ma a bands come i Total Choas (e a mille altre dell'epoca), tutta questa mitologia farebbe ridere. Basti pensare che il "miglior concerto" dei Total Chaos viene così descritto da Gaz: "Il nostro miglior concerto é stato sicuramente quello di Marlborough vicino a Newcastle. Proprio mentre stavamo suonando, il gestore del posto ci chiese di andarcene. Sembrava che qualcuno dei clienti stesse facendo casino, spaccando bicchieri... Per noi era un vero problema perché eravamo con i mezzi pubblici e gli autobus per riportarci a casa sarebbero passati molto più tardi. Così suggerimmo al pubblico di continuare il concerto in un posto chiamato Garage, che però non era dietro l'angolo. Ogni punk del pubblico ci aiutò a trasportare i pezzi dell'attrezzatura camminando per mezzo miglio fino al Garage, per rimontare tutto e continuare a divertirci. Durante il tragitto non andò perso neppure un bullone!".
Nella loro fugace apparizione sulle scene, tra il 1980 e il 1984, i Total Chaos fecero in tempo a registrare una cassetta demo e tre e.p., nei quali infilarono una quantità sorprendente di idee bizzarre e perdenti in partenza. Ad esempio, i punx dell'epoca non poterono che rimanere del tutto interdetti di fronte ad un disco come "Bombs and fields", che consisteva in una raccolta di pezzi ambient, rumori, bambini che piangono, pezzi strumentali interlocutori e, naturalmente, canzoni anarcopunk irreparabilmente scassate.
Malgrado tutto, oggi, i loro dischi suonano magici ed evocativi, come l'incantesimo di uno stregone ubriaco. Pezzi come "Solo in una landa oscura" (un collage di assoli di chitarra schizoidi, rumoracci sinistri e mugolii) oppure "Dopo la bomba" (marcia funebre su una base di chitarre violentate ed echi disperati) sono qualcosa di unico. Che dire invece di "Revolution Part 10" (?) brano per sola batteria e voce contenuto nel loro primo e.p.? O della sghemba marcetta anarcopunk di "Brixton Prison"? Per non parlare di "Io muoio", ballad notturna per chitarra scordata... I Total Chaos: il classico caso in cui le idee suppliscono alle limitate capacità tecniche e alla pochezza dei mezzi a disposizione...

>>> Download TOTAL CHAOS discography in .mp3 (.rar - 53 mb.)

15/11/10

[Free books for punx]
Ma Mel'ma - "Scagliare una pietra al patriarcato: lettera aperta per capire le femministe" (2010)
"Conosco bene i pregiudizi nei confronti delle femministe, perché per troppo tempo ne sono stata fautrice anch'io. Mio padre mi disse una volta che le femministe sono tutte delle brutte lesbiche. L'esperienza sembrava confermare..." [dall'introduzione dell'autrice].
[Puj] Queste parole forse potrebbero non essere le migliori per avviare un discorso su femminismo e anarchia. E invece, partendo dalla messa in discussione dei propri pregiudizi si scoprono un sacco di cose e le prospettive cambiano rapidamente...
L'opuscolo di Ma(lva), piccola produzione d.i.y. del giro Villa Occupata di Milano, é eccezionale per chiarezza e ricchezza di spunti. Le tematiche femministe vengono analizzate dal punto di vista di un’anarchica nel rispetto della propria concezione radicalmente anti-autoritaria, estranea all'indole riformista delle aree più moderate del movimento: "Parlare della condizione della donna nella società é come parlare delle condizioni degli animali negli allevamenti [...] Come in ogni movimento, c'é una parte riformista che vorrebbe gabbie più grandi, senza andare però oltre
[...] Dall'altro lato però c'é chi brama la libertà assoluta, priva di qualsiasi sbarra, muro, passaporto o filo spinato [...] Mi riferisco a quel femminismo che rivendica la liberazione dall'ideologia sessista, la liberazione dai ruoli di genere impostici, la liberazione dall'omofobia e dalla transfobia".
La proposta anarchica é, come sempre, un ripensamento
dell'esistente alla radice, nel segno della propria responsabilità individuale, del proprio vissuto quotidiano e senza delegare a nessuno. Evitando qualsiasi velleità "educativa" (quindi autoritaria e coercitiva), si avvia l'analisi dall'invisibile e sorprendente complessità delle nostre pratiche quotidiane, della nostra modalità abituale di rapportarci all'altro/altra, del nostro linguaggio comune per indagare ciò che di autoritario, e quindi violento, esiste in ciò che facciamo e in ciò che viviamo. In questo metodo pragmatico, che prende le mosse dall'evidenza del vissuto di ciascuno, stanno la forza e la bellezza del pensiero libertario.
Detto questo: "Accettare le critiche anarcofemministe vuol dire fondamentalmente aprire una voragine di rimesse in discussione dei nostri rapporti personali e sociali [...] Vuol dire vergognarsi di certi comportamenti. Vuol dire rinunciare a certi privilegi. L'anarcofemminismo ci porta a guardarci dentro, e a cambiarci".
La lettura di "Scagliare una pietra al patriarcato", per il taglio pratico e la chiarezza di linguaggio del testo, é consigliatissima a tutti e tutte, ma soprattutto a chi si voglia approcciare, per la prima volta, in modo attivo e propositivo, al pensiero anti-sessista, anti-specista, femminista e trasgender. Tutte tematiche queste che, in una società distratta come la nostra, mantengono sempre una forza "sconvolgente"...

>>> Download “Scagliare una pietra al patriarcato” in .pdf [ITA] (7 mb.)

14/11/10

[Free music for punx]
ATTACCO ALLE MENTI (Milano / Como anarcopunk) - Demo (2007)
"Gli Attacco alle Menti suonano poche volte e male, altre volte bene (ma ciò è raro, date le sbronze di simo e vale), proponendo dei testi impegnati con della musica a volte lenta, a volte veloce, punk o metal o ballabile (se sei ubriaco). Dal 1 ottobre [2008, ndr] gli Attacco alle Menti non esistono più per vari fattori, fra tutti il trasferimento di Violetta in Grecia. Ora cercano di vivere ognuno la propria esistenza il peggio possibile...".
[Puj] I tempi sono maturi per riesumare questa mitologica band lombarda di qalche anno fa? No. Certo, per renderla una band realmente mitologica sarebbe dovuto passare molto più tempo. Ma chi se ne sbatte! Perché a me gli (o le?) Attacco alle Menti piacevano. E poi ci cantava un personaggio di sicuro mitologico, ovvero la Vale di Utero Selvaggio distro, ora ritiratasi dalle fetide scene del punk/hc scrauso. Ai tempi, suonarono con un bel po' di gruppi dei paraggi che sono durati poco, ma mitici pure loro, come Rabbiassassina, Rsd, Konvulsione e H5N1.
Un vero e proprio demo degli Attacco alle Menti non credo sia mai uscito, quindi lo diamo virtualmente alle stampe (digitali) ora. Quattro pezzi di anarcopunk che viene giù a slavina, bello storto. La voce della Vale é tutto un programma, ma anche quella wretchediana del Simo non scherza. Ah, la chitarra é scordata (o forse é il basso?). Grandi titoli, come "Peste o.g.m." e "Inginocchiati a leccare il sangue". Rovina h.c. di qualità!

>>> Download ATTACCO ALLE MENTI demo in .mp3 (.rar - 13 mb.)

13/11/10

[Kalashni-gig report]
16 ottobre 2010 @ Villa Vegan Occupata (+ Extirpation + Ebola + Warpath + Anxtv)
[Puj] Periferia nord-ovest di Milano. Nebbia, freddo e odore di asfalto bagnato. Niente ferma i punx assetati, nemmeno un tempo da lupi e la pioggia a catinelle. La Villa Occupata viene così presa d'assalto dalle Orde del Caos per l'ennesimo mostruoso anarcopunk meeting organizzato dai Kalashnikov, il cui incasso andrà benefit per Villa Vegan e per i suoi animali.
E' la sera del 16 ottobre e fino a poco prima un gruppo di ragazzi e ragazze era arroccato sul tetto di uno stabile in via Savona, dall'altra parte della città. Erano gli occupanti della Bottiglieria, uno squat nel pieno centro cittadino, nel cuore della Milano dei locali alla moda e degli atelier di design. Hanno tentato di rendere
agli sbirri più sgradevole lo sgombero dello stabile. A Milano ad ottobre fa freddo e tre lunghi giorni lassù, sulle tegole gelate, non sono certo uno scherzo. Non saprei raccontare meglio la storia di quanto abbiano fatto i protagonisti dell'impresa, nel bellissimo post nel blog della Bottiglieria, intitolato "La città vista da un tetto".
Mentre scrivo, i ragazzi e le ragazze della Bottiglieria hanno già occupato un nuovo stabile in Via Giannone, nel cuore della Chinatown milanese ("la Macchina da Guerra Nomade conquista senza essere notata e si muove prima che la mappa possa essere aggiornata", come dice Hakim Bey). Tutta la nostra solidarietà.
Questo autunno sarà ricordato come un periodo eroico per quanto riguarda le occupazioni a Milano e dintorni: uno spazio a Gallarate, poco a nord della città, l'Edera occupata, è stato da poco sgomberato, dopo sole due settimane di esistenza; analogo discorso per un altro spazio a Varese, durato una manciata di ore. Alla repressione fa eco l'entusiasmo e la caparbietà delle ragazze e dei ragazzi che lottano per capovolgere il senso delle cose. Un senso che si fa ogni giorno più univoco e più inesorabile. Il cappio di un mai sopito fascismo politico-culturale che pare stringersi intorno alle nostre gole. Anche per questo, in lotte come quella dei compagni e delle compagne della Bottiglieria di via Savona leggiamo sempre tanta poesia. Benché la digos, le denunce e l'indifferenza della gente non siano per nulla poetiche... La poesia e la bellezza stanno nel carattere "illogico" delle nostre azioni, nel fatto di giocare la partita infrangendo le regole del gioco ed essendo per questo condannati ad uscirne sconfitti. Il problema (per gli altri) é che nelle nostre partite da perdenti ci divertiamo molto di più di quelli che delle regole del gioco se ne servono per ottenere le loro
scontate, banali, imbarazzanti vittorie.
La mattina del 16 ottobre, a poche ore dal concerto, ci eravamo interrogati con i compagni e le compagne della Villa su che cosa andasse fatto per essere solidali con gli occupanti di Via Savona che, a quell'ora, se ne stavano ancora sul tetto. Ci siamo chiesti se fosse il caso di annullare tutto o di portare il concerto là, in strada, nel pieno centro della città. Sarebbe stato un suicidio? Ormai era forse troppo tardi per ripensarci, cancellare o altro. Alla fine, giusto o sbagliato, si è deciso di suonare, sfruttando l'occasione per parlare a tutti di questa cosa e cercare di raccontarla nel frastuono, nell'ennesimo groviglio di corpi e rumori.
La notte é trascorsa libera e selvaggia, con tutte le sue caotiche contraddizioni, nel segno di un'ostinazione tutta nostra a vivere la musica al di fuori di ogni logica riconosciuta, nel segno di una irreversibile dissidenza esistenziale. Più passa il tempo, più faccio fatica a capire che cosa di preciso ci tiene legati a questa realtà, a questo frastuono, a questa vita. E meno capisco, più cresce il nostro radicamento entro queste mura scrostate, cresce la passione disperata, cresce l'affetto sincero e smisurato per tutte le persone che in questo perimetro incontriamo. Più tasselli del puzzle perdiamo, più si scopre qualcosa di meraviglioso che sta al di sotto del puzzle. Aldilà delle A cerchiate sui giubbotti e dei riff di chitarra, c'é qualcosa che ci sfugge e che forse ha qualcosa in comune con lo stare su un tetto per tre giorni e per tre notti al freddo. All'alba, osservando il campo di battaglia del dopo-concerto, tra le lattine vuote e i cani, mi è caduto lo sguardo su due punx abbracciati l'uno all'altro che dormivano ubriachi sul divano, e mi è venuta in mente una frase di Joseph Carter dei Mob, che, forse, racchiude un frammento del senso profondo e gioioso di tutto questo: "Rivoluzionari? Non credo... eravamo soltanto un branco di bambini spaventati che si tenevano vicini per stare al caldo...".
[Free music for punx]
ANXTV (La Spezia anarcopunk) - Complete discography (2005 - 2010)
[Puj] In cima alla ripida scala che conduce agli scantinati della Villa compare la sagoma inconfondibile di mister Andrea "Bone Idol" Bonini, seguito da Verushka, Daniela e Marco, gli altri Anxtv. Andrea tiene per il manico la sua mitologica chitarrina libera e selvaggia senza custodia (e senza una corda) che é ormai un must. Ogni concerto degli Anxtv é un'esperienza di condivisione molto intensa e gioiosa, e anche quello del 16 ottobre in Villa é stato tale. I punx italiani amano questa band che é una delle poche a recuperare in maniera creativa (e allo stesso tempo sincera) lo spirito dei gruppi ananrcopunk inglesi degli anni '80.
Formatisi a Spezia nel 2005 dalle ceneri di band come N.S.A. e Biocidio, gli Anxtv hanno pubblicato con regolarità svariato materiale, malgrado Andrea viva ormai da alcuni anni in Finlandia. Musicalmente gli Anxtv alternano brani veloci in classico up-tempo (inni come "Ore rubate" e "Diritto d'illusione") a suite anarcopunk dal tono narrativo ("Alba Atomica", "Neve rosso sangue" e "Nel vostro grigio eterno"). Una cosa molto suggestiva dei loro dischi sono gli artwork di Andrea, dallo stile inconfondibile, nei quali ritornano soggetti simili, come negli artwork dei grandi gruppi peace-punk (Mob, Rudimentari Peni, Subhumans...).
Potrete assaporare voi stessi tutto questo scaricando da qua sotto un'antologia super completa della musica degli Anxtv, che raccoglie l'intera discografia (artwork e testi inclusi) dal duemilaecinque ad oggi. Si parte con il cd-r "Lo stato d'animo che loro controllano" del 2005, si prosegue con il 12" split con Bestiame, Berserk e Carogna (band più o meno estinte), il 7" Neve Rosso Sangue ed il recente 12" split con i punx friulani Vivere Merda...

>>> Download ANXTV discography 2005-2010 in .mp3 (.rar - 132 mb.)


Anxtv live at Izbruh, Kranj (Slovenja) - july 2008