24/05/10

[We talk about...]
A CERCHIATA!
[Puj] Chissà quanti credono che la A cerchiata sia stata inventata dal punk inglese negli anni ’70... e chissà quanti rispondono che la A cerchiata esisteva ai tempi degli anarchici con i baffi dell’800! Entrambi sbagliano, perché la realtà è un po’ diversa e per certi versi sorprendente.
Noi utilizziamo la A cerchiata e lo facciamo con un certo orgoglio, non solo perché è un simbolo che, benché ormai lo si trovi su ogni tipo di gadget, racchiude significati e valori in cui tutt’ora crediamo, ma anche perché appartiene a noi milanesi più di quanto si creda. D'altronde, i primi ad utilizzare il simbolo della A cerchiata in maniera diffusa sono stati gli anarchici a Milano negli anni ’60!

Ecco la storia. Il simbolo anarchico per eccellenza, nel XIX secolo era la bandiera nera, di chiara ascendenza piratesca. La A cerchiata fu proposta come simbolo anarchico internazionale, con l’intenzione di superare correnti e divisioni all’interno del movimento, nel 1964 da parte della Jeunesses Libertaires (un gruppo anarchico francese, piuttosto microscopico). Eccone le motivazioni: “Due motivazioni principali ci hanno spinto: innanzitutto facilitare e rendere più efficaci le scritte ed i manifesti murali, e poi di assicurare una presenza più ampia del movimento anarchico agli occhi della gente ed un carattere comune a tutte le espressioni dell'anarchismo nelle sue pubbliche manifestazioni. Più precisamente, si trattava, secondo noi, di trovare un mezzo pratico che consentisse da un lato di ridurre al minimo il tempo impiegato per firmare i nostri slogan sui muri e dall'altro di scegliere un segno sufficientemente generale da poter essere adottato da tutti gli anarchici. La sigla da noi proposta sembra rispondere a questi criteri. Associandola costantemente alle espressioni verbali anarchiche finirà, per un noto automatismo mentale, con l'evocare da sola nella gente l'idea dell'anarchismo”.
Fatto sta che l’idea, per quanto ben congeniata, non trovò immediato seguito negli ambienti libertari né francesi né internazionali. Furono i soli anarchici milanesi del Circolo "Sacco e Vanzetti" ad utilizzare il simbolo, dal 1966, finché non fu sdoganato definitivamente dal ’68 francese. I milanesi furono i primi a sprayare sui muri la fatidica A o ad utilizzarla nei volantini ciclostilati. Solo poi, negli anni ’70, si diffuse in maniera massiccia per il mondo, diventando nel corso degli anni un simbolo del punk, ma anche un marchio alla moda da stampare su borse, t-shirt e polsini.
Noi pensiamo che la A cerchiata incarni ancora profondi e innovativi significati, e per questo la utilizziamo. Ma ne utilizziamo una versione più seriosa di quella che comunemente si vede in giro sulle magliette vendute al mercato, non scarabocchiata e senza le gambe della A che escono dal cerchio. Meno punk, insomma; come quella che vedete qui a fianco, la prima, originaria A cerchiata pubblicata sul bollettino della Gioventù Libertaria francese!

22/05/10

[Free music for punx]
ALEKSANDR BASHLACHEV (U.r.s.s. 1960 - 1988)
[Puj] La cultura underground russa dell'epoca comunista è fonte di meraviglie sulle quali, almeno dalle nostre parti, non si è spesa una goccia d'inchiostro (o una battitura di word). Poeti punk come Yanka Dyagileva e Igor Letov valgono tutta la fatica che ho fatto per scovarli e tradurne (malamente) i testi.
Del più fragile e disperato poeta sotterraneo degli anni '80 sovietici, però, non avevo ancora parlato. Il suo nome é Aleksandr ("Sasha") Bashlachev, (soprav)visse per ventotto anni prima di gettarsi dalla finestra di uno squallido appartamento di Leningrado (l'odierna San Pietroburgo). Malregistrò una quantità abbastanza rilevante di pezzi per voce e chitarra acustica: ballate selvatiche nel segno di una perenne inquietudine interiore.
A differenza di Yanka e Letov, Sasha non era di origini siberiane, ma nacque a Cherepovets, cittadina a nord di Mosca.
Sasha non fu parte della sottocultura punk (i suoi miti erano i Doors e Jim Morrison) e non conobbe mai la fine dell'epoca comunista. Arrivò ad un passo dal riconoscimento ufficiale da parte dell'industria musicale sovietica, grazie anche all'intraprendenza di un giovane avventuroso promoter underground, Artemy Troitsky, che, nella Russia capitalista degli anni '90 sarebbe diventato un noto giornalista. Troitsky incontrò Sasha nella sua città natale, nel 1984, nel pieno della campagna anti-rock promossa dal governo sovietico. Ne nacque una salda amicizia e un serie di sgangherati concerti in giro per la Russia.
Sasha fu circondato da una cerchia di amici fedeli che cercarono di aiutarlo in tanti modi, sostenendolo nelle difficoltà di una vita nomade e segnata dalle ristrettezze economiche. Ad un certo punto fecero anche una colletta per pagargli la sistemazione della sua dentatura disastrata (effetto tipico dell'alimentazione carente di vitamine dei russi del nord), ma lui quei soldi li spese chissà come. Forse li utilizzò per acquistare marjuana, di cui era diventato nel frattempo frenetico consumatore; nella Russia comunista ciò non solo era costoso, ma anche molto pericoloso. Nel 1987 Sasha conobbe Nastya, una studentessa di teatro, con la quale andò a vivere a Mosca, senza un soldo e senza una casa. I due furono ospitati a turno da amici e conoscenti. Le cose peggiorarono quando Nastya scoprì di aspettare un figlio. Pochi giorni prima di diventare padre (e che la casa discografica di stato gli proponesse un contratto, cosa che probabilmente avrebbe risolto almeno i suoi problemi economici) Sasha si uccise.
Le canzoni di Aleksandr Bashlachev raccontano la decadenza della Russia sovietica e della sua gioventù priva di prospettive. "Fuori Stagione" è una delle sue prime composizioni: "Toppa dopo toppa, i jeans sono diventati bianchi. I nostri modesti stipendi sono appena sufficienti per pagare gli aborti clandestini. Siamo fuori stagione. E questo è tutto ciò che abbiamo: un sogno letargico, umiliante come la vecchiaia. Cinque copechi per un cent. Mi sento inerme, e questo è più che essere stanchi...". "Il Tempo delle Piccole Campane" divenne, dopo la sua morte, l'inno ufficioso del rock sovietico: "Per secoli mastichiamo le maledizioni e le preghiere, per secoli viviamo con gli occhi strappati. Ciò che abbiamo costruito, ora è coperto dalle bufere. Abbiamo bevuto vodka per una settimana e abbiamo avuto il malditesta per un anno. Abbiamo maledetto la nostra pelle e cucito i bottoni sulle nostre costole".
Da qui sotto potete scaricare la raccolta intitolata "Лихо", una delle tante antologie dedicata a Sasha Bashlachev dopo la sua morte: un doppio cd con una registrazione effettuata a Mosca nel 1986...

>>> Download Aleksandr Bashlachev
- Лихо anthology in .mp3 (.rar - 110 mb.)

21/05/10

[Torniamo brevemente sul tema dell'energia nucleare con questo stralcio di articolo riesumato dal n. 89 di A Rivista Anarchica, febbraio 1981. Datato? No, attuale!...]

Nucleare ed eterogestione (
di Yvon Bourdet, tradotto dalla rivista "Autogestions" n. 4/80)
"La costruzione delle centrali atomiche presuppone un'accumulazione primitiva alla portata solamente di uno Stato industrialmente sviluppato. Inoltre i pericoli del nucleare "giustificano", in anticipo, uno Stato che sia in grado di proteggere i segreti delle sue installazioni e delle sue produzioni, ovvero, tendenzialmente uno Stato poliziesco, per essenza centralizzato, in cui la Capitale comanda il capitale finanziario ed il capitale-sapere. Quindi, "un sistema simile mette in essere le condizioni di impossibilità dell'autogestione" tanto più che la perdita dell'autonomia nel lavoro viene presentata come una necessità di sicurezza e che in caso di incidente scatta una regolamentazione draconiana, equivalente a volte all'imprigionamento (confinamento), a volte alla deportazione (evacuazione).
Senza dubbio, la produzione di altre fonti di energia è stata fonte di lavori penosi e pericolosi per migliaia di operai, delle miniere di carbone ad esempio; e le energie alternative (che preconizzano gli ecologi: idrauliche, termiche, solari) potrebbero essere occasione di impianti statali (o "multinazionali") così giganteschi che consoliderebbero anch'essi il potere centrale: lo Stato non è stato creato dal nucleare, ma il nucleare rende lo Stato centralizzato indispensabile, mentre si può immaginare la produzione disseminata dell'energia da parte di piccole unità (idrauliche, solari, eoliche, ecc.) gestite da piccole comunità, dalla famiglia alla piccola cittadina e suo circondario.
Del resto una delle funzioni salvatrici di cui lo Stato si gloria é quella di riservarsi il monopolio della violenza legittima e dei pericoli "controllati". Occorre dunque che i segreti siano ben custoditi, riservati a pochi; il resto del corpo sociale dev'essere messo nell'impossibilità di "giudicare con conoscenza di causa", cioè di esercitare la democrazia. Il nucleare produce tecnocrazia".

10/05/10

[We talk about...]
NUCLEARE? ...NUCLEARE!
[Sabato scorso, al Telos occupato di Saronno, si è parlato di nucleare. Abbiamo voluto dire la nostra con un volantino, il cui testo riportiamo qui sotto...].

"Tornano le centrali nucleari in Italia! Perché? Forse perché l'energia atomica costa meno? Perché è più pulita? Perché ci farà vivere meglio di prima? Niente di tutto questo. Se credete che a loro stia a cuore il benessere nostro e del pianeta in cui viviamo, vi sbagliate. Potrete portare un milione di buoni motivi di tipo ecologico, economico e filosofico per sostenere quanto l’energia nucleare sia pericolosa, ma a loro non interesserà. Perché loro parlano un'altra lingua: quella del potere. Il ritorno al nucleare si iscrive entro un piano di ristrutturazione degli equilibri capitalistici e politici mondiali. Per imporlo si ricorre a falsi bisogni e ad un ipocrita allarmismo.
Siamo alle solite: l'imperialismo occidentale cerca di affermare la sua egemonia attraverso nuove tecnologie, funzionali alle moderne necessità di controllo e addomesticamento della popolazione. La centrale nucleare è tecnologia di morte e di paura: é un grumo di pericolo e trasuda senso di catastrofe imminente, è tecnologia che necessita controllo assoluto, monitoraggio costante e, a sua volta, è fabbrica di paura sotto forma di scorie tossiche, minacce stoccate come monito a pochi metri dalle nostre case. La centrale nucleare: un tassello (l’ennesimo!) di una strategia che mira ad abituare le persone a vivere nell'insicurezza. L'Italia non ha né le risorse, né le tecnologie per costruire e far funzionare le centrali nucleari: il nucleare ci procurerà quindi una dipendenza tecnologica e commerciale dagli Stati Uniti dell'era Obama e quindi una salda sudditanza politica, un tempo garantita dalla nostra partecipazione alle guerre petrolifere dell'era-Bush. Dalla civiltà del petrolio alla civiltà del plutonio: dalle bombe sganciate in medioriente per l'egemonia sulle riserve petrolifere alle scorie nucleari, riversate sulle nostre tavole sotto forma di cibo ed acqua. Cercare di spiegare loro che il nucleare rappresenta un inutile rischio per la vita delle persone, è fiato sprecato. Perché lo sanno già. Solo che non gli interessa. Perché, come diceva qualcuno, loro se ne fregano della morte e del dolore, quello che vogliono è soltanto il potere..." K.Coll.5-'10.

07/05/10

[Video]
NO DOVES FLY HERE - K. cover of Mob's classic (1981)
[Puj] il nostro nuovo album si chiude con una rivisitazione di "No doves fly here", (The Mob 1981) classico dell'anarco-punk inglese. Su youtube girava da tempo un video non ufficiale della canzone originale, di cui abbiamo realizzato a nostra volta un remake. Abbiamo attinto alla stessa fonte, un documentario sulla tragedia di Nagasaki e Hiroshima, cercando di trattare l'argomento nella maniera più rispettosa possibile, perché, aldilà degli aspetti contingenti e delle immani atrocità, emerga il senso di assurdità e irresponsabilità che, in ogni tempo, tira le redini della storia umana...
"The sky is empty and it's turning different shades of colour, It never did before and we never asked for war. My mind is empty and my body different shapes of torture, It never was before and we never asked for war. No-one is moving and no doves fly here, No-one is thinking and no doves fly here, No-one remembers beyond all this fear, No doves fly here. The buildings are empty and the countryside is wasteland, It never was before and we never asked for war. The playgrounds are empty and the children limbless corpses, They never were before and they never asked for war. No-one is moving and no doves fly here, No-one is thinking and no doves fly here, No-one remembers beyond all this fear, No doves fly here".