27/12/12

[Free music for punx]
PUSSY RIOT (Anarco-feminist collective from Moscow, Russia) - Bootleg compilation (D.I.Y. 2012)
[Puj] Lo hanno già fatto tante testate quasi più illustri del Kalashnikov Collective Headquarter, tipo il Guardian o Repubblica, ma anche noi, vista la nostra vicinanza spirituale e non al mondo undergorund russo di ieri e di oggi, vogliamo parlare del collettivo punk libertario e femminista moscovita delle Pussy Riot. Il nome è poco ispirato, ma quel che conta è la sostanza...
Un breve resoconto di fatti noti: dopo essersi distinte per varie performance improvvisate in giro per la capitale russa, le Pussy Riot hanno fatto bingo lo scorso febbraio mettendo in piedi un eroico concerto nella cattedrale ortodossa del Cristo Salvatore nel pieno centro di Mosca. Sono entrate e hanno iniziato a cantare una canzone nella quale chiedevano alla Madonna di cacciare Vladimir Putin fuori dai piedi: "Maria Vergine, Madre di Dio, liberaci da Putin, liberaci da Putin! Abito talare nero, spalline d'oro, tutti i parrocchiani strisciano e si inchinano, il fantasma della libertà è in paradiso, l'orgoglio omosessuale incatenato in Siberia. Il capo del KGB, il loro primo santo, sbatte in prigione i dimostranti, per evitare di offendere sua santità le donne devono partorire e amare. Merda, merda, merda, la merda del Signore! La chiesa loda i dittatori marci, la processione di nere limousine dei portatori della croce, a scuola incontrerai un insegnante-predicatore: entra in classe, portagli i soldi! Il Patriarca Gundajev crede in Putin. Puttana! Credi in Dio piuttosto! La Cintura della Vergine non sostituisce le manifestazioni di massa, Maria, Madre di Dio, protesta al nostro fianco! Maria Vergine, Madre di Dio, liberaci da Putin, liberaci da Putin!".



La performance voleva denunciare lo stato di corruzione e dipendenza da Vladimir Putin in cui versa la Chiesa Ortodossa russa. Il patriarca Kiril, al secolo Michajlovich Gundjaev, vecchia spia del KGB quando Putin ne era un ufficiale, ha in effetti sponsorizzato la campagna elettorale di Putin, invitando i fedeli a votare per lo zar Vladimir. 

Una decina di giorni dopo Maria Alyokhina e Nadezhda Tolokonnikova, presunte componenti del gruppo, sono state arrestate; qualche giorno dopo anche Ekaterina Samutsevitch, chiamata in udienza come testimone, viene incarcerata. L'accusa? Gli inquirenti hanno evitato accuratamente di far passare l'azione delle Pussy Riot come politica, rivolgendo loro una generica accusa di teppismo con l'aggravante della blasfemia. 
Dopo un penoso processo, caratterizzato da deposizioni ridicole di alcuni testimoni poco attendibili, le tre sono state dichiarate colpevoli di "vandalismo motivato da odio religioso". La sentenza ha del tutto mistificato il senso dell'azione, infiliggendo una pena crudele a anacronistica, mai comminata in Russia dal 1917 ad oggi. Maria è stata inviata in una colonia penale in Siberia, Nadezhda in Mordovia, mentre ad Ekaterina è stata concessa la libertà vigilata. Tutte devono scontare due anni di reclusione. 

Nadezhda Tolokonnikova
Maria Alyokhina
Ekaterina Samutsevitch
Dopo l’arresto delle tre attiviste, dal marzo scorso, si era scatenata, anche in ambienti non distanti da Putin, una clamorosa campagna per la loro liberazione. Personaggi ed entità di ogni luogo ed estrazione (dai collettivi queer a Madonna!) hanno perorato la causa delle tre situazioniste punk, organizzando centinania di iniziative in giro per il mondo. Nel frattempo, le restanti Pussy Riot (o emule di queste) stanno portando avanti un'intensa campagna free pussy riot in Russia, tra irruzioni al concerto dei Faith No More e crocefissioni davanti alla cattedrale di San Pietroburgo… Tutta la nostra solidarietà alle eroine mascherate!

Le Pussy Riot fanno parte di un vasto movimento artistico di protesta radicale nei confronti del regime assassino di Vladimir Putin (con cui il nostro vergognoso presidente del consiglio, di medesime aspirazioni assolutistiche, ha abbondanetemente flirtato in passato...): ricordiamo, tra gli altri, il collettivo Voina (Guerra in russo), i cui militanti sono latitanti, in cattività o inquisiti a vario titolo.
Tornando alle Pussy Riot, nella speranza (poca) che qualcosa accada per liberare le tre attiviste e riconsegnarle all'abbraccio dei propri figli e familiari, vi offriamo qualcosa che i media più blasonati non vi hanno ancora offerto: la loro musica! Qui sotto, un archivio con alcuni stralci sonori del collettivo, tra cui: Morte alla galera, libertà alla protesta! ("la volontà e la forza di ognuno, senza maledetti leader! Azione diretta: il futuro dell'umanità"), Kropotkin-Vodka (che invoca la morte dei sessisti putinisti!), Putin si è pisciato addosso, Distruggete il marciapiede ("Non è mai troppo tardi per diventare una dominatrice, i randelli sono caldi, le urla dempre più forti, contraete i muscoli di braccia e cosce, lo sbirro vi lecca tra le gambe") e una cover (non proprio riuscitissima!) di Police Oppression degli Angelic Upstarts. Восстание, товарищи!

25/12/12

[Kakashnikov gig report]
Un tranquillo week-end di sottocultura (in Valcamonica).
[Puj] E’ sabato primo dicembre e dobbiamo andare a suonare al Festival dell’Autoproduzione del Centro di Aggregazione Giovanile di Pisogne, in Valcamonica! Ci svegliamo alla mattina che già siamo in panne, perché la sera prima abbiamo gozzovigliato in Villa Occupata per il compleanno di Melissa! Cena vegan sull'orientale, con sushi, involtini vietnamiti, saké caldo ed altre prelibatezze per noi gente sofisticata. Poi abbiamo fatto una sorpresa a Melissa, che è una grande appassionata (forse l’unica) di country bluegrass: ci siamo travestiti da bifolchi del Kentucky ed abbiamo improvvisato qualche pezzo di musica yankee retrograda per farci deridere. Poi, si sa, un pezzo tira l’altro, e ci siamo trovati fino alle due del mattino a strimpellare come ossessi sdraiati sulla moquette.
Pisogne è lassù sulle montagne (a 200 m. sul livello del mare), quindi partenza prevista con cauto anticipo alle due e mezza del pomeriggio, per poter sbagliare strada almeno due/tre volte. Costeggiando il lago d’Iseo, immersi in una cortina di nebbia e silenzio, imbocchiamo una strada chiusa (un grande classico dei Kalashnikov), poi torniamo indietro e imbocchiamo la strada giusta, una provinciale altamente deprimente che ci porta dritti al KAG, che sorge in una specie di edificio spazzatura, in stile architettonico discount. E’ sorprendente quanto questo luogo sia brutto! Brutto fuori ma bello dentro: anche la gente è molto bella, e ci accoglie come meritiamo, a suon di aperitivi con la cannuccia e pop-corn unti. Il Dani degli Ebola si è sbattuto come un pazzo per organizzare questa festa dell’autogestione a Pisogne, in questa provincia dura che non lascia scampo: e lo sbattimento lo ha premiato perché l’atmosfera è di quelle giustissime.
Alle cinque e mezza attacca il primo gruppo, i Rauchers, che si rivelano un poderoso gruppo di h.c. cinico alla maniera dei nostri antenati. Il cantante é sufficientemente allucinato per inchiodare l’attenzione del pubblico al palco, esegue movenze schizoidi con gran precisione: promosso a pieni voti. Seguono le Fiele, tre amiche, che, per noi, sono già il gruppo punk dell’anno. Giuditta (chitarra/voce) è un animaletto da palcoscenico, con la sua canotta slargata e l’impressione di non aver alcun autocontrollo su se stessa; Viola è tutto il contrario, ha un non so che di aristocratico e un eleganza da signora d’altri tempi. Poi c’è Kris che sembra scivolata alla batteria da un altro pianeta. Non so quanto questa magia durerà, ma per ora Milano ha le sue eroine punk! 


Nel bel mezzo del concerto il Dani ha inserito la proiezione di un video più un eventuale dibattito: giusto! Un festivalino senza dibattito non è serio! Il video è quello che tutti ben conosciamo, che traccia la storia dell’occupazione del Virus, lo storico spazio gestito dai punx nella Milano degli anni '80, ma a sorpresa, in fondo è stata montata una nostra intervista, fatto che ovviamente causa ilarità. Dopo il video interveniamo io e Sarta, saliamo in cattedra, enunciamo le nostre teorie su autogestione etcetc... riscuotendo ovazioni e pernacchie. 
Marky ci presenta con soddisfazione l’ultima uscita discografica degli Ebola, il 7” pollici split con i Grumo. Alcune copie sono state impreziosite da macchie di sangue dello stesso Marky. C’è anche la versione self-service: prendi la lametta usa e getta, ti seghi le carni e fai da te. Modi però si fa servire da Marky, il quale gli deturpa il braccio con un rasoio Bic finché non esce, copioso, del sangue...

C'è chi si diverte molto... e chi non si diverte affatto.
Salgono sul palco i Warpath: i veterani del crust lombardo riversano la solita colata di suono distorto sugli astanti. A me piace la loro canzone intitolata  Bombardati dalla Merda, dove nel ritornello Chupito canta “Bombardati…” e Marta risponde “…dalla merdaaa!”. Dopo i Warpath, i Feral Thrust, una simpaticissima novità degli ultimi tempi proveniente dalla provincia di Varese e di Lecco. Una anarchopunk band eco-radical che si muove in territori cari ad Amebix, Antisect e Nausea, insomma un fiero crustone vecchio stampo con voce maschile/femminile e aggiunta di percussioni che rendono tutto ancora più plumbeo e primordiale. Un gruppo che, crescendo in convinzione e spingendo sull’originalità ci darà un gran bel disco in futuro, ne sono convinto! 


Seguono poi Modi, Ernesto e Lara, i grandi Intothebaobab da Bologna. I Baobab sono unici e hanno un sound rutilante: i frizzantissimi riff di basso di Modi e i walzerini punk in pieno stile emiliano-romagnolo fan ballare tutti quanti. Evviva!


Noi facciamo il nostro dovere e suoniamo due ore mentre la gente ci prende a pugni e a schiaffi come di consueto. Tra abbracci, scivoloni e rovine varie finiamo il nostro set sudati come lombrichi e ci concediamo ai complimenti di alcune persone drogate, molto felici per il concerto. Ma non è finita: salgono a sorpresa gli Ebola! Marky è sulla luna e la cacofonia merdosa che esce dalla chitarra scordata che gli ho prestato è per lui il canto degli angeli nei campi elisi. E infine: la trash! E così diamo spettacolo ballando come dervisci impazziti che girano sulle spine dorsali al suono di cavigliere del Katakali (Battiato) alcuni classici della musica del passato, di quando andava di moda usare il tedesco nei titoli delle canzoni, come Ein, zwai, polizei di Mo-do e Tanz Bambolina di Alberto Camerini (con il quale suonammo nel 2004!). Modi interpreta il ballo a modo suo e si tuffa contro un materasso di sicurezza che avvolge una colonna, inzaccherando di fango e merda il ridicolo maglione andino che ha addosso.

Sarta si diverte.
Poi io e Sarta ci ritroviamo ai bordi del bar a gustare pizzette calde modello frisbee, mentre Loki cerca di suicidarsi con del Braulio. Purtroppo, alle cinque del mattino, viene il momento di coricarsi per un immeritato riposo. Piazziamo le nostre brandine modello ospedale da campo sul palco e ci accasciamo dormienti. O meglio: vorremmo dormire, ma c’è la solita delegazione di sonnambuli che ritiene di poter ascoltar musica, blaterare e farsi i propri rumorosi cazzi mentre dei poveracci cercano di riposare quelle due ore prima di rimettersi al volante e tornare a casa. Mi alzo in pigiama, con il maglione infilato dentro le mutande e le calze a penzoloni ancora umide di birra, raggiungo gli scocciatori e li moralizzo a male parole. Poi vado in bagno, piscio nel lavandino perché il cesso è intasato, una tizia mi vede, torno nel mio sacco a pelo e perdo conoscenza, fino alle nove, quando mi ritrovo il nonno già vestito, con il sacco a pelo arrotolato in spalla pronto a sgommare via. La prima cosa che faccio appena sveglio è prendere a violente scudisciate Pietro, che dorme poco distante da me, perché la sera prima mi ha fatto incazzare, anche se non mi ricordo bene per quale motivo.
   
Il piazzale davanti al Kag è desolatissimo, c’è solo un pensionato che risistema un cartello di divieto di sosta che qualcuno ha divelto durante la notte, in un raptus di felicità. Compiliamo rapidamente un bollettino delle perdite: ad Ago han rubato lo zaino, ma in compenso ha limonato, Arca ha sboccato ma sembra felice, il nonno non ha più gli occhi, Ernesto è scomparso e qualcuno ha limonato con Ago; quello messo peggio è Modi però: non ha soldi per tornare a Bologna, crede di essere in un posto chiamato Pignole, ha un'escoriazione purulenta all’avambraccio e la sua macchina ha una ruota a terra. Io ho perso un bottone, ma mi reputo fortunato. Qualche istante di silenzio, ci guardiamo in faccia e scappiamo a gambe levate a Milano dove ci fermiamo in un ristorantino qualunquista, mettiamo le gambe sotto al tavolo e dilapidiamo il rimborso di Pisogne in penne all’arrabbiata e vino bianco fatto con le polverine. Poi tutti a bersi un cynar alla fiera del libro anarchico in Bovisa! Aaaaah, questa sì che é vita! 


Loky è stanco e si riposa. Ma è in divieto di sosta.

23/12/12

[We talk about...]
VILLA AMALIAS... Evicted!
[Puj] Il 20 dicembre è stata sgomberata Villa Amalias, uno stabile occupato 22 anni fa nel centro di Atene. Allo sgombero sono seguiti alcuni arresti di persone che si trovavano nello squat. Considerata l'attuale situazione socio-politica greca, si tratta indubbiamente di un ulteriore segnale della fascistizzazione della Gracia nell'epoca della crisi. 
Sul sito di RadioCane potete trovare alcuni aggiornamenti sull'accaduto e una breve testimonianza registrata relativa allo sgombero e alla situzione ateniese. Qui, invece, il comunicato degli occupanti di Villa Amalias sulla vicenda.
Noi guardiamo con affetto alla realtà greca, perché ci siamo stati varie volte a suonare, condividendo momenti molto belli con le nostre amiche e i nostri amici greci; abbiamo suonato a Villa Amalias nel 2007 e fu uno dei concerti più belli e partecipati che ricordiamo. Torneremo ad Atene il marzo dell'anno prossimo, e speriamo che le compagne e i compagni ateniesi possano accoglierci in una nuova Villa Amalias! Solidarietà!

"Il fuoco non ci brucia, il fuoco brucia dentro di noi: solidarietà a Villa Amalias"

15/12/12

[We talk about...]
Kalashnikov collective - E.L.F. (from "Dreams for super-defeated heroes" - 2007)
 
Prima che l'ombra cacciasse il sole e i lupi uscissero dalle case di roccia, il re cavalcava nella foresta antica. La mano sull'elsa, il pugno chiuso, quando si alzò il vento mormorando alle stelle... “Siamo i signori di questa terra, i sovrani putrefatti ora nutrono le nostre antiche radici! Dalla terra calpestata, tra le scorie nucleari e il ricordo degli eroi, emerse un grumo di paura, e lo scheletro di buio, sibilando le parole di una tetra litania... “Siamo i signori di questa terra, i sovrani putrefatti ora nutrono le nostre antiche radici”! Morì nel mare il sole insanguinato sgombrando il campo alla notte! Sorse la luna come un teschio di neon, al suo raggio le piante sembrarono spettri! “Siamo i signori di questa terra, i sovrani putrefatti ora nutrono le nostre antiche radici”! Il re vide che ogni ceppo era un corpo, ogni ramo un arto secco e ossuto e quegli occhi, e quegli occhi! Fuoco che brucia l'anima! “Siamo i signori di questa terra, i sovrani putrefatti ora nutrono le nostre antiche radici! Un'eco gonfio di eterni sospiri e secoli infiniti, di fantasmi esiliati da coloro che usurparono il mondo. E il vento scosse i pilastri della terra! Un viluppo d'orrore gli fu sopra e avvolse il re come un drappo di sangue rappreso e tutto gli fu chiaro, e tutto gli fu chiaro! Come un sogno nel sonno del mattino “Siamo i signori di questa terra umida e scura, prima dei re che diedero i nomi al mondo e delle regine adornate con l'oro che giace ossidato nelle bare, dei sovrani putrefatti che ora nutrono le nostre antiche radici”!
[Puj] Una delle canzoni dei Kalashnikov alle quali siamo più legati è E.L.F., che trovate sull'album "Dreams for Super-defeated Heroes". In linea con gli altri pezzi del disco, anche E.L.F. racconta di eroi super-sconfitti, in questo caso, coloro che lottano, con le unghie e con i denti, per la difesa della terra dalla distruzione perpertata dall'uomo.
ELF vuol dire "Earth Liberation Front", una sigla, nella quale si riconoscono tutti coloro che hanno idee eco-radicali e le mettono in pratica, senza accettare compromessi. Però ELF significa anche "elfo" e rimanda al mondo della letteratura fantasy: questa duplicità di significati è voluta, perché E.L.F. parla di ecologismo radicale e lo fa trasponendo in musica un poema di Robert E. Howard, il creatore di Conan il Barbaro e della heroic-fantasy moderna. Il poema in questione si intitola "Il re e la quercia" ed è stato scritto nel 1939; appartiene ad un ciclo minore di Howard, ovvero quello che vede protagonista Re Kull di Valusia, un re barbarico di epoce arcaiche, violento e sanguinario, ma anche animato da un atavico senso della giustizia e della libertà. Nelle sue storie, Re Kull vive esperienze-limite e fronteggia minacce che sono oltre la sua comprensione di uomo primitivo: dove non arriva la ragione, subentra però l'istinto. E l'istinto gli suggerisce sempre che, aldilà della maschinità e della supersitzione degli uomini, esiste una realtà più forte di tutto, che travalica il mondo umano e che, nel poema "Il re e la quercia", si identifica con la madre terra, la natura...  


Negli anni '70, sulla scia della moda del romanzo heroic-fantasy, la Marvel Comics ha pubblicato alcune storie a fumetti di Kull di Valusia, tra cui una trasposizione de "Il re e la quercia" (pubblicata originariamente sul n.10 di Conan the Barbarian - 1970, in Italia sul n.85 di Thor - 1974)...



[Free music for punx (reprise!)]
JOE FALLISI - La ballata del Pinelli/Il blues della squallida città (7" autoprodotto - Italia 1970)
[Puj] (Nell'anniversario della morte dell'anarchico Pinelli, recuperiamo un vecchio post con relativo download!) Quarantatre anni fa, la notte del 15 dicembre 1969, veniva assassinato Giuseppe Pinelli, anarchico, gettato dalla finestra della Questura di Milano nel corso dell'interrogatorio che seguì alla strage di Piazza Fontana.
L'anno successivo, Joe Fallisi, anarchico milanese, inquisito anch'egli in quell'infame vicenda, ha registrato e pubblicato, anonimo, un quarantacinque giri: sul lato a "La ballata del Pinelli", sul lato b "il blues della squallida città". Bellissimi brani di folk sub-urbano che puzzano della Milano in bianco e nero dell'epoca. Nel 2002 Umanità Nova e Zero in Condotta hanno pubblicato una ristampa "anastatica" del disco (che qui proponiamo). Sui tondi del sette pollici originale stava scritto: "Questa canzone può essere eseguita, riprodotta o adattata da tutti coloro che non sono recuperatori, 'progressisti' e falsi nemici del Sistema. Parole e musica del Proletariato". Che tempi!...
"Passa e guarda il cielo duro / Le foglie che cadono per sempre / La luce schifosa del Supermercato / L'acciaio cristallo della Banca della Morte. In alto si radunano le nebbie / e l’urlo delle sirene richiama i morti sotto i lividi tetti / e all’orizzonte scende il sole bianco...". 
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11/12/12

[Free music for punx (reprise!)]
KALASHNIKOV - Discographie complète 2000-2005 (2 cd - Bikepunx / Ivonne Maiden, France 2008)
[Puj] Finalmente resuscitiamo il downloading di questa antologia dei Kalashnikov, esaurita da molto tempo e che in tanti ci chiedono. E' un'opera monumentae messa in piedi dall'amico Richard e coprodotta da alcune realtà d.i.y. d'oltralpe nel 2008: un doppio album contenente i nostri primi tre dischi (Romantic songs of dissidence, Songs about amore and revolution e Music is a gun loaded with future, tutti stampati tra il 2000 e il 2005) più alcuni pezzi inediti scartati dai dischi "ufficiali" e un video live che risale anch'esso ad epoche arcaiche...
Il booklet raccoglie tutti i testi impaginati in modo impeccabile, sia in italiano che in francese e il digipak è stato serigrafato a mano copia per copia. Un trattamento decisamente lussuoso! L'album è (nuovamente) scaricabile da qui sotto, artwork, testi, inediti e video compresi!
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Par nos amis français une anthologie de la kalashni-musique, téléchargeable ci-dessous! Il contient trois albums: "Chansons romantiques de la dissidence" (2000), "Chansons sur l'amour et la révolution" (2003) et "La musique est un fusil chargé d'avenir" (2005) + un video-live + deux chansons jamais publié + les textes traduits en français + un artwork merveilleux! Très bien!
From our french friends an anthology of kalashni-music downloadable below! It contains three albums: "Romantic songs of dissidence" (2000), "Songs about amore and revolution" (2003) and "Music is a gun loaded with future" (2005) + a video-live + two songs never released + texts translated into french + an amazing artwork! Good!

10/12/12

[Free music for punx]
POLITICAL ASYLUM (Scotland anarchopunk) - Winter e.p. (1985)
[Puj] Provenienti da Stirling, Scozia, i Political Asylum (1982-1993) furono una punk-band anomala, per lo stile musicale, per l'aspetto e per la loro foltissima, ma confusa, discografia. 
Si proclamavano anarchici ed erano cresciuti con i dischi dei Crass, ma la loro musica non era punk e il loro aspetto piuttosto ordinario. Scrissero musica davvero ben fatta, ricca di melodie e testi profondi. 
Un significativo esempio del loro stile è questo primo 7", giunto dopo un paio di album su nastro, del quale furono vendute ben 6.000 copie! Altri tempi... 
Sul lato A, una ballata pacifista dai toni malinconici, "L'inverno (del nostro malcontento)": "I prati sono diventati grigi e gli alberi hanno perso le foglie, non c'è nessuno in giro, solo croci e corone funerarie, file e file di tombe. Sono morti per la patria, ma non sembra che a qualcuno interessi. Io non voglio morire. Mentre il vento freddo frusta l'aria e la pioggia si trasforma in neve, il sacerdote dice che sono morti per Dio, ma qualcuno doveva avvertirli, che quando sono andati là a testa alta, alla fine, ci andavano per morire. Io non voglio morire. Io non voglio più combattere le loro guerre. Sono stanco di tutto questo, io non lo voglio più. Se vogliono massacrare la gente, che ci vadano loro a farlo, ma che mi lascino fuori della loro merda. Io non voglio morire!"
Sul lato B si riparte con il poderoso anarcopunk melodico di "Che cosa gliene importa?" (Do they care?) e si chiude con il power-pop di System of war, che dice: "La guerra è una parte del sistema / e se mai lanceranno la Bomba / quelli che ne sono stati la causa sopravviveranno / e noi invece creperemo".

09/12/12

[We talk about...]
CHAOS IN JAPAN! Nippo-punx in the ‘90s

[Puj] (Riproponiamo un vecchio post approfittando per re-uploadare il disco di cui sotto! Buon ascolto luridi punx!). 
C’è stato un periodo in cui andavamo pazzi per il chaos-punk giapponese. Sperperavamo i nostri soldi in 7” ed Lp di gruppi crust e thrash provenienti da quel paese. I punk giapponesi suonavano come kamikaze ed avevano un look esagerato: le creste più alte del mondo! I dischi di solito avevano una registrazione malsana (a volte talmente sbagliata da sfociare in un impenetrabile muro cacofonico), copertine pazze e sinistre, spesso influenzate dalla demonologia giapponese e dagli horror-manga che ci piacevano, tipo Devilman. Naturalmente avevamo le nostre bands preferite, cioè Assforts, Beyond Description e Fuck Geez, ma la passione per il genere ci fu scatenata da una compilation, uscita nel 1991 e intitolata Target Dictator, che acquistammo in fiera di Senigallia a Milano ad una bancarella di dischi usati, tra un live di Santana e un’antologia di Frank Sinatra.
Prodotta dalla misconosciuta Fight Men Records di Yokohama, “Target Dictator” è un bidone della spazzatura sonoro, contenente alcune delizie thrash-chaos che abbiamo ascoltato fino alla nausea. Nutrivamo un autentico feticismo per questo disco! Caratteristica dei gruppi giapponesi dell’epoca era che non sapevano minimamente l’inglese, ma lo utilizzavano senza vergogna: così i testi risultavano sgrammaticati, privi di senso, del tutto dementi! Qua sotto, la compilation “Target Dictator”, scaricabile con artwork e booklet completo! Kanpai!

>>> Download "Target Dictator" (Japan 1991) compilation in .mp3 (.rar - 80 mb.)

08/12/12

[Free muisc for punx]
KINO (Post-punk from soviet-era) - "Группа Крови" (LP - 1988)
[Puj] Nel 1988, quando uscì quest'album, il cantante Viktor Tsoj lavorava ancora come guardiano delle caldaie di un condominio di Leningrado, benché i Kino, la sua band, fossero ormai delle autentiche celebrità acclamate in tutta la Russia. Alle domande dei giornalisti oltrecortina, assuefatti allo sfarzo delle pop star occidentali, Coj rispondeva: “Beh, lavoro perché mi servono soldi per mandare avanti la band!”. 
In effetti, nell’Unione Sovietica di quegli anni, il rock (musica "borghese") era tollerato, ma non ancora riconosciuto come un genere musicale per professionisti. Quindi si tirava a campare e si restava ben saldi alla realtà! Tra l'altro, molti dei dischi punk degi anni '80 non venivano stampati, ma circolavano come nastri duplicati e l'unica forma di promozione era il passaparola. Quindi i musicisti, pur essendo molto conosciuti, non avevano nessun introito dalla vendita dei dischi. Tsoj, poi, era un tipo solitario, un vero e tenebroso poeta esistenzialista: riduceva al necessario le uscite pubbliche della band, anche quando, con il mutato clima politico e sociale della fine degli anni ’80, i Kino si avviavano verso un riconoscimento tale da valicare i confini natii.
 
I Kino in origine erano il solo Viktor, punkettone della scena di Leningrado, che strimpellava nei leggendari concerti domestici (kvartirniks) della Russia comunista dei primi anni ’80. In quegli anni, non era permesso esibirsi senza approvazione governativa, per cui i concerti domestici erano le uniche situazioni nelle quali i musicisti potessero suonare liberamente e nelle quali il pubblico avesse la possibilità di ascoltare musica con testi realmente nuovi e interessanti (ovvero contro il regime sovietico! Spie del KGB permettendo...). Boris Grebenshchikov degli Aquarium, nei primi anni '80 era già un’istituzione della scena musicale locale e un frequentatore assiduo di concerti domestici. Tuttavia non fu ad una di queste occasioni che incontrò per la prima volta Viktor Tsoj, bensì ad una stazione della metropolitana di Leningrado; ne fu colpito e lo aiutò a registrare il suo primo album, intitolato “45”: una raccolta di canzoni folk esistenzialiste dal piglio inconfondibilmente punk. Di lì a qualche anno i Kino sarebbero diventati un solido quartetto post-punk/new wave e Tsoj un micidiale autore di canzoni pop, dai testi sempre meno intimisti e sempre più politici. Forse, l'album "Gruppa Krovi" (Gruppo sanguigno) è il culmine di questa parabola: le tematiche sentimentali che avevano caratterizzato i dischi precedenti si intrecciano ad istanze di ribellione contro il sistema; naturalmente, in uno stile che a noi può far tenerezza nella sua ingenuità, ma che al contempo cela una grande sensibilità poetica (i testi dell'album - e di tutti gli altri dei Kino - li trovate tradotti in italiano su questo ottimo blog: ilviburno.blogspot.it).

Tsoj, figlio di una russa e di un coreano (da qui la sua somiglianza con Bruce Lee!), divenne ben presto l'idolo di tutti gli adolescenti sovietici, venerato come un eroe. Fu anche attore: recitò in alcune pellicole simbolo dell’underground sovietico degli anni '80 come "Assa" e "L'ago" di Rashid Nugmanov. Come tutti gli eroi, Viktor morì giovane, e tragicamente: nell’agosto del 1990, tornando dalla Lettonia, dopo aver registrato le parti vocali del nuovo album dei Kino, quello che li avrebbe definitivamente consacrati al successo, finì fuori strada, probabilmente per un colpo di sonno, morendo sul colpo. Utilizzando il nastro delle tracce vocali, recuperato dalla sua auto accartocciata, il resto della band registrerà un disco, l’ultimo dei Kino, noto come Chyorniy albom (Album nero), perché in segno di lutto fu stampato con la copertina completamente nera. Viktor Tsoj é ancora un idolo per molti giovani russi, alla stregua di un Jim Morrison sovietico, e le scritte sprayate che recitano "Tsoj vive!" ricoprono i muri di tutto il paese.
Gruppo sanguigno rispecchia lo stile tipico dei Kino, semplice, ma efficace, con i testi di Tsoj sembre in bilico tra racconto sentimentale, inno alla libertà un po' anarcoide e vita di tutti i giorni. Voina (Guerra): Fammi vedere delle persone sicure nel domani / Disegnami i ritratti dei caduti lungo questo cammino / Fammi vedere l’unico sopravvissuto di tutto il reggimento / Ma qualcuno deve farsi porta, e qualcuno serratura, e qualcuno la chiave per aprirla. Terra / Cielo / e tra la terra e il cielo, la guerra / E dovunque tu sia, qualunque cosa tu faccia, tra la terra e il cielo, la guerra".


I Kino si esibiscono alla stadio di Irkutsk, in Siberia, nel 1990. Con invasione di campo...

20/11/12

[Free books for punx]
Pino Bertelli - La clinica dell'AIDS (2012)
[Pep] La raccolta fotografica di Pino Bertelli che il Kalashnikov Collective Headquarter presenta ai suoi lettori può essere considerata uno strumento di intelligenza critica dello Stato Terapeutico in una delle sue manifestazioni paradigmatiche: la notoria sindrome da immunodeficienza acquisita. 
Attraverso la registrazione visiva di uno spazio ospedaliero per malati di AIDS (in una delle nazioni del mondo in cui quest'ultimo presenta maggiore diffusione, il Burkina Faso) il fotografo anarchico ci ragguaglia sulla stigmatizzazione di questi ultimi: manifestantesi secondo forme che costituiscono il risvolto chiarificatore di quella socialmente sancita nei paesi del primo mondo. Adottando il punto di vista di Thomas Szasz, secondo il quale quella terapeutica è la moderna religione di stato, atta a sostituire gli anteriori assetti teocratici della società (riducendo l'esperienza religiosa tradizionale in uno stato di secondarietà e sudditanza), è conseguentemente possibile evidenziare come la nuova religione, adottando la salute e la prestanza psico-fisica quale parametro etico (e investendo correlatamente di valore moralmente positivo il processo terapeutico) legga l'esperienza della malattia in termini di difetto morale: ed eticizzi in senso positivo il comportamento terapeuticamente zelante e collaborativo dei membri della comunità dei suoi fedeli, ormai coestensiva all'intera popolazione mondiale (in tal senso gli appelli della medicina più avanzata alla consensualità della cura ed all'alleanza terapeutica tra medico e paziente risultano assolvere, all'interno dello Stato Terapeutico, l'oggettiva valenza di mascherarne i tratti fondamentali). 
L'inesplicito cardine dello Stato Terapeutico è il sapere psichiatrico, produttore di costrutti nosografici ( le “malattie psichiche”) che isolano in termini pseudo-medici modalità comportamentali e soggettive oggetto di riprovazione etica: con l'effetto di inquinare in senso etico il concetto più generale di malattia e di trasferirvi la sancibilità oggettiva di quest'ultima in contrasto con la volontà dell'individuo fatto oggetto di disamina medica (avendo il paziente psichiatrico la riprovata tendenzialità, in realtà auspicabile dal punto di vista delle strategie strutturanti lo Stato Terapeutico, a non ritenersi malato, trasferendo la constatazione di malattia totalmente sul versante operativo del medico). Si tratta della negazione di quanto affermato dallo stesso Thomas Szasz secondo cui, in una ipotizzabile ed auspicabile società realmente libera “le persone [...] sono pazienti solo in quanto esse stesse accettano di assumerne il ruolo, perché come individui in una libera società hanno il diritto fondamentale di rifiutare la diagnosi medica, il ricovero in ospedale e la cura”.

L'AIDS rappresenta nel nostro tempo la modalità della patologia fisica riconosciuta dalla religione terapeutica che più radicalmente manifesta uno spessore morale negativo: nel suo fatale identificarsi con modalità esistenziali devianti (tossicodipendenza , omosessualità, libertinismo sessuale), dando luogo ad una paura del contagio declinata in senso fobico, che evidenzia, ben al di là di esigenze igieniche e come una carta al tornasole, l'orrore morale e sociale verso quella gamma di comportamenti inaccettati. La ricognizione di Bertelli sul ghetto ospedaliero di Ouagadogou, mette in luce una dimensione dello stigma sanitario prevalentemente inevidente nel Primo Mondo, lo stigma negativo (in cui il versante sociale escludente della marchiatura prevale su quello medico), che genera isolamento e abbandono del malato con relativa carenza di una cultura della prevenzione della malattia. Nella cultura della salute vigente nel Primo Mondo è invece ormai prevalente lo stigma positivo (in cui sul versante sociale escludente della marchiatura prevale quello medico), che induce il paziente ad un percorso di cura su coattiva richiesta etica e sociale: rimanendo lo stigma negativo relegato ai risvolti del sistema sanitario (con particolare riferimento all'ambito psichiatrico, in cui esiste ancora un'area di stigmatizzazione negativa, con relativa ospedalizzazione manicomializzante e abbandono cronicizzante dei pazienti). In tal senso una realtà del Terzo Mondo, dominata da una cultura più linearmente discriminatoria, da realtà politiche autocratiche indifferenti ai diritti dei cittadini, e segnata dalla carenza di fondi economici, funge da chiarificante risvolto di quella del Primo Mondo, permettendo di apprezzane pienamente l'inesplicitata dimensione oscura. Lo sguardo di Bertelli trova come di consueto nella modalità fotoritrattistica il proprio strumento per la formulazione di una risposta etico-estetica all'ottica omologata della gran parte della produzione fotografica e fotogiornalistica contemporanea: il fotografo anarchico sottende una sottile dimensione meta-temporale alle immagini dei propri soggetti, sottraendoli a qualsiasi processo di riduzionismo e di fissazione sociale in una contingenza identitaria specifica storicamente data, attraverso esempi di grande fotografia: che in questo caso, facendo proprio oggetto i sofferenti di AIDS, si pone come strumento di invalidazione delle strategie neo-religiose dello Stato Terapeutico. 
Il portfolio fotografico è corredato da un saggio dello stesso Bertelli, “Sulla fotografia dell'indignazione”, volto ad inquadrare la pratica fotografica come dispositivo di demistificazione fattuale ed estetica dell'esistente, nell'ottica di un'equiparazione, per medesimamente cruciale valenza contestativa, della fotografia di denuncia finalizzata alla circolazione nel web e di quella artistica. 

17/11/12

[Free books for punx]
Assemblea Autonoma di Porto Marghera e altri - Che cos'é nocivo? (Magma ed. 1973)
[Puj] Marghera, 27 febbraio 1973: durante lo sciopero, un fantoccio legato ad una croce, nudo e con una maschera antigas sul volto, viene issato davanti ai cancelli del Petrolchimico: è il simbolo di ciò che gli operai non vogliono diventare. "Gli operai nelle fabbriche non vanno per fare le inchieste, ma perché ci sono costretti. Il lavoro non è un modo di vivere, ma l'obbligo di vendersi per vivere. Ed è lottando contro il lavoro, contro questa vendita forzata di se stessi che si scontrano contro questa vendita forzata di se stessi che si scontrano contro tutte le regole della società. Ed è lottando per lavorare meno, per non morire più avvelenati dal lavoro che lottano anche contro la nocività. Perché nocivo è alzarsi tutte le mattine per andare al lavorare, nocivo è seguirne i ritmi, i modi della produzione, nocivo è fare i turni, nocivo è andarsene a casa con un salario che ti costringe il giorno dopo a tornare in fabbrica".
Recentemente si è parlato molto di nocività e lavoro, così pensiamo che questa raffinata testimonianza fotografica, artistica e politica, pubblicata nel 1973, sia piuttosto attuale ed anzi, offra all'oggi un approccio lucido e radicale sul tema della nocività del lavoro, di tutti i lavori: perché, come viene detto nel testo che chiude l'opuscolo, forse "non può esserci una fabbrica pulita, un lavoro pulito, un capitalismo pulito".


27/10/12

[Free books for punx]
Pino Bertelli - Della fotografia trasgressiva. Dall'estetica dei freaks all'etica della ribellione - Saggio su Diane Arbus (2006). 
[Pep] Questo saggio su Diane Arbus (con contributi di Gianna Ciao Pointer, Alfredo De Paz e Geraldina Colotti) è il testo che il fotografo e cineasta situazionista Pino Bertelli considera il più travagliato e ricco della sua produzione: suo obiettivo è situare la figura della fotografa statunitense in uno snodo cruciale della consapevolezza artistica contemporanea, quello della critica ai processi identitari e della produzione visiva di un'interferenza al loro compimento. Bertelli opera una dissociazione della figura di Arbus dall'immagine di voyeuristica fotografa di mostri cui un'impropria e pregiudiziale chiave di lettura l'ha assegnata: secondo il fotografo situazionista lo specifico della crudeltà visiva dell'autrice (consistente nel cogliere il versante psichico e fisico inconsapevolmente mostruoso dei soggetti ritratti) si situa nella produzione di una divaricazione disturbante tra le modalità autopercettive di cui ciascun individuo è portatore e la sua immagine inter-soggettiva. Quest'ultima, nel suo fatale scoincidere con l'identità autopercepita, genera un processo disturbatore di auto-disidentificazione in cui la pretesa identitaria trova il proprio scacco: l'irrisolvibile diversità da sé si pone in essere come dimensione non riducibilmente provocatoria sia per i soggetti ritratti che per la ritrattista. Arbus viene riconfigurata anarchicamente come fotografa della dis-identità, quale modalità di eversione ed auto-eversione quotidiana veicolata da immagini che costituiscono dei sofisticati dispositivi anti-identitari: con un funzionamento assimilabile a quello di trappole tali da abolire le procedure endosoggettive di auto-normalizzazione. Arbus tiene cioè conto, evidenzia implicitamente Bertelli, del carattere Straight del nostro assetto soggettivo e sociale, che modula la propria struttura non solo secondo la modalità generalizzata della discriminazione sessista e classista, ma anche secondo quella della produzione, multiforme e pervasiva, di figure dell'anormalità. Evidenziando l'individuo contemporaneo come l'anormale di sé stesso, Arbus smaschera la finta polarizzazione che la Straight Society esibisce tra il soggetto sancito come normale e quello condannato come anormale, evidenziandoli come i reversibili versanti di una medesima medaglia, ad individuare il carattere di artefatto sociale, eventualmente disinnescabile criticamente, dei processi di produzione identitaria. Sono le stesse nozioni normative cui la Straight Society fa appello ad essere poste in crisi: quelle di devianza, follia ed handicap. Quest'ultimo, emblematicamente associato nell'immaginario diffuso alla produzione visiva della fotografa statunitense è evidenziato dalla procedura ritrattistica dell'autrice come nozione stigmatizzante a carattere morale: ponendo le basi per una riconsiderazione dell' handicap stesso in quanto nozione medico-sociale la quale include le dis-abilità operative inerenti quelle attività che la società valuta come moralmente lodevoli, ignorando ed occultando, parallelamente, quelle inerenti le attività che valuta come moralmente non rilevanti o negative.
Un' ulteriore tematica trattata da Arbus è quella dell'infanzia: al riguardo si veda Bambino con una bomba giocattolo in Central Park (1962), in cui la fotografa statunitense fa oggetto di attacco il mito dell'adulto, ovvero la concezione dell'esistenza come progressione ontogenetica culminante in una fase autoconchiusa (invece che progressione illimitata): l'età adulta. Di qui la valutazione di chi sta vivendo quest'ultima quale individuo gerarchicamente sovraordinato agli altrettanto mitici bambini e anziani (i secondi sono assegnati ad una presunta residualità esistenziale, emarginandoli conseguentemente: ma, al contrario, come scriveva il filosofo marxiano Luciano Parinetto, “Moriamo prematuri, anche a cent'anni; e per violenza, anche nel nostro letto”). Il Bambino con una bomba giocattolo costituisce un allarmante ribaltamento dell'irrilevanza cui il mito dell'adulto assegna l'universo emotivo e cognitivo infantile. La posa frontale del ragazzino fotografato, oscillante tra lo scherno e la minaccia terrifica, ribalta l'inclusione riduzionista del bambino nella visuale fotografica dell'adulto, facendo scivolare quest'ultimo nello spazio esistenziale dell'infanzia: spazio cui è restituita in chiave minatoria tutta la sua effettualità e realtà. Come in Monique Wittig, nella fotografa statunitense agisce dunque la profonda consapevolezza che la dimensione identitaria è da leggersi quale dimensione sociale che deve essere destabilizzata dal moltiplicarsi delle strategie di liberazione: tra le quali la fotografia dell'Angelo Nero (così Bertelli rinomina Arbus) costituisce una macchina da guerra sfolgorante ed esemplare.

06/10/12

[New Kalashnikov album! OUT!]
La città dell'ultima paura! (2012)
[Puj] Dopo uno sbattimento di circa un anno, tra vicissitudini varie e rocamboleschi cambi di formazione, finalmente eccoci a stringere tra le nostre sporche mani l'ultimo disco del vostro amato/odiato/che-vi-lascia-indifferenti collettivo Kalashnikov! I cinque pezzi che compongono "La città dell'ultima paura" sono stati scritti circa una anno e mezzo fa e registrati nell'estate del 2011 alla Villa Vegan con il nostro traballante studio di registrazione mobile. 
Collezionisti di tutto il mondo unitevi! Si tratta di un'edizione limitata in vinile LP a 45 giri in 300 copie, picture disc su entrambi i lati.
Attenzione: "La città dell'ultima paura" é un concept album! Ovvero: il tema che accomuna tutti i pezzi è quello della città, un luogo bello e brutto nel quale da sempre viviamo, vaghiamo e suoniamo. Come consueto, potrete scendere nel dettaglio dei contenuti del disco cliccando in alto l'omonimo link rosso ed accedendo al minestrone di informazioni e curiosità che vi abbiamo preparato. Per avere una o più copie tangibili del disco, scriveteci e vi manderemo tutto quel che volete. La vostra soddisfazione è il nostro miglior premio! 

>>> Go to "La città dell'ultima paura" page!

05/10/12

[Free music for punx]
CONTRASTO (H.c. Cesena) - "Tornare ai resti" (LP - D.I.Y. 2012)
[Puj] Rabbia, angoscia, invettive incendiarie e fragili sentimenti... era da tempo che non ascoltavamo un disco di h.c. vecchia scuola così entusiasmante. Siamo stati felici di contribuire a questo miracoloso vinile, realizzandone l'artwork e partecipando alla co-produzione. 

Questo disco ti prende per il bavero e ti parla, sputandoti addosso, guardandoti negli occhi. Lo fa senza mezzi termini, con una sincerità unica, disarmante, commovente. Ci parla della gente che vive ai margini con rabbia e dignità, di chi lotta tutti i giorni per un pezzo di vita miserabile, dei piccoli/grandi problemi degli ambienti nei quali ci muoviamo, ci parla delle nostre ipocrisie e di come dovrebbero girare le cose perché tutti noi fossimo più felici di guardarci in faccia quando ci specchiamo al mattino. Non avevamo dubbi sul valore di un gruppo che da vent'anni suona punk/hc per un'unica, furiosa urgenza di comunicare e smuovere gli animi, ridendo delle mode e delle cazzate di contorno dell'ambiente musicale: però con "Tornare ai resti", gli amici Contrasto hanno fatto un ulterirore salto in avanti, soprattutto per quanto riguardo la potenza e la chiarezza del messaggio. Tornare ai resti: tornare a quella che è stata la storia dell'antagonismo, con le sue pratiche e le sue scelte. Tornare al quotidiano, nella sua brutale drammaticità, tornare sulla strada, tornare alla concretezza: le storie raccontate in "Questa non è forse guerra?", "Più di mille parole", "Mai più senza fucile", "La storia riptete copioni" e "Cambiare tutto per non cambiare niente "spingono inevitabilmente, disperatamente, verso questa direzione. Che disco della madonna!

>>> Download Contrasto "Tornare ai resti" LP in .mp3 (.rar - 41,2 mb.)

18/09/12

[Free books for punx]
Come mangiamo. Le conseguenze etiche delle nostre scelte alimentari
[Sarta] Ehi, punx, avete mai pensato a cos'è l'etica? No, fermi, non vogliamo farvi un pistolotto moraleggiante...è un problema serio! L'etica ci permette di capire come distinguere, tra i comportamenti umani, quelli che consideriamo moralmente leciti da quelli che invece non lo sono. Pronunciare una menzogna infamante verso un compagno per ottenere un vantaggio personale a scapito di qualcun altro è da considersi un gesto deplorevole (anche se avviene regolarmente in qualsiasi posto di lavoro, ma questa è un'altra storia...). E lo stesso vale per il furto, oppure per l'omicidio.
Ma, in quello stupido mondo là fuori, avete mai sentito qualcuno che è stato messo pubblicamente alla gogna per quello che mangia? Voglio dire, provate a dare del “sodomita” al vostro vicino di casa conformista e vedrete quanto s'incazzerà: questo perché gli orientamenti sessuali vengono comunemente considerati parte della sfera “etica”, possono essere “giusti” o “sbagliati”, “convenienti” o “sconvenienti”. Ma provate ad additare quello stesso vicino di casa perché mangia carne di maiale e vedrete che a nessuno fregherà nulla di quello che state dicendo: questo perché le scelte alimentari non sono - solitamente - contemplate all'interno della sfera “etica”.
Ma noi invece sappiamo bene che le cose non stanno così: scegliere cosa mangiare in questa società significa innanzitutto scegliere cosa comprare e, di conseguenza, dove indirizzare l'industria alimentare attraverso i propri consumi. Comprare (o - meglio - barattare!) birra artigianale fatta da qualche mastro birraio eremita non equivale moralmente ad andare al centro commerciale ad acquistare una cassa di Heineken: nel primo caso si aiuta un piccolo (auto)produttore ai margini del sistema, dall'altra si finanzia la grande distribuzione, con tutta la sua aberrazione di camion che viaggiano su autostrade per chilometri, camionisti sfruttati che impippano cocaina per guidare 16 ore al giorno, supermercati ai quali non si può quasi accedere se non in automobile, e tante altre belle cose su cui non mi dilungo. Non parliamo poi quando si sceglie di comprare un petto di pollo rispetto ad un panetto di seitan...
Il libro di Peter Singer e Jim Mason parla proprio di questo: le nostre scelte alimentari sottintendono necessariamente delle scelte profondamente etiche, anche se spesso non siamo disposti ad accettarne l'evidenza. I due autori, attraverso l'analisi delle abitudini alimentari di tre diverse famiglie americane e ricostruendo la filiera produttiva del cibo da loro consumato, ci mostrano l'impatto che le loro scelte hanno sull'intero pianeta e quindi, indirettamente, su tutti noi. E' per questo che quello che mangiamo non riguarda solo noi stessi, ma anche gli altri esseri viventi (e non solo umani!). Si tratta dunque di scelte che afferiscono necessariamente alla sfera dell'etica, sulle quali sarebbe bene riflettere. Qui sotto vi mettiamo una breve introduzione tratta dal libro, che è molto semplice e interessante e che vi consigliamo di leggere interamente (lo trovate, ad offerta libera, al nostro banchetto).
Provate a giocare riflettendo sulla provenienza di ogni cosa che mangiate (e che bevete), vedrete che è persino divertente...

29/08/12

[Free comics for punx]
LE DUE FACCE DEL COMUNISMO! (Christian Anti-Communism Crusade, U.s.a. 1961)
[Puj] Aggiungiamo un nuovo capitolo alla nostra personale storia popolare della Guerra Fredda con questo reperto risalente al 1961, Le due facce del comunismo, un fumetto stampato dalla C.A.C.C., la Christian Anti-Communism Crusade, un'associazione religiosa e patriottica americana con sede a Huston, Texas. Curò, tra gli anni '50 e '60 una manciata di pubblicazioni per ragazzi tipo Il cuore, la mente, l'anima del comunismo, Le tre facce della rivoluzione e Comunismo - una malattia. Dietro alla roboante sigla della crociata cristiana anti-comunista si celava principalmente il Dott. Fred Schwartz, medico e fervente cristiano di origini australiane che dedicò la vita alla causa anti-comunista, firmando decine di pamphlet uno più paranoico dell'altro. Il suo maggiore successo, You Can Trust the Communists (to be Communists) del 1961, inquisitorio capolavoro di mistificazione storica e sociale, é stato tradotto anche in italiano e diffuso nel 1977 con il titolo di Possiamo fidarci dei Comunisti? (un quesito riportato in auge nel nostro paese negli anni '70 dal compromesso storico).
Come tanti documenti di questo tipo, apparentemente Le due facce del comunismo intende scongiurare l'avvento di un regime comunista di stampo sovietico negli Stati Uniti. Un'eventualità probabile quanto un'invasione di marziani! Si capisce quindi che l'autentica finalità di documenti propagandistici come questo doveva essere un'altra; una finalità che aveva a che fare con la battaglia che l'establishment americano combatteva sul  "fronte interno" della Guerra Fredda, ovvero contro i sindacati dei lavoratori e gli attivisti di sinistra operanti in patria. I fumetti anti-comunisti americani degli anni '50 e '60, nel loro piccolo, fanno parte di una strategia diffusa, mirata a preservare il potere dei grandi capitalisti statunitensi contro le rivendicazioni dei sindacati e delle minoranze (i neri, ad esempio), accomunandole tendenziosamente sotto l'etichetta "comunista". Era una clamorosa mistificazione: i lavoratori delle fabbriche e i neri lottavano per condizioni di vita migliori, non per l'avvento del socialismo reale!

"Il mondo avrebbe potuto vedere da sé il miracolo del comunismo all'opera..."

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Dipingere i comunisti russi come criminali efferati e sanguinari, e il comunismo come un sistema criminoso, era funzionale a screditare l'intero universo della sinistra americana, costituito da innumerevoli associazioni, gruppi politici e sindacali che durante gli anni '40 si erano diffusi ed erano cresciuti. Soprattutto i sindacati dei lavoratori di alcuni settori chiave dell'economia americana erano visti come un grosso problema: tra la fine degli anni' 30 e per tutti i '40 avevano ottenuto significative vittorie. Al mondo dell'imprenditoria americana, tutt'uno con il mondo dell'amministrazione che contava, questo non andava giù.
Durante il periodo bellico e l'immediato dopoguerra la crociata anticomunista aveva effettivamente combattuto il Partito Comunista americano e la parte più a sinistra dei sindcati, ma negli anni '50 e in maniera ancora maggiore nei '60, non era più così: a quell'epoca l'anticomunismo era più che altro funzionale a conservare una certa immagine dell'american way of life, fondata sull'idea di una società in cui sono i ricchi a comandare, contro tutte quelle concezioni sociali e ideologiche che miravano all'inverso: dare il potere alle masse. Per questo, all'inizio degli anni '60, la classe dirigente americana decise di intervenire in Viet-Nam: per scongiurare l'eventualità che qualche poveraccio, in qualche altra parte del mondo, potesse svegliarsi e prendersela con i propri ricchi dittatori (conniventi, tra l'altro, con il governo americano). Accettando che il comunismo proliferasse e conquistasse posizioni all'esterno, la crociata anti-comunista interna avrebbe conosciuto un pericoloso contraccolpo. Senza considerare il fatto che con i regimi comunisti e i paesi del socialismo reale... non si potevano fare affari!

"Non é ancora troppo tardi... se possiamo svegliare i disinformati così che non siano tratti in inganno dalle vuote promesse dei comunisti...".


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Two faces of communism contiene due aspetti esattamente in linea con gli scopi solo apparentemente anti-sovietici sopra descritti: 1) pone l'accento sul fatto che i comunisti per ottenere il potere utilizzino infiltrati in diversi settori della società, avvallando l'idea che ogni sindacalista o simpatizzante della sinistra sia in realtà un agente o una spia sovietica, discreditando così i sindacati e l'intero movimento per i diritti civili; pertanto si caldeggia tra i cittadini la pratica della delazione per segnalare alle autorità eventuali spie comuniste; e vale l'equazione: se parla da comunista, se fa cose da comunista, se ha l'aspetto del comunista... è un comunista! 2) spiega che i comunisti cercheranno di accrescere il proprio potere attraverso scioperi e disordini di piazza, lasciando intendere che cortei, manifestazioni e picchetti di lavoratori, studenti e quant'altro siano in realtà tasselli di una congiura sovietica. 

"I comunisti sono molto pazienti, credono che la storia sia dalla loro parte... continueranno ad infiltrarsi nel governo, nelle scuole, nelle fabbriche ed anche in qualche chiesa..."




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Protagonista della storia è una famiglia americana benestante, molto yankee, ovviamente bianca e praticante. E' l'immagine di una classe dirigente conservatrice, dai solidi valori religiosi (almeno a parole), patriottica, classista, patriarcale e spaventosamente felice: per molti cittadini degli Stati Uniti, l'unica, autentica espressione dell'identità americana, di quell'american way of life di cui abbiamo parlato prima. Il padre ammonisce i figli che sottovalutano i comunisti: lui stesso, al college, per un breve periodo simpatizzò per un professore comunista, che ovviamente era un agente dei russi con il compito di diffondere le idee socialiste tra gli studenti. La fede cristiana - racconta - gli aprì gli occhi e decise di denunciare il professore, che fu prelevato dall'FBI e "deported as an undesirable alien"! "Possiamo solo immaginare che fine abbia fatto..." afferma a conclusione del racconto. Segue una terribile requisitoria contro le atrocità sovietiche e i piani di conquista del mondo messi in atto dai rossi; il padre usa ogni truce argomento per mettere in guardia la famiglia contro le minacce bolsceviche, tanto che sua figlia alla fine esclama: "Sì papà, sono così contenta di essere stata a casa invece di andare al cinema! Posso dire in tutta onestà che questo si è rivelato il giorno più importante della mia vita!"

"Se riconosciamo la nostra responsabilità di americani, le nostre famiglie, le nostre case e il nostro paese saranno protetti da Dio! Quale più grande benedizione possiamo chiedere?"

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A muovere il racconto è l'episodio nel quale Krusciov si tolse la scarpa e la battè sul banco durante l'assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1960. Un episodio folkloristico che qui però assurge a simbolo dell'autoritarismo e della pericolosità dei russi, nonché a segnale di una nuova fase di recrudescenza nella tensione tra le due superpotenze.

Iconografia biblica: la bestia comunista... si rivela!
Il tema del carattere infido e sleale dei russi era particolarmente in voga tra gli anticomunisti di quegli anni,  proprio allorché Krusciov si era impegnato in una politica di distensione nei confronti degli americani ed aveva condannato pubblicamente i crimini di Stalin. La cosiddetta distensione aveva posto le basi per una futura pacifica convivenza tra le superpotenze: un fatto che inevitabilmente toglieva spinta alla campagna anti-comunista americana e non piaceva ai suoi fautori, i quali cercavano di mettere in guardia l'opinione pubblica: "Attenti, i russi stanno bleffando! Chiedono la pace, ma fanno il doppio gioco!".
Duplicità (presunta) dei comunisti, a cui fa eco la duplicità (molto più concreta) degli yankee: lo scopo ultimo dell'anti-comunismo americano (il suo vero volto!) non era quello di difendere l'America da un invasione dei russi e dalla guerra nucleare, ma di difendere l'establishment americano (e la sua libertà di fare profitto e di dettare le regole) dalle rivendicazioni di tutte quelle parti sociali che ne minavano i privilegi. Un'esigenza che oggi, in un contesto socio-politico ben diverso da quello della Guerra Fredda, non è certo passata di moda in nessuna parte del mondo!


Krusciov agita la scarpa e sbraita: "Noi vi seppelliremo!". In realtà, non  pronunciò mai quella frase, e pare che l'episodio non sia mai stato trasmesso in televisione...