28/06/14

[Russian tour report - 3 di 10]
Domenica 20 aprile. D’ora in poi ci daremo da fare. Verso Nizhny Novgorod
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KINO –  Дальше действовать будем мы (D'ora in poi ci daremo da fare) [Vogliamo vedere oltre le finestre del palazzo di fronte / Vogliamo vivere / Siamo vispi come gatti / Lo sentite il fruscio dei mantelli? Siamo noi, d'ora in poi ci daremo da fare!] (Urss 1986)



[Puj] Oggi si parte! E’ ora di alzare le chiappe e… posarle sul furgone. Nizhny Novgorod (NiNo per gli amici) è la prima tappa del nostro tour dopo la capitale. La giornata inizia un po’ così, in una bar di Mosca dove cerchiamo di comprare un caffè da asporto, ma, a causa di un incomprensione linguistica, il commesso ci infila dentro delle fettine di limone. Lungo i 400 chilometri che separano Mosca da Nizhny abbiamo un primo assaggio delle strade russe. Se pensate che in questo paese esistano autostrade, siete dei poveri illusi: qui la regola sono le provinciali a due corsie piene di buche. 
Sotto il sole primaverile e il cielo cristallino, Nizhny non ha nulla della tipica città sovietica un po' deprimente...
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La bella Nizhny dal furgone
Il fiume e la timida collina su cui sorge il castello (le alture sono una rarità in Russia!) la rendono (quasi) idiliaca. Nizhny, ai tempi del comunismo si chiamava Gorkj, in onore dell’omonimo scrittore, ed era una città chiusa: gli stranieri non ne avevano accesso perché ospitava una fabbrica di sottomarini bellici, per cui tutto era coperto da segreto militare.

Ad un certo punto il navigatore dice “Pavarotje” e Denis svolta in una strada che sale per la collina. Strano, pensiamo noi: anche in questa città c'è una via intitolata a Pavarotti... Pavarotti dev'essere davvero famoso qui in Russia, dato che anche a Mosca c'erano un sacco di vie col suo nome. Denis, tra l'altro, ha notato con un certo senso di fastidio che ad ogni Pavarotje qualcuno di noi inizia a cantare i vecchi successi dell'indimenticabile Pavarotti and Friends, tipo un pezzo delle Spice Girls o di Ricky Martin eseguiti in versione lirica. Denis ci spiega quindi che pavarotje in russo significa “svoltare”: è per quello che la vocina del navigatore lo dice spesso. Ci rimaniamo un po' male. Comunque sia, la spiegazione non ci impedirà di metterci a cantare come Pavarotti ogni volta che, durante tutto il tour, sentiremo il gps pronunciare il suo nome. 
Arrivati in prossimità dello Stanok (il posto in cui suoneremo), imbocchiamo uno sterrato in leggera pendenza. Denis ci dice che una volta quella discesa l'ha fatta in inverno e qualcosa dev'essere andato storto, perché pare reputarla molto pericolosa. Vedendola così non sembra, ma qui in Russia il ghiaccio e la neve trasformano tutto in un problema. Lo Stanok si trova in un vecchio sobborgo di casupole di epoca stalinista, ormai in stato di abbandono...
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Approaching Stanok
Ogni casupola è stata trasformata in una sala prove e in uno degli edifici più spaziosi è stato costruito un palco, e si fanno i concerti. Non si tratta di un posto occupato, ma nemmeno in regola: è quello che Denis definisce sempre nei suoi discorsi "semi-legal" che non capiamo del tutto che cosa voglia dire, ma crediamo che abbia a che fare con quel discorso delle regole che in Russia nessuno rispetta.
Lo Stanok è quanto di più simile ad uno squat piuttosto marcio delle nostre parti e quindi, ci sentiamo a nostro agio. Una situazione molto diversa da quella moscovita della sera prima. Qui suoniamo in una dimensione più intima, per la comunità punk d.i.y. della città. Sono tutti giovanissimi! Prima di noi si susseguono sul palco alcuni gruppi locali. Uno di loro ci titilla i padiglioni auricolari: i Июльские дни (I Giorni di Luglio), un'ottima band in bilico tra il vecchio rock sovietico e il post-punk à la Cure/Joy Division che va discretamente di moda oggigiorno. Detto questo... tocca a noi!



Valeria, durante il break di Angoscia-rock esegue il classico numero del toro meccanico, ma i punk di Nizhny non capiscono la cosa e la interpretano come l'invito ad un caricone collettivo: la povera cantante viene pertanto sepolta sotto una decina di corpi di adolescenti sudati...

NiNo punx!
Dopo il concerto siamo piuttosto affamati. I russi mangiano poco, Denis compreso. Sembra che mangino solo quando hanno fame, ma non poca fame. Tanta fame. Ovviamente in un momento a caso della giornata. Oggi, complice il tabellino di marcia piuttosto serrato non ci siamo fermati per nutrirci ed abbiamo sgranocchiato solo del pane secco che avevamo in un sacchetto. Qualcuno aveva individuato un posto ultra-kitsh nel centro di Nizhny, chiamato Saloon...
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Il Saloon di Nizhny Novgorod
Però scopriamo che ha dei prezzi spropositati: un piatto di patate costa quasi 18 euro! Qui in Russia tutto costa o pochissimo o tantissimo. Iniziamo quindi a camminare alla ricerca disperata di cibo a buon mercato, benché in città sembri vigere il coprifuoco...
Ad un certo punto, il miraggio: un chiosco che vende kebab! In realtà è una specie di finestrella sul muro nella quale Denis infila la testa per interloquire con il commesso, che é del tutto interdetto. Consultiamo il menù e chiediamo nove misteriosi “vegetarian-kebab”. L’omino è colto dal panico: probabilmente non ne aveva mai preparati prima, né aveva mai avuto nove clienti contemporaneamente. Comunque sia, eccoci con i nostri panini in mano: in che cosa consiste un “vegetarian kebab” a Nizhny Novgorod? Beh, ovvio: in una piadina ripiena di carote e maionese! 

 "Il russo in pillole", terza puntata:  Priyatnogo appetita! Buon appetito!

[Continua...]

24/06/14

[Russian tour report 2014 - 2 di 10]
Sabato 19 aprile. Noi, sfaccendati a Mosca. 
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KINO - Бездельник (Sfaccendato) [Tra la folla sono come un ago nel pagliaio. Son di nuovo una persona senza scopo. Ciondolo, tutto il giorno gironzolo. Non so, non so proprio niente. Sono uno sfaccendato, o-o, mamma-mamma. Sono uno sfaccendato, u-uuu…]


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[Puj] Oggi Maksim ci porterà a spasso per Mosca per esaudire due nostri desideri: vedere la Piazza Rossa e andare in un negozio di dischi. Prima però vorremmo espletare alcune formalità burocratiche circa i nostri visti. Ovvero? Partiamo dall'inizio. 
Per poter entrare in Russia occorre un passaporto e un visto: se per il primo valgono le solite raccomandazioni (che non sia scaduto e che non sia stato masticato da un cane), per il secondo tutto si fa molto complicato e incerto. Esistono diverse tipologie di visto russo e per ciascuna di esse valgono regole differenti, ma ugualmente enigmatiche. Noi abbiamo scelto la brillante modalità "visto privato", per l'ottenimento del quale è necessario l'invito da parte di un qualche ente che sia autorizzato dal Governo ad accogliere stranieri sul suolo russo. Dopo un'attesa di circa un mese, tramite Denis otteniamo l'invito da parte di un'agenzia turistica di San Pietroburgo, città, tra l'altro, nella quale non metteremo piede. L'invito avrebbe dovuto contenere necessariamente un elenco delle città e degli alberghi nei quali saremo ospitati durante il tour, ma le città che compaiono sull'invito non coincidono con il nostro itinerario e i nomi degli alberghi sembrano inventati. Pare comunque che sia normale. Con l'invito in mano possiamo finalmente recarci all'agenzia consolare; il problema però è che essendo in otto dobbiamo prendere altrettanti appuntamenti, perché le domande vanno presentate di persona, oppure con delega, ma facendo finta di essere otto persone diverse (ok, la burocrazia russa non è di immediata comprensione...).
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L'invito dell'agenzia
Ci viene raccomandato poi di compilare con estrema cura il modulo di richiesta del visto, completo di tutti i dati circa i nostri... posti di lavoro! Pena la convocazione da parte del console in persona per un interrogatorio! Fortunatamente, non abbiamo avuto il piacere di incontrare il console ed abbiamo ottenuto i nostri visti senza problemi, anche se a pochi giorni dalla partenza. L'agenzia consolare si è raccomandata però che effettuassimo non più tardi di una settimana dal nostro arrivo in Russia la cosiddetta "registrazione del visto", un'operazione che pare possa avvenire presso un'agenzia (ad un costo raccapricciante) oppure in ufficio postale al costo più contenuto (e sparato a caso) di 4 euro, anche se - ci mette in guardia la signora dell'agenzia - negli uffici postali è difficile trovare qualcuno che sappia qualcosa circa la registrazione dei visti (?). Insomma: in questa faccenda del visto quel che è certo è che niente lo è.
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Il visto per la Russia
Tornando a noi, domandiamo a Maksim dove possiamo andare per effettuare la fatidica registrazione dei nostri visti. Maksim ci osserva con aria interrogativa, come se avessimo un topo in bocca. Quando capisce quel che vogliamo, ci spiega che, per quanto possiamo desiderarla con tutte le nostre forze, si tratta di una cosa che non si può fare. Perché, anche se frugassimo ogni anfratto della Russia, non troveremmo nessuno che ci registri il visto. Ci spiega che in Russia esistono un'infinità di regole che nessuno rispetta. E' normale. Detto questo, però, si raccomanda molto di conservare con cura un foglietto enigmatico che ci hanno consegnato in aeroporto e che consiste nella carta d'immigrazione temporanea; va riconsegnata all'uscita dal paese, pena un temibile iter poliziesco che si concluderà con una multa salatissima e la perdita praticamente certa del volo di ritorno.
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La carta d'immigrazione
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Alcuni di noi non avevano dato molta importanza a quello scontrino rifilatoci dal baffone alla dogana. Spaventati, lo recuperiamo e lo riponiamo al sicuro, chi nel portafoglio, chi nel passaporto. Il nonno, previdente, lo aveva già messo al sicuro: in un cestino della spazzatura all'angolo della strada.
L'unica attrazione della Piazza Rossa alla quale decidiamo di dedicare del tempo è una coppia di signori vestiti da finti Stalin e Lenin che si fa fotografare con i turisti al costo di 200 rubli...
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Il Nonno si complimenta con Lenin per la buona riuscita della NEP, mentre Stalin illustra il Piano Quinquennale ad un passante
Per il resto, vorremmo far visita al mausoleo di Lenin (quello vero), ma non siamo i soli ad averne voglia: la fila alla biglietteria inizia lì e finisce fuori città. Quindi lasciamo perdere e chiediamo a Maksim di portarci al negozio di dischi. Lui dice: è qua dietro, cinque minuti a piedi. Un'ora dopo siamo a metà strada. Mosca è spietatamente grande, volgarmente mastodontica, "è sul lato opposto della strada" non vuol dire che si è arrivati, perché può trattarsi di una strada a dieci corsie funestate da un traffico feroce; "il prossimo isolato" non significa niente: gli isolati possono essere mostruosi megaliti senza fine e senza inizio. "Un paio di fermate di metrò" è un'affermazione disonesta e pusillanime: la metropolitana di Mosca corre più o meno attigua al centro della terra: solo per raggiungere i vagoni ci vuole un quarto d'ora di scale mobili!
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Mosca, insomma, è magnifica, gigantesca, gotica, straniante, complicata... ma è anche una delle città più affascinanti che abbiamo mai visto: ai nostri occhi appare, come dire, “incoerente”, sembra in bilico tra diverse dimensioni temporali e pare non avere una precisa collocazione nel nostro immaginario...
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Mosca ha elementi occidentali ed altri orientali che, in un caso o nell’altro, non sono riconducibili agli stereotipi che noi abbiamo di queste due dimensioni. Qui l'occidente che conosciamo è rappresentato soltanto dalle insegne dei negozi alla moda, il resto è ancorato al passato sovietico molto più di quanto si possa pensare: gli intervalli enormi tra i caseggiati, i palazzi di cemento, le vecchie Lada, i cortili segreti; l'oriente è invece quello misterioso dell'Asia centrale, a noi sostanzialmente sconosciuto: ce lo raccontano i numerosi passanti dai lineamenti mongoli che incrociamo, i pope delle chiese ortodosse, i colori giallognoli delle case, la polvere sulle auto...
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"Ciao Puj, sono Fedor Dostoevskij! Come te la passi?"
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Ad un certo punto arriviamo al negozio di dischi e possiamo sfogare la nostra mania per i vecchi vinili di rock sovietico. Evviva!
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L'antica arte di far scorrere i vinili con le dita

Stasera si suona al Manifest, un club un po' chic nel pieno centro della città. Come veri professionisti, arriviamo lì con largo anticipo e facciamo diligentemente il soundcheck, poi, come veri dilettanti, decidiamo di andare a recuperare delle birre per ubriacarci prima del concerto. Entriamo in un produkti. Un produkti è un piccolo supermercato russo, un mini-market solitamente brutto e buio, che ha articoli non troppo alla moda. Compriamo varie bottiglie di Baltika di diversi numeri. Un tizio ci si avvicina e ci sussurra: "Pazzi! Non bevete mai la Baltika numero 9!". Scopriamo che la Baltika 9 ha otto gradi alcolici di pura birrosità sintetica ed è il corrispettivo delle nostre lattine di Bavaria 8.6, quelle cose che decidi di bere solo quando vuoi separarti dalle tue spoglie mortali ed immergerti nell'abbraccio panteistico di un mistico hangover.
Usciamo dal produkti con sacchetti ben pasciuti di birre gelate, voluttuose e umide di rugiada. Purtroppo però in Russia è assolutamente vietato bere alcolici per le strade (mentre è fortemente caldeggiato farlo in privato). Interviene Maksim: "Conosco un parco dove si può bere!". Dov'é? "...è qua dietro, cinque minuti a piedi".
Dopo un'ora siamo a metà strada. Una scarpinata surreale, e arriviamo finalmente al parco, però è recintato per lavori in corso e non ci si può entrare. Maksim sembra scosso, ma gli diciamo di non preoccuparsi: ormai non ci interessa più di essere arrestati o spediti in Siberia ai lavori forzati; la birra la berremo qui, in mezzo a questa piazza sconfinata, e succeda quel che succeda. Poi l'idea: se andiamo a sederci sulle panchine adiacenti a quel teatro, lì sì... si può bere! Come?! chiediamo noi: qui a due metri dalle panchine no, ma lì sulle panchine attaccate al muro del teatro sì? E' assurdo! Un'amica di Maksim ci dice sconsolata: "Sì, è assurdo, ma tante cose sono assurde in Russia!”.
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Shopping al Produkti



Finiamo la birra senza essere arrestati, e Maksim, impietosito, ci propone di tornare indietro in taxi. In questo paese i taxi sono poco costosi e soprattutto sono facili da trovare, perché... qualsiasi auto è un taxi. Basta mettersi al bordo di una strada, alzare la mano e qualcuno si ferma. Si contratta e si sale. Alcuni di noi salgono con un autista di origine kazake, con tutti i denti d'oro. Capito che siamo italiani, ci chiede di cantargli una canzone. Il nonno attacca con un classico tautologico: l'italiano di Toto Cutugno, inno trash al pomodoro e basilico famosissimo in Russia, come nel resto del mondo; quando Sandro Pertini fece visita in un paese africano, la banda locale suonò quella canzone al posto dell'inno di Mameli perché i governatori locali pensavano che fosse l'inno nazionale...
Bissiamo il successo ottenuto con Toto Cutugno sfoderando una scontatissima Felicità di Al Bando e Rovina, altra porcheria celebre in Unione Sovietica, tanto che un gruppo rock d'avanguardia d'epoca comunista, gli Strannye Igri, ne fece una cover (per altro geniale):



Siamo molto curiosi circa lo show al Manifest perché nel corso delle settimane precedenti si è creata una certa attesa a riguardo: Maksim, Anna e Denis hanno fatto una promozione feroce dell’evento, a suon di interviste e articoli su webzine, radio e siti vari. Abbiamo apprezzato molto questo impegno; quella della promozione è una prassi che oggi da noi si è un po' persa, ma, se ci si pensa con attenzione, appare ovvia e piuttosto opportuna. Il battage pubblicitario pare infatti aver funzionato: il concerto è sold out, il club è pieno...




Dopo il concerto ci ritiriamo nel nostro signorile privé dove ci è stato riservato un tavolo. Ordiniamo del riso in bianco da mangiare, l’unica cosa che siamo sicuri sia vegan. Il privé non è poi tanto privé però, perché, ad un certo punto, si siede con noi un simpatico russo in tuta da ginnastica, il quale ci porta in dono una bottiglia di vodka: “Grazie caro, non dovevi disturbarti! La apriremo a Natale. Ciao, e grazie ancora!”. No. Non funziona così: in Russia quando qualcuno ti offre della vodka la devi bere lì, con lui, in fretta e, soprattutto… TUTTA!

“Il russo in pillole”, seconda puntata: Zasdarovie! Alla salute!

[...Continua...]

19/06/14

[Un paio di mesi fa siamo tornati da un avventuroso tour nella Federazione Russa. Ora vi raccontiamo più o meno come è andata, e lo faremo a puntate. I personaggi sono: otto italiani vestiti di nero, un super-eroe russo alla guida un furgone ed alcune decisive figure di contorno che hanno fatto in modo che la trama si concludesse con un lieto fine; tipo quello dei telefilm degli anni '70, dove tutti ridono e si danno le pacche sulle spalle. Ah, dimenticavamo le vere protagoniste di tutta questa storia: le buche sulle strade. Buona lettura!

[Russian tour report 2014 - 1 di 10]
Venerdì 18 aprile, arrivo a Mosca. Primavera russa, sei mite e fangosa! 

[Кино - Весна (Primavera): "Un raffreddore senza fine. Primavera – Di nuovo splende il sole. E io ho le scarpe bagnate. Primavera – E di nuovo vado a spasso…" da "Это Не Любовь..." Urss 1985] 


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[Puj] Fuori dal finestrino del treno che collega l'aeroporto alla città, scorre la suburbia moscovita fatta di vecchi edifici d'epoca sovietica e tanto fango. Il fango è inevitabilmente il segno della primavera russa, quando il ghiaccio e la neve si sciolgono. Quindi, sia benedetto il fango, perché oggi il c'è il sole e fa caldo! 

Essere a Mosca non ci fa più quell'impressione strana che ci fece cinque anni fa, quando ci andammo per la prima volta a suonare. Certamente torna la sensazione di trovarsi in una città troppo grande per essere abbracciata con la mente tutta in una volta: la nostra immagine di Mosca è un puzzle composto a metà, con i pezzi incastrati nel verso sbagliato. Considerato che in questa città vivono quindici milioni di persone, ovvero il 10% di tutta la popolazione russa, è abbastanza normale che la situazione risulti un po' confusa. 
C'è anche da dire che siamo tutti proiettati verso i prossimi giorni, quando partiremo in furgone per intraprendere il tour che ci porterà in sette città ad est di Mosca, fino in Asia, alle porte della Siberia. Nell'ordine: Nizhny Novgorod, Saransk, Togliatti, Kazan, Kirov, Perm', Ekaterinburg. Otto concerti, incluso quello di domani nella capitale. Mosca ci pare piuttosto familiare rispetto alle lande incognite che ci attendono.



L'idea di questo tour, come tutte le idee ottime o pessime che siano (ma mai mediocri), è nata dopo un'abbondante bevuta di vino a garganella. Quella sera di due anni fa portammo un nostro vecchio amico moscovita in trattoria. Maksim si trovava a Milano per turismo, così decidemmo di fargli visitare la trattoria meno turistica della città. Lì scoprì la sua bevanda preferita, il limoncello, che tracannò come fosse gazzosa. Parlammo del nostro tour del 2009 a Mosca e San Pietroburgo, che ovviamente era stata un'esperienza entusiasmante, e l'idea di tornare in Russia ci sembrò abbastanza naturale. Però volevamo darci mete più audaci, uscire dalle solite rotte. Sei mesi dopo, Maksim ci passa il contatto di un driver che aveva iniziato a portare in giro gruppi punk nell'ex-Urss. Lo contattiamo. Ci sorprende: sembra veramente non avere paura di nulla. Inizialmente, infatti, parliamo di un tour in Kazakistan, e lui ne è entusiasta. Purtroppo scopriamo che si tratta di un'idea bella ma anche brutta, quindi alla fine optiamo per gli Urali. Eccoci qui, quindi, in compagnia di mister Denis Alekseev, professione driver, due anni dopo quella simpatica bevuta con Maksim (su sua esplicita richiesta abbiamo una bottiglia di limoncello in valigia).

Denis è davvero russo, ma non immaginatevi un tipo con i capelli a spazzola e il fisico da buttafuori come tutti si figurano i russi perché sono abituati a vederli così nei film americani: Denis è molto più autenticamente russo. Sembra un Raskolnikov, un personaggio scapigliato e po' assorto uscito dalle pagine di Dostoevskj.
Dalla stazione del treno sbuchiamo in Belorusskaya, incrociando subito qualche faccia patibolare ed alcuni venditori ambulanti di oggetti brutti. I muri della piazza sono tappezzati di centinaia di annunci. Chiediamo a Denis a che cosa si riferiscono. Droga e armi, risponde. Scherza, naturalmente. 
L'ostello nel quale trascorreremo due notti a Mosca si trova su Zemlyanoy Val (una strada larga dodici corsie). O meglio: su quella strada si trova un cancello di ferro, poi si apre il cancello e ci si trova nel cortile di un vecchio edificio sovietico dall'aria trasandata; e lì da qualche parte, alla base dell'edifico, ci dovrebbe essere l'entrata dell'ostello. Vediamo, però, solo laconici portoncini senza scritte né cartelli. Leggendo delle città sovietiche, sappiamo che in epoca comunista un po' tutto era nascosto all'interno di cortili come questo (non sembra essere cambiato molto da allora). Nei romanzi russi, infatti, c'è sempre qualcuno che cerca qualcosa e non la trova. Poi, però, proprio come in un romanzo di Bulgakov, per un caso bizzarro, fortuito e del tutto surreale (da una porta esce una tizia ubriaca che... parla italiano!), troviamo l'entrata. Una vita trascorsa a leggere i classici della letteratura russa naturalmente offre conforto in queste circostanze.

L'ostello è in realtà un appartamento di un paio di locali, con un atmosfera un po' caotica, ma molto familiare, kommunalka-style. Scopriamo, con moderato piacere, che la signora ubriaca che parla italiano è una nostra compagna di stanza.
Alcune caratteristiche degli appartamenti russi: 1) quando si entra bisogna togliersi le scarpe; 2) il  riscaldamento va a manetta e fa caldissimo 3) il bagno è uno solo, fatevelo bastare. In merito al punto uno, occorre sottolineare che, solitamente, in ogni casa sono a disposizione degli ospiti babbucce sintetiche usa e getta dalla linea davvero out, ma funzionali. A causa della loro composizione chimica, occorre solo far attenzione a non sfregarle troppo sul pavimento, onde evitare di innescare un incendio. Per il punto due non si può fare nulla, se non sperare che le azioni della Gazprom calino vertiginosamente. Il punto tre invece è troppo complicato da affrontare dettagliatamente in questa sede perché porta con se una serie di corollari davvero fitta e variegata; basti dire che, fortunatamente, alcuni di noi non sono fan dell'acqua, e tendono a non detergere il proprio corpo se non quando la situazione supera determinati limiti, per la verità piuttosto remoti; quindi, tutto sommato, riusciamo a gestirci serenamente un bagno in otto.
Nel frattempo fuori si è fatto buio e decidiamo di uscire per vivere intensamente questa nostra notte moscovita. Da domani ogni sera sarà un concerto, quindi ora vogliamo un po' di intimità, un posto tranquillo, dove nessuno ci conosce, dove non ci sono orde di fan che ci chiedono di firmare autografi o di scattare foto insieme, nelle quali facciamo le corna e la faccia cattiva da metallari. Ah,ah,ah.




Trascorriamo bei momenti, seduti con le gambe sotto al tavolo di un ristorante che prima pare georgiano, poi forse azero, poi alla fine non si capisce più niente perché alle pareti ci sono orrendi dipinti di Parigi e qua e là riproduzioni della torre Eiffel in colori fluo. Si tratta banalmente di un ristorante kitsch. Le luci colorate proiettate sul soffitto non aiutano.

Ordiniamo alcuni piatti che non capiamo bene cosa siano, beviamo qualche birra, chiacchierando con Denis di rock sovietico, del partito Nazionalbolscevico e del destino che ci attende nei prossimi dieci giorni. La birra russa è davvero buona, ma i locali non ne vanno pazzi. Denis dice di preferire una birra italiana chiamata Moretti. La birra italiana chiamata Moretti è ok, diciamo, ma è anche noiosa, è sempre uguale a se stessa. Questa Baltika, invece, dolce e vellutata com'è, nonché imprevedibile nei suoi mille gusti contrassegnati da un numero, non solo inumidisce le nostre gole torride, ma conferisce slancio al nostro spirito.
Per fare subito brutta figura con il nostro nuovo amico gli chiediamo di insegnarci qualche insulto in russo, cosa che lui si rifiuta saggiamente di fare perché ha capito che per i prossimi dieci giorni non avremmo fatto altro che ripetere insulti in russo finché un energumeno siberiano non ci avrebbe accoltellati.
Ad un certo punto ci raggiunge Maksim: la prima cosa che fa è ordinare un vin brulé. Poi ci abbracciamo. Notiamo che Denis non mangia, ci sembra strano, ma il fatto che lo vedremo mangiare qualcosa solo fra due giorni è ancora più strano... 

"Il russo in pillole", prima puntata: Spakoinj Noci! Buonanotte! 

[Continua...]

18/06/14

[New K.coll. record!]
KALASHNIKOV/CONTRASTO
Come il soffitto di una chiesa bombardata" split 10" (2014)
Dopo la solita - ma necessaria - trafila di sbattimenti vari, uscirà, fra qualche giorno, lo split album tra Kalashnikov e Contrasto: un 10" stampato in 1000 copie, vinile azzurro trasparente, e libretto di 12 pagine a colori. 
Questa volta abbiamo voluto riflettere sul tema della guerra nel rapporto con il suo opposto, la pace. Da sempre, la guerra fa da sfondo alla musica punk che piace a noi, quella più apocalittica e paranoica. Il punk stesso è sempre stato in guerra: contro il gusto predominante, contro la morale borghese, contro le istituzioni, e contro un'infinità di altre cose che danno noia.
Abbiamo affrontato il tutto con il nostro consueto approccio distopico e creativo, per concludere che pace e guerra sono oggigiorno due parole ambigue, inflazionate e lasciate alla mercé di gente senza scrupoli, tanto da essersi svuotate di significato. Sentiamoci quindi liberi di attribuire a queste due parole un significato nuovo e creativo, che vada aldilà dell'inganno del potere e della retorica dei benpensanti. Sentiamoci liberi di reinventare, ribaltare e sconvolgere i concetti di pace e di guerra. 
Musicalmente parlando, sul lato K troverete una nostra personale reinterpretazione del crust/d-beat (parlando di guerra quale sottogenere del punk é più adatto?) e alcuni esperimenti meta-musicali, robe ambient e un reading di prosa poetica. Non spaventatevi. Al link qua sotto, trovate invece una pagina dedicata al disco, con testi e riflessioni varie. 


Come dicevano i Crass: "Combatti la guerra, non le guerre!".