La città dell'ultima paura!




 

Di che cosa parla questo nuovo (ennesimo) disco dei Kalashnikov?
Nelle cinque tracce che compongono questo disco abbiamo deciso di riflettere sul tema della città. E' il contesto in cui viviamo da sempre e che probabilmente ha ispirato la musica che facciamo. Siamo legati ad un rapporto duplice di amore e odio alla città nella quale viviamo, per cui la nostra critica non è soltanto una condanna a senso unico della vita metropolitana a favore di una liberatoria fuga verso la natura, per così dire. Quello che ci interessa di più è mettere in luce la tensione tra la portata repressiva dell'organizzazione urbana e le strategie di resistenza/liberazione messe in atto da chi vive in questo contesto, sperimentando forme nuove di convivenza e modi d'uso creativo dello spazio cittadino. Quello che ci affascina è l'invenzione quotidiana che mira ad una fruizione liberata e dissacrante di ciò che viene imposto!
La città è sempre stato il soggetto protagonista sia della letteratura utopica (che descrive il migliore dei mondi possibili) che di quella distopica (che descrive il peggiore dei mondi possibili). Scrittori e pensatori di ogni tempo hanno immaginato il futuro dell'umanità sullo sfondo delle città, ora viste come le più alte espressioni della convivenza umana, ora come luoghi nevralgici ove tutti i mali della società vengono allo scoperto. Città ideali, espressione della razionalità e dei valori più nobili dell'essere umano, e città caotiche, squallide, specchio di un sistema sociale ingiusto e regno dei bassi istinti.
Esiste però un sottile confine che separa la città ideale da quella infernale; osservandole con attenzione, le città utopiche teorizzate dagli architetti, dagli urbanisti e dai filosofi del passato, scaturite da un desiderio sconfinato di perfezione geometrica, paiono ai nostri occhi sinistre ed inquietanti. Ed anche le tavole dei progetti architettonici, con i loro scintillanti rendering, le linee dritte, le prospettive futuristiche, animati come sono da uomini e donne senza volto che passeggiano come e dove devono passeggiare, spesso trasmettono un'idea di pulizia e perfezione che suona un po' angosciante, descrivendo lo spazio urbano come gabbia, come risultato di leggi matematiche, immutabili. L'utopia che anima ogni progetto di pianificazione urbana e architettonica si nutre di concetti di ordine, razionalità, separazione, controllo, bellezza, pulizia, che non hanno riscontro nelle metropoli reali, che sono solitamente disordinate, sporche, brutte e pericolose: la città cresce e decresce in maniera irrazionale, ed ha una vitalità propria, anarchica e selvaggia, che gli architetti, gli urbanisti, gli amministratori e i tecnocrati si sforzano di imbrigliare. Le pianificazioni architettoniche ed urbanistiche spesso conferiscono alle nostre città un aspetto schizofrenico, nel quale il disordine convive con un'idealità spesso goffamente fascista, rivelando una (ora consapevole, ora inconsapevole) finalità ingenuamente repressiva. 

Letture: l'architettura e l'urbanistica non sono mai stati in primo piano nel pensiero anarchico e libertario; anzi, per sua natura, l'anarchico disprezza queste arti votate all'ordine, alla pianificazione, all'organizzazione dello spazio e della vita! Le città, in fondo, non sono forse il risultato di un'organizzazione sociale di stampo capitalistico, autoritario e classista? Sul rapporto tra architettura, urbanistica e pensiero libertario: Colin Ward, il bambino e la città. Crescere in ambiente urbano (Ed. L'Ancora del Mediterraneo 2000).



Qualche nota tecnica chi non interessa a nessuno...
Il disco è stato registrato nell'estate del 2011 negli scantinati di Villa Vegan a Milano, con il solito contorno di sudore e zanzare. E' stato stampato in 300 copie picture disc 12" a 45 giri. Non chiedetevi il perché della bizzarra durata del disco e del suo altrettanto bizzarro formato, perché non ci sono risposte soddisfacenti: avevamo questi pezzi e abbiamo deciso di inciderli sul supporto più costoso e feticista al mondo! Speriamo semplicemente che l'eventuale stima che avete nei nostri confronti non ne risenta troppo! Altro dato cruciale: é l'ultimo disco - ahinoi! - cantato da Milena, che ormai vive in Francia e ha lasciato il collettivo.  
Passiamo all'artwork. Come sempre si tratta di un collage/fotomontaggio paranoico nel nostro stile; qui i protagonisti sono a loro volta macabri collage: i mostri di Frankenstein (sì, nella storia del cinema i mostri sono due: la classica versione maschile e la versione femminile, protagonista nel 1935 del film La moglie di Frankenstein!); come nel precedente "Vampirizzati Oggi" i mostri ci servono per stigmatizzare aspetti "mostruosi" del nostro presente e della nostra quotidianità. I mostri di Frankenstein (un uomo e una donna composti da altri uomini e da altre donne) diventano il simbolo dell'individuo schizofrenico e frammentato della modernità, del carattere meccanico e mediato dei rapporti interpersonali/sentimentali nei tempi odierni. Le due facce del picture disc invece sono fotomontaggi realizzati con fotografie prese da riviste per ragazze paninare degli anni '80: gioventù militarizzata e sinistramente felice. Sul foglio interno: Gesù percorre una tangenziale-Golgotha (moderna via crucis) e viene crocefisso ad uno svincolo di Los Angeles...



Il disco è concettualmente diviso in tre parti: I) la presa di coscienza degli aspetti addomesticanti e repressivi dello spazio urbano, e di come esso rispecchi il carattere schizofrenico della nostra organizzazione sociale [traccia 1 e 2]; II) una pars destruens, ovvero la reazione violenta che segue alla presa di coscienza della verità, ovvero l'idea liberatoria di una città ridotta a cumuli di macerie, grande tema della moderna letteratura catastrofica (ma anche della musica punk!) [traccia 3]; III) una pars construens, che appartiene propriamente al pensiero libertario, che immagina una dimensione esistenziale e sociale che si reinventa nelle pieghe del sistema e sulle sue macerie [traccia 4 e 5].



1. Violenza urbana
Breve pezzo strumentale dall'andamento battagliero, il cui titolo fa pensare alla violenza degli scontri di piazza o delle bande armate. In realtà, fedelmente al tema trattato nel disco, non si riferisce alla violenza esercitata dall'uomo sulle cose o su altre persone, ma delle cose sull'uomo. La violenza urbana è la violenza che la città esercita sulle vite di chi la abita. Pensate a ciò che accomuna ogni città all'altra, per quanto concerne il movimento: percorsi obbligati, una selva di cartelli che indicano quello che si può e non si può fare, semafori, spazi inaccessibili, segni sulla strada che regolano il traffico, telecamere di sorveglianza, luoghi nei quali si è costretti a stare schiacciati gli uni agli altri, aree nelle quali è vietato sostare, entrare, alzare la voce, sedersi, introdurre oggetti di un certo tipo, spazi piantonati da poliziotti, soldati, guardie giurate, gorilla della security di un qualche grande magazzino, panchine inchiodate al pavimento, schermi che ci obbligano a guardarli... la città ci addomestica: è uno spazio alienante, costrittivo e frustrante, irto di regole da rispettare e di sguardi indiscreti. Oltre che, naturalmente, uno spazio nocivo per vivere, sia per fattori fisiologici (lo smog) che psicologici (lo stress).

Nel 1971, il criminologo Ray Jeffrey pubblica un libro dal titolo Crime prevention through environmental design (Prevenzione del crimine attraverso la progettazione ambientale) nel quale esprime la teoria secondo la quale i comportamenti deviati e criminosi all'interno del contesto urbano possono essere limitati da una corretta progettazione dello spazio: per esempio, attraverso l'illuminazione delle strade, la creazione di percorsi obbligati, la marcata differenziazione tra gli spazi pubblici e quelli privati, la creazione luoghi inospitali che scoraggino la permanenza delle persone, la vigilanza... Il testo di Jeffrey ha dato origine ad un vero e proprio indirizzo di studi urbanistici.
A Milano abbiamo avuto un piccolo esempio di progettazione urbanistica repressiva: le panchine alle fermate degli autobus! Un tempo erano luogo di riparo e permanenza per senzatetto e tossici, ma ora non lo possono più essere: sono realizzate con divisori che impediscono che su di esse ci si possa sdraiare e con un forma talmente scomoda che ci si può stare seduti solo per il tempo di attesa medio di un mezzo pubblico.
Altri esempi, che sembrano usciti da un romanzo di fantascienza, riguardano le sperimentazioni che sono state fatte in alcuni paesi relativamente all'uso della musica e di specifiche frequenze uditive a scopo di prevenire reati e infrazioni di vario genere: in Inghilterra, ha avuto larga diffusione il cosiddetto Mosquito Security Device, un emettitore di frequenze molto alte (17,4 KHz.), e molto fastidiose, ma udibili solo dai giovani dai venticinque anni in giù. Il sistema si basa sul fatto che la capacità di percepire frequenze così alte si deteriora naturalmente con l'età: Quindi, questi emettitori di frequenze nocive disturbano pertanto solo i giovani e gli adolescenti e sono del tutto innocue per le persone adulte. Il sistema, è stato quindi utilizzato per tenere lontani writer, skater, punx ed altri pericolosi teppisti di strada (solitamente adolescenti) da determinati luoghi della città: considerando che i figli dei borghesi stanno chiusi in casa a giocare ai videogames e che i figli delle famiglie più povere stanno per strada, si comprende il segno evidentemente classista del Mosquito Security Device.
Un altro esempio ai confini della realtà (raccontato tempo fa nel nostro racconto di Angoscia-rock) riguarda Copenhagen, nella quale, una decina di anni fa, è stato avviato un buffo esperimento di muzak d'ambiente a scopo repressivo: in alcuni luoghi particolarmente problematici della città (la stazione centrale e  l'ingresso del quartiere a luci rosse), abitualmente frequentati da spacciatori, tossici e punk è stata diffusa musica classica attraverso altoparlanti nascosti. I nostri amici, contrariati, rattristati o semplicemente annoiati da uno stile di musica che non li rappresenta, hanno deciso di sloggiare lasciando libere le aree in questione! L'esperimento ha avuto successo!

Letture: è la letteratura fantascientifica (oltre alla vita di tutti i giorni!) ad averci fatto riflettere sull'alienazione urbana, sulla metropoli repressiva e sui non-luoghi. La narrativa sci-fi ha prodotto una varietà infinita di visioni distopiche davvero efficaci per mettere in luce la portata repressiva/oppressiva delle città in cui viviamo! Per esempio...
Una delle città più inquietanti di sempre è descritta nel romanzo "Blokken" dell'olandese Ferdinand Bordewijk (scritto nel 1931, prima del 1984 di Orwell e il mondo nuovo di Huxley, due classici del genere ben più noti del romanzo di Bordewijk). Il romanzo descrive una non ben identificata società integralmente devota al concetto di blocco, nei suoi molteplici significati riconducibili all'idea di arresto (vincolo, impedimento, ostacolo...) che di corpo uniforme e compatto (struttura cubica, massa indistinta, luogo isolato dal resto). Una città uniforme abitata da cittadini in uniforme, dove tutto è fermo, bloccato appunto, dove ogni cosa è assoggettata ad un geometrismo esasperato ossessionato dall'idea del blocco: l'irrazionale (il rotondo) è rigorosamente vietato. 

James G. Ballard è una inesauribile miniera di riflessioni sulla vita urbana. Ecco alcuni romanzi e racconti che hanno marchiato a fuoco la nostra immaginazione! "Condominium" (1975, pubblicato su Urania Mondadori n.707) è un classico: racconta la regressione ferina degli abitanti di un modernissimo e lussuoso grattacielo, causata da un banale black-out. Nel romanzo "Concrete Island" (1974, pubblicato in Italia con il titolo di"Isola di cemento") il protagonista ha un incidente d'auto e finisce fuori strada, nello spazio residuale delimitato da alcune tangenziali: ferito ed intrappolato dai terrapieni sui quali sfrecciano gli automobilisti distratti che mai lo vedranno, é costretto a trascorre alcuni giorni in questo luogo paradossale, privo di significato, scarto della pianificazione urbana. Gli servirà per riconquistare l'autentica percezione di sé, che la vita moderna e la metropoli gli hanno sottratto. 
Il protagonista del racconto "Città di concentramento" (pubblicato nell'antologia "La zona del disastro", Urania Mondadori n.779) invece vuole fuggire da una città affollata e soffocante, dove non esiste più il cielo. Parte alla ricerca di un miraggio: lo Spazio Vuoto. Scopre che è tutto inutile... 

Un altro scrittore che ci ha ispirati è Robert Silverberg, il quale ha dedicato molte pagine alle distopie metropolitane. 
Un racconto in particolare ci è rimasto impresso: "Il burocrate" (1974), contenuto nell'antologia "Le città che ci aspettano" (Urania Mondadori n. 646). E' ambientato in una città sterminata i cui quartieri costituiscono stati indipendenti, con le loro leggi e le loro usanze, che vivono ignorandosi l'un l'altro o, addirittura, nell'odio reciproco: il mondo è interamente occupato da questa sterminata città i cui abitanti non si parlano e non escono mai dai propri quartieri-enclave: l'amministrazione dei quartieri è affidata a computer sui quali è installato un software. 
Le strade sono battute da ottusi poliziotti-robot che fanno rispettare regole il cui significato originario è andato perduto.... 
Per una rassegna delle distopie urbane della nostra modernità, vi consigliamo l'imprescindibile saggio di Leonardo Lippolis, Viaggio al termine della città. La metropoli e le arti nell'autunno postmoderno (1972-2001) (Eleuthera 2009)!


2. Sotto la scure di un nuovo fascismo

Le Corbusier, Piano per una città di tre milioni di abitanti (1922)
[Sotto la scure di un nuovo fascismo, sotto i cieli della nostra amnesia, per le strade di un giorno qualunque, ci sorprenderà una pioggia fitta e scura che inzupperà i vestiti della nostra anarchia. E ci rifugeremo all'ombra di una sopraelevata sulla quale sfrecciano gli uomini senz'anima, sulle corsie deserte della loro apatia...]

Il titolo del pezzo è più o meno quello di un saggio di Gaetano Salvemini, l'antifascista italiano esule negli Stati Uniti che dedicò alcuni saggi propagandistici contro il regime di Mussolini. In Under the axe of Fascism (che uscì negli U.s.a. nel 1931) Salvemini dice che il fascismo è stato il prodotto della democrazia degenerata e corrotta, precedente all'ascesa di Mussolini. Salvemini leggeva nel passato recente i segni di quella decadenza che avrebbe poi portato al fascismo. Noi leggiamo nella società in cui viviamo i segni di un nuovo fascismo, molto diverso da quello storico, ma ugualmente violento. Fritz Lieber, nel romanzo Nostra signora delle Tenebre (1978), inventava una pseudo-scienza chiamata Megalopolimanzia: la scienza di prevedere il futuro osservando le grandi città, come fossero "sfere di cristallo". La città è un punto di osservazione privilegiato di ciò che ci attende nell'immediato futuro; e le città sono i cardini del mondo capitalista, la cui macchina che si è guastata, che non funziona più come un tempo. "Sotto i cieli della nostra amnesia" dimentichiamo che il fascismo non è arrivato annunciandosi, ma ce lo siamo trovati di sorpresa; e dimentichiamo anche che il connubio tra crisi economica e incapacità dei governanti dello stato democratico di fronte ad essa è stata la premessa che, decenni fa, ha dato via libera alle dittature di Mussolini ed Hitler. Possiamo essere certi che oggi, nelle medesime condizioni di crisi, incertezza diffusa e di palese impotenza della politica, il mondo occidentale si avvii verso l'era di un nuovo/vecchio fascismo? Forse i segni sono sparsi qua e là, ma si tratta di un fascismo silente, che non si serve più dei metodi autoritari, bensì della persuasione e del sorriso. E' un fascismo che ha sostituito i simboli truci con i marchi dei prodotti, e i gerarchi con gli idoli di massa, gli alti ideali con il vil denaro. E' una ditttatura del vuoto. Il fascismo ha cambiato volto, ma la società che si trova di fronte è sempre quella di un tempo: attaccata alla propria miseria ricoperta d'oro, spaventata dalla diversità, ossessionata dalla sicurezza e dall'ordine. Forse ci troviamo già sotto un nuovo fascismo e non ce ne rendiamo conto, plagiati dall'illusione democratica.
Il ritornello del pezzo "ci rifugeremo all'ombra di una sopraelevata sulla quale sfrecciano gli uomini senz'anima" è ispirata ad un disegno raffigurante la Ville Radieuse (la città radiosa) dell'architetto Le Corbusier, ennesima utopia urbanistica più simile ad un incubo che ad un sogno.

 
Le Corbusier, Piano per una città di tre milioni di abitanti (1922)

Letture: il libro "Fascismi. Passato, presente e futuro" di Walter Laqueur (Tropea 2008) tratteggia dettagliatamente i caratteri del fascismo storico, affronta il neo-fascismo europeo dal dopoguerra ad oggi e immagina i volti che il fascismo potrà assumere nei prossimi anni. Sugli intrecci tra architettura, totalitarismi e strategia politica, un paio di libri hanno stimolato la nostra creatività: il saggio di Sudjic Deyan, Architettura e potere. Come i ricchi e i potenti hanno dato forma al mondo (Laterza 2011) e il breve, ma ottimo, Miguel Amoros, La città totalitaria (Nautilus 2009).

3. La città dell'ultima paura

[Un alba sull'asfalto stretti tra le morse grigie dei guardrails che occludono gli sguardi. Le auto erodono la città indifferenti ai vivi dove i cavalcavia sono grumi di solitudine. Percorreremo le vostre autostrade camminando con i nostri piedi scalzi, useremo i nostri corpi per ridisegnare le mappe delle vostre città! La Terra scosterà le ambizioni umane, spegnerà i semafori e ricoprirà d'erba le tangenziali. Strozzatevi col nero delle vostre città un cappio di cavi elettrici e grande sarà lo schianto della supremazia umana! Percorreremo le vostre autostrade camminando con i nostri piedi scalzi, useremo i nostri corpi per ridisegnare le mappe delle vostre città. Il tempo insieme non ritorna, dammi un bacio ancora, come se fosse l'ultimo...]
Il titolo è quello di un piccolo film italiano a basso costo, girato nel 1975. Nel film il protagonista si risveglia in una Torino deserta: una misteriosa catastrofe (un'esplosione atomica?) ha fatto sparire l'intera popolazione.
Il pezzo parla del collasso della città come orizzonte ultimo del suo irresponsabile sviluppo. C'è naturalmente molta della sottocultura con la quale siamo cresciuti, dai fumetti, ai film, ai cartoni animati, ai fanta-romanzetti di serie B. L'immagine della città distrutta, in rovina, è stato uno dei leit-motiv della nostra adolescenza, grazie ai film catastrofici degli anni '80 (quando tornò in auge la guerra fredda e la paranoia nucleare), ma soprattutto grazie ai manga giapponesi: i landscape di palazzi sventrati o le tavole intricate che descrivono quartieri suburbani bui e congestionati (in manga come Alita, Akira, Hokuto No Ken...) erano tra le cose che ci affascinavano di più da ragazzini: hanno inconsciamente indirizzato la nostra immaginazione verso idee ecoradicali e primitiviste. La psicanalisi potrà spiegare perché ad un certo punto l'iconografia fantascientifica di massa sia stata monopolizzata dall'immagine della città distrutta; fatto sta che per noi, la balena spiaggiata sulla Neo-Tokyo disegnata da Katsuiro Otomo (l'autore di Akira) o il grattacielo trafitto da una petroliera in Ken il Guerriero, sono simboli indelebili, che hanno un legame fortissimo con una spiegazione in senso ecologico della catastrofe!


C'è un artista digitale giapponese, TokyoGenso, le cui opere raffigurano Tokyo dopo una misteriosa catastrofe che l'ha restituita alla vagetazione: sembrano fatte apposta per illustrare la nostra canzone! La città distrutta fa paura, ma la vegetazione che la fagocita ci riporta ad un'idea primigenia di pace e di libertà. L'"ultima paura" prima di un ritorno all'ordine originario delle cose. Il titolo del pezzo ci sembra essere adeguato a questa duplicità che uno scenario simile trasmette...






Letture. Rimanendo in un contesto di cultura pop e letteratura sci-fi un po' di serie B, un nostro personale must è il dittico fanta-socioliogico ultra-paranoico sul collasso metropolitano ad opera del matematico Roberto Vacca, pubblicato negli anni '70: "Il medioevo prossimo venturo" (1971) e "La morte di Megalopoli" (1974). Il primo è la disamina (naturalmente, seriosissima e suffragata da dati esustivi!) di un probabile quanto ineludibile collasso delle città moderne; "La morte di megalopoli" è la versione romanzata delle teorie enunciate nel primo libro. 

4. La Siberia sui tetti

[Dita dolenti aggrappate alle stelle mentre il freddo dell'inverno ci azzanna le vene scoperte e un vestito di piume di corvo nasconde i nostri sogni ai radar del nemico. La Siberia sui tetti, il fuoco tra le dita, una lama obliqua alla gola del futuro. Occhi rivolti alla luna trasparente che ha prestato la sua luce alle insegne dei fast-food. Con un ombrello di ossa e sacchetti ripariamo dalla pioggia i nostri amori incompresi... Forza i lucchetti, viola i giardini segreti, il futuro è da cercare in quelle pozze d'acqua nera che sembrano morte, ma riflettono il cielo].
Quando uno squat viene sgomberato di solito si resiste sui tetti, come naufraghi su un'isola di cemento. E se è inverno, la città è spietata e la situazione assume i contorni di un impresa eroica. La Siberia sui tetti parla di queste cose e degli spazi occupati in generale, per avviare una riflessione più ampia sulla qualità dello "spazio" nelle nostre città. Negli spazi residuali della metropoli, si nascondono giardini segreti, chiusi da cancelli i cui lucchetti non sono difficili da forzare. Nei posti dove nessuno guarda si trovano tesori, mentre gli spazi nei quali la maggior parte della gente vive e trascorre la sua giornata sono sempre più spazi-spazzatura. Pensate ai centri commerciali, ai complessi industriali, agli uffici, agli aeroporti... enormi contenitori semivuoti, dove lo spazio eccede di gran lunga rispetto all'uso. Oggi le nostre città, dal centro alla periferia, fino all'amorfo hinterland, sono invase da spazio-spazzatura, dove si passa (i quartieri commerciali), si vegeta (le stazioni, gli aeroporti), ci si aliena (gli spazi di lavoro), si compiono azioni prive di qualsiasi componente sociale (i grandi magazzini, gli ipermercati, gli shopping center...). Questi (non)luoghi vacui, brutti, alienanti, anaffettivi, verranno ereditati dai futuri abitanti del pianeta Terra come ingombrante spazzatura, troppo ingombrante per essere buttata nello scarico del cesso.
Gli spazi occupati sono invece spazi vissuti, sudati, abitati, condivisi, di tutti; sono spazi gioiosi, pieni di storie, di  ricordi. Negli spazi occupati (tutto il contrario di spazi spazzatura, benché a volte al loro interno la pulizia non sia la priorità, ahahah!) siamo cresciuti: umanamente, artisticamente e politicamente. Sedici anni fa ci siamo formati sul pavimento del vecchio C.S.O.A. Garibaldi e fin da ragazzini abbiamo vissuto gli spazi occupati della città come il vecchio Laboratorio Anarchico, lo stesso C.S.O.A. Garibaldi, il famigerato Kasotto, Villa Vegan, e il Telos di Saronno, e dentro questi posti abbiamo registrato buona parte dei nostri dischi e suonato la stragrande maggioranza di nostri concerti. Lì abbiamo conosciuto tante persone importanti, tante amiche e tanti amici con cui abbiamo condiviso mille esperienze. Purtroppo il destino degli spazi occupati é quello di essere demoliti o ripuliti per fare spazio a qualche edificio-spazzatura o per essere riconsegnati ad una cittadinanza che non sa che farsene: è davvero triste, non trovate?

Veduta dalla vetrata del C.S.O.A. Garibaldi (RIP) (Milano, febbraio 2005)


Letture. Il saggio "Junk-space" dell'architetto olandese Rem Koohlas (Quodlibet 2010) è l'atto di nascita del concetto di spazio spazzatura. E' scritto in maniera abbastanzza visionaria e scombiccherata da non risultare indigesto. Sarà poi superfluo ricordarlo, ma ogni moderno squatter metropolitano che si rispetti non può esimersi dalla lettura di T.A.Z. di Hakim Bey (Shake 1997, 2006), per noi un'inesauribile fonte d'ispirazione, una specie di libro sacro ricco di rivelazioni ed insegnamenti!
5. Tu, alla fine del sottopassaggio
 

 

E' un pezzo... rullo di tamburi sfondati... psicogeografico! Di mezzo c'è un sottopassaggio, uno dei luoghi più tetri e sinistri delle nostre città, che qui viene utilizzato come scenario di una non ben identificata vicenda sentimentale. La psicogeografia è un approccio creativo alla cartografia: approfondendo i legami tra psiche e ambiente, si pone in modo critico nei confronti della geografia classica ponendo quale obiettivo primario la ridefinizione creativa degli spazi urbani, secondo criteri che nulla hanno a che fare con la toponomastica e l'obiettività tipica del cartografo, bensì con i sentimenti, l'arte, la poesia e gli stati di alterazione psichica. Anche gli spazi più insignificanti come un sottopassaggio possono essere cruciali in una riscrizione psicogeografica della città. L'esplorazione psicogeografica urbana è un'esperienza entusiasmante: dotati possibilmente di sostanze alcooliche o allucinogene si va alla deriva, ovvero si seguono linee di esplorazione del tutto casuali o arbitrarie, alla ricerca non di luoghi, ma di sensazioni, o meglio, di rivelazioni.

Gilles Ivain

Pare che all'origini della psicogeografia ci sia Friedrich Ratzel, fondatore della geografia antropica, ma il primo grande teorico e sperimentatore psicogeografico fu Gilles Ivain, autore del Formulario per un nuovo urbanismo (1953). Ivain (che in realtà era russo e si chiamava Ivan Chtcheglov), faceva parte dei Lettristi, un movimento d'avanguardia artistica degli anni '50 da cui scaturì il più noto Situazionismo. I Lettristi si ponevano quale obiettivo quello di rinunciare alle parole in ogni genere di espressione artistica. Per questo nel nostro pezzo psicogeografico non c'è testo, ma soltanto sensazioni!

Letture. Non c'è niente di meglio che chiudere i libri e dar fondo alla vostra creatività per un approccio psicogeografico al mondo! Cambiate i nomi delle strade e riscrivetene le mappe, poi mettetevi di buona lena e cominciate a vagabondare! Però se proprio volete saperne di più su questa inafferrabile disciplina senza regole c'è un libro che racconta l'epopea psicogeorgrafica dei lettristi ed é  Daniele Vazquez "Manuale di Psicogeografia" (Nero su Bianco 2011); poi se non siete ancora paghi, vi consigliamo due saggi a firma Luther Blisset consultabili su internet ovvero "Della guerra psichica nella metropoli traiettoriale" e "Nomadismi superficiali alla conquista della Terra". Infine, impossibile non consigliare uno dei più avvincenti e commoventi resoconti di un'esperienza psicogegrafica, un nostro super-cult: Werner Herzog "Sentieri nel ghiaccio" (Guanda 2009), diario psicogeografico del viaggio a piedi (!) che il regista tedesco fece nel novembre del 1974 da Monaco a Parigi! 

13 commenti:

  1. inquietante!
    non è che ne terreste una copia per il buon saverio?
    savesk8@hotmail.it

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  2. Caro Saverio...certo! Se vieni a Bologna il 20 di Ottobre la trovi al nostro banchetto! Un abbraccio

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    1. Ohbene messere! Dunque vi presenzierò senza frapporre indugio alcuno.
      Ossequi

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  3. mah...come minchia fate a non sbagliarne mai una eh???

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  4. non sbagliano mai perchè sanno quello che fanno
    pop first9

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  5. Il tuo commento evangelico si riferiva alla "consapevolezza"?

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  6. Brilliant work, greetings from greece

    K

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    1. Thanx Apolitistos! We will be in Greece in March 2013...Stay tuned!

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  7. So excited that you will be touring the states this year!

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  8. Scontato per l'offerta di prestito rapido e di finanziamento tra particolare essere il promotore del vangelo di Dio nel tuo quartiere
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  9. che bomba a manooooo i vostri dischi ..ce li ho sempre in loop in negozio tattoo!!

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