03/05/08

[Kalashni-tour report – part 6 of 6]
3/5: MARSEILLE (Francia) @ Machine à Coudre
[Puj] Il sole... il mare... Marsiglia! Dopo un lungo viaggio ci rovesciamo nel caos che anima la città: veniamo da concerti in montagna e in piccole città di provincia; ritrovare l'infernale traffico metropolitano è sentirsi un po' a casa... Oltrepassiamo un centinaio di semafori e ci tuffiamo nel pieno centro. Ad un certo punto imbocchiamo una stradina in salita: c'è un semaforo in cima, ovviamento rosso. Da fermi cerchiamo di ripartire, ma il furgone non ne vuole sapere: anzi, stracarico com'è, va all'indietro! Claudio schiaccia a tavoletta, ma niente! Mi giro giusto il tempo di vedere dietro di noi, un poker di briganti tatuati, stipati in una macchinaccia polverosa. Poi, al secondo tentativo, il bastardo a 4 ruote riparte, traendoci in salvo.
La Machine à coudre, il bar dove suoneremo, è collocato in un vicolo puzzolente, ben inculato, nella zona 100% magrebina. Un bambino grasso gioca a pallone lì davanti non curante della nostra presenza. Essendo entrati in contromano, rovesciamo tutta la roba dal furgone in fretta e furia sulla strada, mentre Claudio e Sarta ripartono per cercare un parcheggio. Torneranno due ore dopo.
Marsiglia ha un'atmosfera davvero indescrivibile per chi non l'ha provata: una metropoli esotico-caotica dal volto afro, dove tutti sembrano avere molta fretta e totale sprezzo delle regole. Un dedalo di vie, baretti, negoziacci, facce da stronzi e donne bellissime. La Machine à Coudre ("Macchina da cucire", poiché i tavolini all'entrata sono ricavati da vecchie postazioni per cucire a macchina) è un locale molto piccolo, claustrofobico, che si sviluppa in lunghezza su tre livelli. Sembra un cocktail-bar ma è un po' tutto sgarrupato, e questo gli dà un feeling di certo punk. E' un ritrovo rockabilly: come mi conferma Richard, la musica punk marsigliese è molto legata all'estetica e al suono anni '50, spesso abbinato ad un'attitudine street da skinhead. La cosa che subito ci sorprende è il fatto che il locale abbia l'entrata sprangata e che per accedere al suo interno sia necessario suonare un campanello. Verso mezzanotte, mettendo il naso fuori capiamo il perché: aiuto! Che facce per le strade! Sarà la mia immaginazione, ma in giro vedo solo teppisti e tagliagole!
Dopo aver gustato per la terza volta consecutiva in tre giorni del sano (ma stopposissimo) cous cous, decido di farmi un giro per i dintorni alla ricerca di cibo alternativo. Il vicolo è deserto. A passeggio, incazzato, un uomo eburneo alto due metri con una cicatrice sulla guancia, che non perde occasione per guardarmi male. Percorro alcuni metri e un gruppo di banditi algerini dall'altro lato della strada sghignazza e mi indica. Io faccio come se niente fosse, aspettandomi però da un momento all'altro di sentire nel collo un ago avvelento sparato da un qualche sicario, con un colpo di cerbottana. Raggiungo quello che mi pare essere un fast-food etnico: dentro c'è solo un bancone insanguinato con alcuni pezzi di bue accatastati, che un omaccione baffuto taglia, cuoce e infila in un panino! Non l'ideale per un vegetariano... Metto il piede sulla soglia e il signore alza lo sguardo torvo brandendo una mannaia lorda di sangue. Mi congedo salutando in italiano e torno alla base con un nulla di fatto.
Nel frattempo è salita sul palco una band locale: giovanotti vestiti con abiti sgargianti che paiono finte drag-queen da parrocchia ad una festa gogliardica di addio al celibato. Suonano il peggior punk-rock che potete immaginare con i peggiori suoni che potete immaginare. Richard mi si avvicina e mi fa: "Questo è il tipico sound dei gruppi di Marsiglia". E io: "Me' coioni!". I successivi Sundance Kids sono invece una rivelazione: surf music morriconiana (con tanto di fischio alla Alessandro Alessandroni, e chi ha orecchie per intendere intenda). Bravi! Bravi!
Noi attacchiamo e partiamo, davanti ad un pubblico esagitato, ubriachissimo, davvero pazzo. Il pavimento è scivoloso, così, a turno, tutti volano per terra, in un liquame di sputi e sudore. Tutti si tuffano, chi pogando, chi solamente passeggiando ignaro: signore col taieur aggrappate a cocktail trasparenti, ballerini punkabilly col ciuffo impomatato, squinzie leopardate, satanelli anarcopunk e ubriaconi magrebini. Eddy, un ragazzone rasato che sembra un mastino, non vuole farci scendere dal palco e io non oso contraddirlo. Suoniamo un altro po', poi cerco di corromperlo regalandogli un nostro cd. Lui lo prende e poi dice: "Oh, grazie! Ma ora continuate". Che serata divertente!

>>> Download KALASHNIKOV VIDEO - LIVE at La Machine à Coudre (.flv - 88 mb.)

A fine concerto sopraggiunge Christophe, ruzzolando sulle chiappe da una rampa di scalini. Chris è un punk marsigliese che offrirà la sua ospitalità ad una parte della truppa; i restanti corpi sudati avranno invece l'onore di essere ospitati dal grande disegnatore di fumetti Tchoupì. Il viaggio a piedi con Christophe, nella Marsiglia notturna ha qualcosa di irreale. Tra una pisciata agli angoli delle strade e l'altra, discorriamo di Oi! bands italiane di cui Chris è sommo conoscitore... casa sua, ubicata in un vecchio edificio, è suggestiva, con quei soffitti altissimi e i corridoi spogli, intermidabili. Ci incastriamo come pezzi di un puzzle nella stanza di Chris e piombiamo nel sonno. Ci svegliamo di buon ora, lasciamo un biglietto di ringraziamento al nostro ospite e ci apprestiamo a raggiungere il resto del collettivo. La giornata è magnifica, ma c'è un po' di malinconia perché il kalashni-tour è finito. Per rovinarmi definitivamente l'umore, faccio colazione con una briosche al burro fuso e bulloni che digerirò a Milano...
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[Free music for punx]
SUNDANCE KIDS (Western-surf, Grenoble, FR)
[Puj] I Sundance Kids, vecchie conoscenze della scena d.i.y. di Grenoble, mescolano surf-music e Morricone. Questo vinile 10" è il loro primo album. Sono cowboy punk che cavalcano nella polvere, come fossero le comparse di uno spaghetti-western di serie C. Tra l'altro, polverosa e lo-fi è anche la produzione dei brani.
Si prendono in giro con una cover surf della "Lambada" (!!!) e con citazioni cinematografiche calate in salsa garage (il riff di "Eye of the tiger" dei Survivor, dalla colonna sonora del trashosissimo Rocky III); ma sanno anche sorprendere con melodie toccanti e slancio epico (La chevauchée fantastique ovvero "La cavalcata fantastica" e Là ou les montagnes sont des rèves ovvero "Là dove le montagne sono sogni"). L'ultimo brano (Cowboy morto) è una ballata solitaria in pieno stile anarco-western.

SUNDANCE KIDS - s/t (10" autoprodotto, 2008)
Tracklist: 1. La chevauchée fantastique / 2. La Lambada / 3. Là ou les montagnes sont des rèves / 4. Dead cowboy.

02/05/08

[Kalashni-tour report – part 5 of 6]
2/5: DIJON (Francia) @ Espace Autogéré de Tanneries
[Puj] Il viaggio tra St. Claude e Dijon è intramezzato dalla visita ad un birrificio artigianale, sito in una depressa zona campagnola che non ho ben identificato (dormivo). Birre di ogni genere, ai mirtilli, all'assenzio, affumicate e profumate, ci vengono raccontate da due tizi della fabbrica, con il prode Richard, infaticabile roadie, alle traduzioni. Sarta, che è un micidiale autoproduttore di birra casalinga dalle gradazioni alcoliche esorbitanti, rivolge alcune pazze domande ai ragazzi dello stabilimento che, spesso imbarazzati, non vedono l'ora di levarselo dai piedi, mentre noi siamo più interessati all'acquisto di souvenir da presentare ad amici e fidanzate al nostro ritorno. Ce ne andiamo con alcuni ettolitri di birra in confezione regalo. Dopo quest'allegro diversivo, proseguiamo il viaggio e raggiungiamo il casello di Digione; 200 metri dopo, giriamo a destra in Rue de Chicago per ritrovarci all'Espace Autogéré des Tanneries, leggendaria roccaforte d.i.y. francese, collocata all'estrema periferia della città. A causa di questa estrema vicinanza del posto rispetto all'uscita dell'autostrada, di Digione conserviamo soltanto il ricordo di un cartello stradale.
Il Tanneries è un ex complesso industriale occupato dal 1998, con spazi sterminati, pieni di roba, un fantastico infoshop, una sala concerti che ha ospitato migliaia di bands provenienti da tutto il mondo. Il cartellone della serata prevede i francesi Skuds and Panic People, i tedeschi Enraged Minority, noi e i René Binamé dal Belgio.
Conosciamo, dopo anni di scambi epistolari, Xavier del collettivo Maloka, una delle anime del Tanneries; siamo particolarmente legati a questo collettivo, che da 19 anni stampa dischi, organizza show e promuove la cultura d.i.y. in Francia: la prima uscita “discografica” dei Kalashnikov è stata infatti una compilation prodotta da Maloka (“Au pied du mur”, 2001, un benefit per Anarchist Black Cross, vinilazzo con artwork bellissimo), che ospitò “L’inverno di Lisa”. Per noi, a quei tempi, fu una soddisfazione incredibile! Ed è grazie a quella pubblicazione che abbiamo conosciuto tanti amici in giro per il mondo con cui ancora oggi manteniamo i contatti.
Dopo un quarto d'ora di permanenza nel cortile dello squat, le birre-souvenir sono già dimezzate, con Nino e Claudio in prima linea a disquisire amabilmente con francesi, tedeschi ed altri misteriosi personaggi. L'atmosfera è gioviale, c'è una brezza primaverile nell'aria e alcuni di noi vagano per lo squat alla scoperta dei suoi spazi sterminati e delle numerose attività interne. Ad un certo punto, una ragazza estrae un kazoo ed esegue una versione mediocre di “bella ciao” (forse in nostro onore) al termine della quale Nino risponde zufolando nella trombetta una commovente “O sole mio” in versione integrale, con acuto finale mozzafiato. Il pubblico è estasiato. Dopo questa toccante performance, fa la sua entrata trionfale Clive il girovago, un po’ stravolto, il quale viene risucchiato nell’entusiasmo generale. La serata prende una piega psichedelica, con tanta gente alticcia che vaga per lo squat. Il concerto inizia e… uh, tocca a noi!

>>> Download KALASHNIKOV – VIDEO live at Espace Autogéré de Tenneries (.flv - 40 mb.)

Dopo il doveroso intermezzo del concerto, che espletiamo per altro con estrema professionalità e il sollazzo di un gruppo di bambini in visibilio per gli assoli di Sarta, si ritorna ai festeggiamenti per non si sa che cosa, con Nino pirata dei sette mari a capo di una ciurma alcolica determinata a vincere, Claudio, fidato scudiero, e il Don, asso nella manica, capace di guizzi improvvisi e sorpassi alcolici avventati. Mentre vado a dormire sento che Claudio si fa chiamare Giorgio e penso che forse è meglio darsela a gambe. Mi sparo dunque una pennichella in furgone seguita da un sano riposo in branda ai piani alti del Tanneries. Verso le quattro, nel dormiveglia odo guaire dal cortile: sono naturalmente i nostri eroi che hanno spedito il Don da me, a recuperare le chiavi del furgone per un ultimo assalto alle riserve di birra-souvenir che pensavamo al sicuro nell’abitacolo del mezzo. Mentre il Don mantiene (a stento) una certa signorilità nei modi, quelli di giù sembrano dervisci impazziti posseduti da divinità maligne. Non paghi del furtarello ai danni delle fidanzate milanesi che rimarranno a bocca asciutta, i manigoldi si sono poi ingollati una bottiglia di whiskey caduta dal cielo. Il mattino dopo mi sveglio fresco e riposato come dopo un letargo e trovo ad attendermi un plotone di super-mutilati di tutte le guerre, sinistramente silenzioso. Claudio è triste perché qualcuno gli ha rubato la felpa dei Kalashnikov che Nino gli aveva regalato in segno di fratellanza all’inizio del viaggio. Ci uniamo al cordoglio e consoliamo l’amico. Si scoprirà però che la felpa era stata in realtà regalata dallo stesso Claudio (in incognito con il nome di Giorgio) ad una tizia che passava di lì, in preda ad un raptus di fratellanza universale nel carosello notturno. La ragazza si prodigherà di inviare una e-mail di ringraziamento alcuni giorni dopo, smascherando il povero Giorgio.
Morale della favola: saliamo a bordo del furgone e ci prepariamo psicologicamente/fisicamente a percorrere i cinquecento chilometri che ci separano dall’ultima tappa del tour: la tentacolare, multi-etnica, sordida… Marsiglia!

[Free music for punx]
SKUDS AND PANIC PEOPLE (Street-punk, FRA)
[Puj] Ad aprire il concerto al Tanneries ci ha pensato questo giovine gruppo francese che suona punk-rock di strada con l’andatura da teppista dei sobborghi, tipica della musica Oi!. Originari di Thouars, nella Francia occidentale, gli Skuds and Panic People li ho seguiti dalla cucina, gustando l’ennesimo cous-cous annaffiato da succo d’uva di seconda qualità. La loro musica è un sunto di tutti i sottogeneri dello street-punk, con innesti ska, folk e una voce spesso ai limiti del death-metal; uno stile che oggi da noi è piuttosto in ribasso. “Human extinction” (2005) è il primo album degli Skuds; titoli come “La tua strada”, “Lotta di classe”, “Tanti amici, niente giorni duri” non lasciano molto spazio all’immaginazione. Il retro del loro cd puntualizza: “Strettamente Antifascista!”.

SKUDS AND PANIC PEOPLE – Human Extiction (cd autoprodotto 2005)
Tracklist: 1. Roazhon / 2. Bad Revenge / 3. Your Street / 4. To glory / 5. She Tries / 6. In the night / 7. I'm a Skud you don’t meet everyday / 8. Faim de Droits / 9. Class War / 10. Do you really want a strike ? / 11. Good friends, no hard days / 12. Monkey man / 13. Rude night connexion / 14. Quand je serai libere / 15. In the fight / 16. Aprés minuit

>>> Download Skuds and Panici People cd in mp3 + complete art scan (.rar - 46 mb.)

[Free music for punx]
RENE BINAME (A
rt-punk, Belgio)
[Puj] Lezioni di musica con i veterani René Binamé, singolare trio punk-rock proveniente dal Belgio. Hanno suonato dopo di noi, chiudendo la serata. Assortiti in modo bizzarro (uno scienziato pazzo alla batteria/voce, un giovane crustie con la toppa dei Discharge al basso e un proletario ottocentesco alla chitarra) si affidano a partiture scarnissime, sorrette però da un groove asciutto e preciso come un metronomo. Dalla loro immobilità sul palco traspare un’estrema serietà e dedizione. Li descriverei come dei Ramones robot, dei punk-rockers dall’aria colta, che utilizzano il sound essenziale, frivolo, tipico del power-pop, per sviluppare, di contro, discorsi politici adulti e piuttosto articolati. Sono in perenne tour, suonano tantissimo in giro per l’Europa e si nota dalla perfetta coesione, dalla distratta semplicità con la quale eseguono senza una sbavatura, una dopo l’altra, le canzoni. Nei dischi dei Binamé sono sempre presenti partiture di sintetizzatore, eseguite, in sede live, dal batterista: con la voce! Ah, ah, ah!
Nella nutrita discografia della band ho scelto di proporre l’album “17-86-21-36”, del 1995, sottotitolato: “Qualche canzone per fare la rivoluzione”. Questo disco, nel quale i Binamè si cimentano in rifacimenti di vecchie e meno vecchie canzoni di rivolta, non solo dà lezioni di musica, ma anche di storia! Infatti, i numeri che compongono il titolo sono in realtà date, relative a fatti storici che la band, a suo modo, vuole ricordare : la Comune di Parigi (1871), i moti popolari in Wallonia (1886), l’insurrezione di Kronstadt, il movimento makhnovista ucraino (1921) e la guerra civile spagnola (1936). Episodi legati tra loro dal fatto di essere stati exploit rivoluzionari “perdenti”, di aver incorporato brevi esperimenti libertari ai quali la storia ha dato brutalmente torto.
Le canzoni vengono rivisitate attraverso il linguaggio art-punk robotico del gruppo, con toni decisamente poco trionfalistici. L’originalità dell’approccio rispecchia la problematicità dello sguardo dei musicisti verso i fatti storici narrati, uno sguardo non superficialmente commemorativo, né banalmente “di parte”. Il risultato è a tratti commovente per il malinconico distacco, per la poesia scheletrica degli arrangiamenti (per es. l’uso minimale del synth), per l’assenza totale di retorica. Gli ultimi tre pezzi del disco sono collage sonori techno-dada ed esperimenti di politik-ambient, sulla scia di alcune vecchie cose che solo a metà anni ’70 si aveva il coraggio di fare. Capolavoro!

RENE BINAME – 71-86-21-36 (cd autoprodotto 1995)
Tracklist: 1. Révolte / 2. Juillet 1936 / 3. La chanson du Père Duchesne / 4. La Makhnovstchina / 5. Hécatombe / 6. La rue des Bons-Enfants / 7. Le Chant de Partisans / 8. Dynamite / 9. Le triomphe de l’anarchie / 10. L’internationale en concert / 11. Embrasse / 12. L'Intersidérale / 13. L’Internationale boursière.

01/05/08

[Kalashni-tour report - part 4 of 6]
1/5: SAINT-CLAUDE (Francia) @ Coffre-Fort
[Puj] Distillato un nuovo beverone energetico per driver Claudio, ripartiamo alla volta della Francia. La prima data avrà come scenario l'amena cittadina di Saint
Claude, sita appena dopo il confine svizzero. Sarta decide di farci godere appieno delle bellezze naturali della montagna così, anziché imboccare un'agevole autostrada, arranchiamo per ottanta chilometri in stradine boschive, tracciate accanto a graziosi dirupi e spiritosissime zone franose. Finalmente sbarchiamo al Coffre Fort, una casupola occupata, arroccata ai margini del paese. Saint Claude, capoluogo della regione della Jura (tristemente nota come "la Siberia d'Europa"), è a circa 800 metri sul livello del mare ed è celebre per la produzione di pipe in legno (...).
Al Coffre-Fort è tutto in miniatura, tranne i gradini, numerosissimi ed alti mezzo metro ciascuno. Gli stipiti delle porte sono invece bassissimi e, non essendo uno gnomo dei boschi, inizio a tirare craniate ovunque, a ripetizione, senza fermarmi. L'atmosfera è piuttosto montanara, un po' da comune freak, con le mamme, i bambini e i papà già brilli; un clima molto bello, fuori dal tempo. Traspare quello spirito d.i.y. radicale tipicamente francese, che unisce punx, famiglie hippie e montanari hard-core in totale armonia. Nella scena d.i.y. francese non c'è spazio per le fighette fashion punk, per le smancerie narcisistiche e per il comfort borghese: e qui siamo pure sui monti, dove tutto è ancora più selvaggio, più rustico, più radical e di sicuro meno chic. Come dice il nostro amico e profeta Clive: "Il futuro del punk è sulle montagne". Le metropoli sono sempre più aggrovigliate, oggetto di troppo interesse, gli spazi si riducono, i costi aumentano, le mode spopolano e, conclude Clive, "...ci sono troppi sbirri!".
Nel frattempo scorre birra artigianale a fiumi nel nostro gargarozzo e ceniamo con il primo cous-cous di questo tour francese. Continuo a dimenticarmi dei soffitti bassi e rischio il ricovero per trauma cranico. Al Cofrre-Fort troviamo vecchi amici come Richard, Philippe e Garth, mentre del mitico Clive arriva solo il furgone guidato dalle ZeRevengers, tre signorine di Grenoble che suoneranno con noi questa sera. Richard e amici sono indaffaratissimi perché devono ancora impaginare, pinzare e confezionare le prime copie di una spettacolare doppia antologia dei Kalashnikov, con i testi dei primi tre album tradotti in francese. Rimaniamo esterefatti! E' bellissima! Grazie Richard!
Mentre vago nei paraggi, un signore sulla cinquantina mi si rivolge in italiano e mi fa: "Ciao Pippo!" e io gli dico: "Non sono Pippo!" e lui "Ah. E allora chi sei?" e così iniziamo a chiacchierare... E' Tonino, padre di famiglia calabrese, trasferitosi per motivi sentimentali a Saint-Claude, sulle montagne della Jura. Mi racconta la sua vita... Tonino è un personaggio letterario: un mix di cazzoneria calabrese e spleen boudelairiano, ha l'aspetto di un latin-lover decaduto, ma anche di un padre un po' scassato e tuttavia premuroso. Ha infatti accompagnato le figlie punx al concerto perché c'era un gruppo italiano e loro volevano vederlo a tutti i costi. Tonino pogherà come un forsennato per tutto il tempo.
Ancora con la luce, verso le 20:00, si aprono le danze! Suonano gli Snap, band di rock alpino molto divertente, tutti un po' attempati e vestiti da pastori. Belli rustici. Il cantante indossa una maglietta dei Diabolos Rising, (vecchio gruppo black-metal greco) raffigurante una suora sadomaso! Seguono le ZeRevengers, originale trio punk basso/batteria/violino tutto femminile. Poi i Sand Creek Massacre, crusties olandesi di passaggio. Si suona in pochi metri quadrati, al secondo piano della casa, c'è tanta gente e non ci si muove più! Noi facciamo il nostro anti-show con il consueto entusiasmo, con le mamme e i bambini che ballano, Tonino scatenato e tutti che si rovesciano gli uni sugli altri!

>>> Download KALASHNIKOV - VIDEO-LIVE at Coffre Fort 1/5/08 [parte 1]
>>> Download KALASHNIKOV - VIDEO-LIVE at Coffre Fort 1/5/08 [parte 3]

Per la notte siamo ospiti di Dudù, un signore montanaro davvero hard-core. Dopo un viaggio notturno, su strade da incubo, immersi nell'oscurità (per noi metropolitani, abituati all'illuminazione elettrica ovunque e in qualsiasi momento, il buio completo è cosa sconosciuta!) giungiamo all'ameno casolare. Dudù ci ha apparecchiato alcune brande. Dopo brevi istanti di incoscienza e di ottimismo, realizziamo: ci sono due gradi sotto zero, siamo in una casa di pietra senz'acqua, senza riscaldamento, senza bagno. Ah, no, il bagno c'é: è un catino di segatura. C'è anche molta cacca secca di topo e polvere atavica. Nel frattempo rifletto che avrei fatto meglio ad infilarmi in un frigorifero anziché nel mio inutile saccoapelo. Incredulo per il gelo che mi assale da ogni parte e afflitto da un terribile malditesta provocato dalle ripetute testate tirate ai maledetti soffitti bassi del Coffre-Fort, cerco - ingenuamente - di dormire. Passo una nottata davvero h.c., anzi, death-metal.
All'alba ho come l'impressione di essere morto e di essere resuscitato. O forse no, di essere morto e basta. Fortunatamente scopro che è sorto il sole e che fuori fa molto più caldo che dentro, così striscio all'aria aperta e la mia temperatura corporea ritorna quella di un essere umano, benché l'aspetto rimanga quello di una malinconica amoeba. Pochi minuti in quel paradiso montano e ritrovo la speranza per il futuro. Scorgo Dudù trotterellare in maglietta sui pendii, mentre io, con indosso otto strati di indumenti e un giubbotto anti-vento da esploratore, giaccio imbarbarito su una roccia. Vorrei colpirlo con una fionda, ma Dudù si fa premuroso e prepara la colazione: scalda l'acqua con un ingegnoso attrezzo, si tratta di uno scaldavivande solare, che fa bollire l'acqua indirizzando i raggi solari in un unico punto, grazie ad un complesso gioco di specchi. Meraviglia delle meraviglie! Ci riuniamo attorno al tavolo, mangiamo con gusto il pane alle spezie confezionato dagli autoctoni e ci torna a scorrere il sangue nelle vene. Anche i miei sentimenti nei confronti del povero Dudù si sono fatti più umani, e mi rendo conto che in fondo il nostro ospite non ha alcuna colpa se io sono una mammoletta punk civilizzata, abituato alle mollezze della mia vita da borghesuccio. Dudù è stato un amore, gentile e generoso e sarei stato ingiusto a percuoterlo con un bastone accuminato come avevo intenzione di fare, in preda ai morsi del freddo. Dudù, perdonami. Ad ogni modo, di buon mattino (mezzogiorno e mezzo), saliamo in furgone e imbocchiamo il primo burrone a destra, per ritrovarci qualche minuto dopo in pianura, diretti verso Dijon...

[Free music for punx]
ZE REVENGERS (art-punk, Grenoble - FR)
[Puj] Le tre signorine mascherate di Grenoble, (basso/batteria/violino o violoncello), timidissime nei loro maglioni infeltriti, suonano musica per la quale l'aggettivo "autoprodotto" calza a pennello. Ogni aspetto della loro comunicazione musicale rivendica autonomia artistica e creativa. Si ingarbugliano tra loro, incoscienti, in un punk/grind da camera, sempre spiazzante, con testi fitti di scherzi linguistici, in bilico tra critica sociale e non-sense. Adorabili! Il loro (credo) secondo disco autoprodotto si intitola "La foi des morues soulève des montagnes" che in italiano suona tipo: "La fede dei merluzzi solleva le montagne" (ehm... non sono sicuro che la traduzione funzioni...); è confezionato in modo che più artigianale non si può, dipinto a mano e messo insieme con la colla. La seconda traccia, "Je ne suis pas un pot de confiture" (Io non sono un barattolo di marmellata), ha un testo molto bello che dice: Giudicati, etichettati, catalogati… chi sei tu? Identità nella massa. Nella massa mi manifesto, mi manifesto per emergere, ma la massa digerisce la mia identità… in un gruppo mi sento meno sola, ho meno paura che da sola, ma il “noi” non sono “io”… ma il "noi" non sono "io"!. Tutto suonato con estrema discrezione. Che simpatiche!


ZE REVENGERS - La foi des morues soulève des montagnes (cd autoprodotto 2008)
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Tracklist:
1. Masure'ka
2. Je ne suis pas un pot de confiture
3. Oi
4. Bulle d'oser
5. La communik'action
6. N'etre humaine
7. Tourni

>>> Download Ze revengers album in mp3 + artwork (.rar - 48 mb.)

[Free music for punx]
SAND CREEK MASSACRE (melodi-crust, HOL)
[Puj] I giovanissimi S.C.M. prendono il nome da un avvenimento storico: il massacro di Sand Creek, appunto: carneficina indiana perpetrata dagli yankee ai tempi del Far West. Anche i ragazzi olandesi sembrano superstiti di un massacro, che nel loro caso è stata una settimana di tour europeo. Sono distrutti! Kloender, la cantante/chitarrista, riporta addirittura vistosi segni di ferite alle ginocchia, in ricordo di chissà quale volo dal palco. Tuttavia, come tutti i musicisti h.c. sanno, una volta saliti sul palco ci si ripiglia e si ritrovano forze di cui non si sospettava più l'esistenza, cosicché i 4 olandesi, quella sera al Coffre-Fort, fecero uno show molto intenso e partecipato, con Kloender in prima linea a sbraitare sulle linee melodi-crust intessute dalla band.
La musica dei Sand Creek Massacre appartiene ad una nuova generazione di crusties melò: la predilezione per gli intervalli melodici rispetto ai classici mezzitoni rovina h.c, pur nel rispetto delle linee vocali disperate e delle ritmiche a valanga del tradizionale D-beat, conferisce all'insieme un mood più drammatico ed emotivamente coinvolgente.
Trai brani del loro cd spicca "Material Girl" che non è la cover della nota hit di Madonna; ne è piuttosto la nemesi: Kloender, anti-madonna, urla la propria estraneità ad un mondo che non le appartiene: "Le vostre luci di neon lampeggiano e chiamano il mio nome, ma io preferisco stare ferma nell'oscurità...".

SAND CREEK MASSACRE -
s/t (cd autoprodotto 2008)

Tracklist:
1. Big Man
2. Only a spark
3. SCM
4. Nightmares
5. Material girl
6. Poisoned the well

>>> Download Sand Creek Massacre e.p. in mp3 + artwork (.rar - 34 mb.)

27/04/08

[Kalashni-tour report - part 3 of 6]
27/4: ZAGABRIA (Croazia) @ Mochvara
[Puj] Domenica mattina. Un tè scipito in un bar di Kranj accompagnato da un mostruoso borek è l'idele per partire con lo slancio di una lumaca ubriaca. Ah, il borek! Pagnottone a sfoglie ripieno di formaggio, fritto nell'olio del furgone! Delizia slava unta e bisunta che rende trasparente l'esofago. Si parte per la Croazia. Il viaggio è breve e la frontiera non nasconde sorprese. A dire il vero, qualche dubbio lo avevamo avuto, perché Sarta, partiti da Milano, aveva sfoderato un foglio in croato, firmato e timbrato, inviatogli dal nostro contatto di Zagabria: "Mi hanno detto che al confine dobbiamo far vedere questo foglio". Solo che non abbiamo capito cosa diavolo che c'era scritto; l'unica cosa chiara era "Kalashnikova grupo", sicuramente non il migliore biglietto da visita da mostrare alle guardie di confine. In realtà, i due ciccioni in divisa che abbiamo incontrato al posto di controllo non hanno fatto una piega: avevano la reattività di un vegetale appassito.
A Zagreb se sbagli strada sei fottuto: imboccare a cuor leggero un vialone può significare non poter più svoltare per chilometri: e così ci impieghiamo ore a trovare ciò che cerchiamo. Anche l'inossidabile driver Claudio ha perso la pazienza nel mezzo di quel delirio urbanistico. La città ha un aspetto piuttosto sovietico, con stradoni larghissimi e palazzi squadrati; c'è il sole, così tutto sembra bello e felice.
Il Mochvara ("La Palude") è un locale autogestito che sorge in periferia, nella zona industriale. Una volta arrivati abbiamo come la sensazione che i ragazzi si siano sbagliati e ci abbiano scambiati per i Metallica. Ci accolgono con tutte lo comodità immaginabili, possiamo usufruire di un backstage con doccia e bagno privato, ordiniamo una cena alla carta, ci riempiono di buoni per la birra... Al Mochvara, tra l'altro, c'è il palco! Non solo la sua presenza è per noi cosa rara, ma si tratta per giunta di un palco da veri musicisti, con impianto luci e un sacco di spazio per muoversi! Siamo quasi offesi. Gli sgabuzzini occupati ai quali siamo abituati ci obbligano (essendo noi in sette) ad incastrarci come pezzi di tetris e a calcolare millimetricamente ogni movimento: capita che Nino mi rifili scudisciate di basso nelle palle, Milena mi salti sui piedi e il Don sia costretto a suonare in un'altra stanza. Qui invece si sta larghi e comodi, e ci sono ben 8 casse spia! Come se non bastasse, abbiamo due fonici al nostro servizio: uno per i suoni sul palco, l'altro per quelli fuori! E' uno scandalo, ci lamentiamo con la direzione per questo spreco di risorse.
Gustando del delizioso e signorile seitan con verdure, mi aggiro per il Mochvara: alle pareti sono appese le foto di alcuni dei gruppi che hanno suonato nel passato: Max Cavalera con i suoi Soulfly... i Deftones... i Converge... Noto che, fra qualche giorno, suoneranno gli Einsturzende Neubauten. Comincio seriamente a temere che, in un posto così, la nostra serata si rivelerà una tragedia di dimensioni bibliche. Nella compagnia c'è un senso di curiosità mista ad imbarazzo... Tra l'altro, avremmo dovuto suonare di spalla ai grandi Guts Pie Earshot, duo tedesco di musica dance-punk, che però ha dato buca. E quindi siamo l'unica band della serata. Aaaahhh! Mi sento solo, ho paura. Fortunatamente cominciano ad affluire punx e simpatici amici, l'aria si tinge di d.i.y. e conosciamo Robert Fistra, il nostro contatto, grande promoter della kalashni-musica in terra croata. C'è un ragazzo che ha appuntato sulla felpa una nostra toppa, che per altro, non avevo mai visto! Mi spiega Fistra che è stato lui a stampare quelle toppe e ce ne regala un paio, assieme ad alcune spille altrettanto inedite. Dice anche che aveva confezionato una versione in cassetta del nostro secondo album, che però è andata a ruba e non ha potuto tenerecene via qualche copia. Uh! Che uomo meraviglioso.
Come se la serata non fosse già abbastanza strana ecco sopraggiungere Siringo e Brusa, amici milanesi, giunti a Zagabria in giornata perché del tutto pazzi. Brusa indossa una maglietta con scritto: "Sirvio Puppa". I due sono partiti da Milano verso mezzogiorno, poi Siringo all'altezza di Bergamo ha scoperto che per andare in Croazia ci vuole la carta di identità così è tornato a Milano a prenderla ed è ripartito verso le tre in modo da arrivare alle 22:00 al Mochvara senza soldi e senza un posto dove dormire. Non pago, Siringo ha assunto una pasticca che gli ha dato uno sconosciuto ed è andato alle cozze. Nel frattempo incrocio nel locale, due amici che avevamo conosciuto a Kranj, che si sono sobbarcati duecenti chilometri per seguire anche questa data. Vorrei baciarli sulla bocca, ma temo che possano fraintendere.
A sorpresa, di gruppi che suonano prima di noi ce ne sono due: i Paddy's Allstars, ensemble folk-punk devoto alla musica tradizionale irlandese e i giovanissimi Kayla, punk-band locale. Il nostro live è incredibile: tutti cantano, ballano, esultano come se avessero fatto gol. Un giornalista locale, accorso per "testimoniare l'evento" (?!), ci spiega le ragioni di tanto entusiasmo: "Sono cinque anni che vi aspettano qui in Croazia!" Eh? E ce lo potevano dire prima! Mah, non sappiamo come spiegarcelo, ma i ragazzi del pubblico ci conoscevano bene, chiedevano le canzoni, cantavano i testi, e sapevano a memoria ogni passaggio dei nostri pezzi, tant'è che l'inserimento di una parte aggiuntiva di tastiera della durata di 8 secondi in mezzo a "Belfast brucia negli occhi di Sara" ha destato improvvisa perplessità in alcuni fan! Comunque sia, ci siamo sentiti davvero importanti. E anche un po' imbarazzati...
Il giorno dopo, alle dieci meno un quarto, bussa alla nostra porta un Robert Fistra agguerritissimo, in compagnia di una sua simpatica amica. E' armato di registratorino e determinato ad intervistarci. Il nostro inglese fa schifo di sera quando siamo ubriachi e perdiamo ogni ritegno; di primo mattino, con le rane nello stomaco e il cervello mescolato presumo risulti totalmente inintellegibile. Nel bar di un centro commerciale, di fronte all'ennesimo té dal gusto alieno, si consuma la tragica intervista. Alla fine, grazie ad un colpo di coda di Sarta e la collaborazione confusissima di tutto il collettivo, ce la caviamo dignitosamente, portando a termine l'incombenza. Grazie, Robert! Dopo aver sperperato le ultime kune rimaste in superalcoolici locali, sveniamo nel furgone e ci lasciamo alle spalle le lande croate...
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[Video]
PADDY'S ALLSTARS (folk-punk, Zagreb) - video-live @ Mochvara
Tra gli amici croati che ci hanno riservato un'accoglienza meravigliosa c'è sicuramente, al primo posto, Dado (qui a fianco), cantante dei Paddy's Allstars, una curiosa formazione di folk-punk con flauti e violini. Il pirata Dado guida la sua ciurma con il carisma di un condottiero d'altri tempi, bottiglia in pugno e sguardo truce!
La musica dei Paddy's è davvero esuberante, con tutti quegli strumenti che suonano gioiosamente assieme e le melodie da festa pagana. Molto divertente!
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[Video]
KAYLA (punk-rock, Zagreb) - video-live @ Mochvara
I Kayla sono un simpatico gruppo per 3/5 al femminile che suona un punk un po' virato indie, che ha sollazzato i nostri padiglioni auricolari. Eva, la cantante, era la barista del Mochvara. La bassista Battack e la chitarrista Miffic (uh, che nomi!) suonano anche nei Paddy's Allstars.
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26/04/08

[Kalashni-tour report - part 2 of 6]
26/4: KRANJ (Slovenja) @ AKD Izbruh
[Puj] Kranj sorge in una piana circondata dalle montagne, vicino a Lubiana. Pioviggina e la cittadina ha un aspetto davvero desolato. Lo studentato che doveva ospitarci è chiuso, completamente deserto e l'atmosfera si carica d'inquietudine. Cerchiamo un posto dove mangiare e troviamo un bar che cucina salsicce slovene ed altre specialità locali. Il menù vegetariano non è il massimo e mi sento come se avessi deglutito del mastice. Kranj intanto sembra una cittadina in agonia, sempre più inespressiva, con tutti i negozi chiusi e qualche passante che ciondola da un bar all'altro. Grazie all'aiuto provvidenziale del proprietario del ristorante riusciamo a metterci in contatto con la direttrice dello studentato, una signorina Rottenmeier tutta sclerata. Quella, ci da le chiavi e poi sparisce lasciandoci soli soletti in quel complesso smisurato e sinistro. Nel pomeriggio ci infiliamo in una bettola di periferia dove si serve esclusivamente birra Lasko e noccioline confezionate. La Lasko comicia ad uscirmi dagli occhi e dalle orecchie.
L'Alternativno Kulturno Drustvo Izbruh, dove suoneremo, un tempo era una piscina pubblica: uh! Oggi è un centro culturale giovanile molto alla buona in mezzo alla boscaglia, di fianco ad un mostruoso centro commerciale. Nella piscina vera e propria c'è un concerto heavy metal di bands locali ma noi, in quanto luridi punx, siamo ospitati nella ben più fetida depandence d.i.y., (forse un tempo lo spogliatoio della piscina!), e ne siamo contenti perché è la solita stanza senza palco, piena di sudore e umanità in cui amiamo suonare. L'atmosfera è strana: nell'aria risuonano raffiche di doppia cassa death-metal, nessuno si preoccupa granché della nostra presenza, la scaletta della serata è avvolta nel mistero. Darci, il giovane incappucciato che ci ha organizzato il concerto, ci dà dei soldi per andarci a mangiare una pizza al centro commerciale. Boh! Tornati, mi accascio su un divanetto lurido in preda al mio tradizionale maldischiena e seguo il concerto dal pavimento. Suona una band indigena, i Najbolsi. Grandi. I successivi Prazne Flase, altra band dei paraggi, intrattengono i pochi presenti con due ore di scassatissimo anarco-punk semi-improvvisato: un suono così sgraziato da poter essere annoverato tra la musica d'avanguardia. Alla fine non sanno più che cosa suonare così sbiascicano riff un po' a caso come fossero in sala prove. Il pubblico è scarso e leggermente nauseato, e noi, guardandoci in faccia, ciscuno con la sua Lasko di ordinanza nella mano e gli occhi stanchi, temiamo di non poter aggiungere molto altro alla serata. E invece.... quando attacchiamo accorrono tutti, si accende un entusiasmo insospettabile, mi passa il maldischiena, tutti ballano e si dimenano come pesci in quell'acquario di fumo e sudore! Confluiscono anche alcuni metallari dalla stanza accanto e ci sono ragazzi sloveni che cantano a squarciagola i testi delle canzoni! I punx ci prendono in ostaggio, così replichiamo la scaletta un paio di volte prima di salutarli. Troviamo calore, un vero tripudio. Wow! Che bello! Tutto è bene quel che finisce bene...


[Video ]
NAJBOLŠI (h.c., Kranj) - video-live @ AKD Izbruh
[Puj] I Najbolsi! Crust velocissimo, rognoso, nessuno del gruppo suona insieme all'altro, una sberla sonora tutta scoordinata! Arrivano, appoggiano a terra una cassa di birra e in fretta e furia partono, come se avessero i minuti contati. Il cantante Miha sembra all'ultimo concerto della sua vita: corre, scalcia, cammina sulle pareti, salta da tutte le parti, beve lasko come un lavandino e sbrana le lattine (performance di cui c'è testimonianza nel video sul myspace del gruppo...). Un quarto d'ora di concerto e, come sono arrivati, lasciano il campo, tra birre rovesciate e lattine squarciate. Miha s'innamora di Milena e a fine concerto l'abbraccia e la bacia furiosamente...

>>> Download NAJBOLSI - VIDEO-LIVE at AKD Izbruh 26/04/08 (.flv)

[Video]
PRAZNE FLAŠE (Punk, Kranj) - video-live @ AKD Izbruh
[Puj] Che dire dei Prazne Flase? Punkabbestia berserker, non precisamente dei musicisti sopraffini, ma di grande attitudine. Incitati da alcuni scalmanati locali, suonano allo sfinimento e si congedano solo quando non sanno più che cosa fare. Anche per loro niente musica registrata e nessuna traccia sul web...

25/04/08

[Kalashni-tour report - part 1 of 6]
25/4: KOMEN (Slovenja) @ Stara Sula
(Parte da qui il resoconto delle sei date che ci siamo ciucciati in giro per Slovenia, Croazia e Francia negli ultimi giorni. Un po' di noi, ma anche un po' di ciò che ci è stato intorno: musica e video da scaricare e succhiare, testimonianze dei luoghi, delle persone e degli umori che abbiamo incontrato in sei intessissimi giorni trascorsi nell'amato circuito d.i.y. europeo. Evviva!).
[Puj] Il furgone è straripante, il traffico è fitto, siamo subito in coda! Milano-Brescia è un'agonia, c'é pure una tizia che ci tampona da dietro. Poi si parte e in un lampo ci risvegliamo in Slovenia. La prima data di questo tour è cambiata decine di volte a causa di sgomberi e fuori programma vari, ma finalmente siamo riusciti ad infilarci in un concerto già organizzato a Komen, appena oltre il confine sloveno.
Il passaggio dall'autostrada italiana alle campagne slave è una liberazione: sentieri che si snodano lungo i rilievi, casupole sparute nella vegetazione, nessun essere umano all'orizzonte. Komen è un paese brumoso e semi deserto: una manciata di casupole tirate sù alla cazzo nella natura selvaggia. L'atmosfera è quella di antiche leggende sui vampiri. O sui licantropi. Nel centro, accanto alla chiesa, sorge un anonimo edifico sul quale troneggia, tutta storta, una scritta al neon: "Paradiso". Sotto, l'entrata di un disco-bar in cui ci infiliamo, non sapendo che altro fare; sembra di essere entrati in un'altra dimensione! Fumo fitto, gente che sbevazza, vociare sloveno-friulano, facce brutte e belle ragazze. Altoparlanti appesi al muro sputacchiano musica qualunquista e demodé, così noi ci scoliamo un paio di
birre Lasko a stomaco vuoto. Al Paradiso si respira l'aria dei bar di quando eravamo bambini, con i flipper, le freccette e l'arredamento in legno!
In serata conosciamo Alan che ci aspetta allo Stara Sula, una scuola occupata nella quale suoneremo. La stanza per i concerti è una grotta cupa senza palco: ciò che preferiamo. La cena è a base di Lasko pivo (motto triestino: "Bevo Lasko finché casco, bevo pivo finché vivo") e zuppa d'aglio (vedi dopo...), una specialità locale che manderà in avaria l'alito dell'intera compagnia. I punx di Komen, ci racconta Alan, sono piuttosto attivi sul versante musicale d.i.y.: tutti gli anni, d'estate, viene organizzato un festival all'aperto con band rovina da tutta europa, proprio davanti alla chiesa, con la benedizione del parroco e numerosi stage-diving dal sagrato.
Orgogliosi della nostra arte vincola, offriamo ad Alan del vino italiano, pensando di incontrare il plauso degli
amici slavi, ma scopriamo che gli sloveni sono devoti unicamente ad un vino loro, aspro e novello che asfalta la bocca e fa crepare lo stomaco. Loro bevono solo quello, con foga disarmante. Col vino ci fanno anche i cocktail, addizionandolo con la coca-cola del discount. Il tasso alcoolico della serata è vertiginoso: tutti gironzolano con un beverone personale di cui vanno fieri, confezionato in bottiglie di plastica: c'è chi beve succo di mela col whiskey, chi una a specie di the al vino che fa tremare i muri. Il nostro rhum e cola portato da Milano impallidisce di fronte alla macabra creatività slovena. Noi preferiamo irrorare i nostri gargarozzi di birra Lasko e seguiamo l'esibizione dei gruppi che ci precedono. Bands dei dintorni: i Vaska Subkultura, i Not Yet e i The Bretones.
Buona parte del pubblico è alla frutta: troppo vino! Sarta, prima di suonare, getta il suo giubbotto su un poveretto accasciato di fianco agli ampli per ripigliarsi dalla sbronza, pensando si tratti di un cumulo di stracci. Quello non fa una piega e resuscita solo mezz'ora dopo per ballare le ultime due canzoni che suoniamo. Un punk sloveno vissuto in Germania per nove anni ci dice che conosceva i Kalashnikov già da un bel po' di tempo perché aveva ascoltato il nostro primo album in cassetta a casa di un amico berlinese, che ha tutti i nostri dischi. Miracoli della distribuzione d.i.y.! E' sempre strano e bello insieme conoscere i retroscena di queste coincidenze meravigliose. Il concerto scivola via senza eccessi di entusiasmo, anche perché buona parte del pubblico non si regge più in piedi. Dopo aver scolato la Lasko della staffa, ci accasciamo dormienti per la notte...

[Video]
THE BRETONES - video-live @ Stara Sula
[Puj] Imperdibili! Sono in tre, suonano cover strumentali dei Ramones con basso, batteria e... cornamusa! L'idea della band è quella di unire il punk-rock alla musica tradizionale bretone, appunto. Blitzkrieg Bop strombazzata da un signore sloveno con la maglietta dei Descendents che zufola in quello strumento musicale dal sapore natalizio è qualcosa che non avrei mai pensato di vedere nella mia vita. Colpo di classe: il microfono appeso con lo scotch sulla tromba della cornamusa, per amplificarne il suono. Il loro primo album è in arrivo. Piva, piva l'olio d'oliva!

>>> Download THE BRETONES - VIDEO LIVE at Stara Sula 25/4/08 [parte 2]

[Video]
VASKA SUBKULTURA - video-live @ Stara Sula
[Puj] I
Vaska Subkultura sono un grezzo gruppo punk rock, dal suono fuori moda. Bene! Purtroppo, come tutti i gruppi della ex-yugoslavia che abbiamo incrociato, nemmeno loro hanno registrato nulla di ufficiale: si vede che da queste parti i gruppi incidono musica per fare un disco solo quando hanno qualcosa di realmente buono da registrare. Beh, giusto! Da noi le bands un giorno si mettono insieme, quello dopo hanno già un demo su myspace. Ah, che nostalgia i tempi in cui gli studi di registrazione andavano a carbone e per incidere un disco dovevi fare un mutuo... Ad ogni modo, qui sotto, un estratto video del live dei Vaska allo Stara Sula di Komen...

>>> Download VASKA SUBKULTURA - VIDEO LIVE at Stara Sula 25/4/08
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[Food, not bombs!]
LA ZUPPA D'AGLIO SLOVENA
[Puj] Ah, che mazzata! Ingredienti e dosi per quattro persone: 6 spicchi d'aglio, un cucchiaio di olio d'oliva, 2 tazze d'acqua, 2 ciuffi di prezzemolo, 1 foglia d'alloro, 2 fette di pane senza sale, un cucchiaio di burro, 2 albumi d'uovo ben montati. Con la parte piatta del coltello schiacciate gli spicchi d'aglio e
fateli appassire (ma non colorire!) con l'olio in una casseruola larga. Aggiungete l'acqua, il prezzemolo pulito e la foglia di alloro. Portate a ebollizione, riducete la fiamma, coprite e fate sobbollire per 40 minuti. Nel frattempo, spalmate il burro sulle fette di pane, tagliatele in 4 parti e fatele tostare in forno a 200 gradi fino a quando saranno ben croccanti e leggermente colorite. Filtrate la zuppa bollente per eliminare aglio, prezzemolo e alloro. Incorporare delicatamente e gradualmente una tazza di zuppa agli albumi, mettete il composto nella casseruola, mescolare e servite immediatamente guarnendo ogni piatto con 2-3 fette di pane tostato. Per una versione hard-core, aggiugeteci fagioli in scatola a piacimento. Addio mondo crudele!

13/04/08

[Free music for punx]
FUCK GEEZ - 7" 45 rpm (Japan 1986)
[Puj] Scarse informazioni sui Fuck Geez, punk-rock giapponese a cavallo tra anni '80 e '90, periodo sfigato per la scena di tutto il mondo tranne che in terra nipponica, ove era un fiorire di musica marcia un po' ovunque. Il nostro culto per la band ebbe origine allorché Sarta tornò a casa con un loro vinile, acquistato in un negozio di dischi usati di Affori, tra capolavori di Nino D'angelo e Raul Casadei. Il fatto di averlo scovato in quel luogo insospettabile avvolse immediatamente il vinile di fascino e mistero. Come era potuto finire lì? Boh! Ad ogni modo, i Fuck Geez ci piacevano perché suonavano, con una certa originalità, kamikaze-rock con furore tutto giappo e gradazione alcoolica esorbitante.
Questo è uno dei loro primi sette pollici: risale al 1986 e fu stampato dalla MCR Company, indie-label di Kyoto, il cui proprietario è proprio Yumikes, voce dei Geez. Kenpai!
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05/04/08

[Free books for punx]
George McKay - Crass 621984 ANOK4U2 [da “Atti insensati di bellezza” (Sheke Ed. 2000)]
[Puj] Esasperanti, contraddittori, intolleranti... dei veri rompipalle! Già nel 1978 i Crass proclamavano: "Il punk é morto!", sputando su Clash e Sex Pistols: "...i nostri colleghi punk non erano altro che dei fantocci: a loro faceva piacere illudersi di derubare le grosse case discografiche, ma nella realtà era la gente a essere derubata. Non aiutavano altri se non se stessi, dando vita a un'altra moda facile". Ed avevano ragione: loro erano vecchi hippie da comune anarchica e di utopie estetizzanti, un po' all'acqua di rose, preconfezionate per gli adolescenti, ne avevano già vissute negli anni '60. Sulla fine del decennio successivo si erano fatti intransigenti, avevano davvero poca voglia di scherzare. A partire dall'aspetto: divisa scura di gusto para-militare. Sobrietà totale, idee chiare. Un mondo in bianco e nero, come le memorabili grafiche dei dischi, come il celeberrimo logo nazi-esoterico: così ambiguo, così potente. Malgrado le apparenze, i Crass si proclamavano pacifisti (anche se alla fine cambiarono un po' opinione sulla questione) e affermavano di “non aver scritto altro che canzoni d’amore”.
Per quanto antipatici ed asociali, i Crass finirono per essere considerati un'icona radical-chic, lanciarono uno stile, brevettarono un design di grande successo, ripreso da centinaia di bands (e non solo). Hanno messo in campo idee strepitose, come la loro "data di scadenza": quando si formarono decisero che si sarebbero sciolti nel 1984. E così fecero. Musicalmente, alternavano marcette punk un po' scassate a momenti di geniale sperimentazione apocalittica. Sono stati, accanto ai Discharge, i massimi teorici del punk-rock paranoico. Si mossero in differenti campi artistici e comunicativi, con unitarietà d'intenti, originalità e autonomia. Furono uno dei pochi gruppi ad incarnare autenticamente il significato del D.I.Y. e dell’autogestione del fatto musicale.
Infine, per noi hanno rappresentato una preziosa fonte di ispirazione, su tutti i fronti. Il perché emerge dal testo scaricabile qui sotto: si tratta del capitolo che George McKay ha dedicato al gruppo inglese nel saggio "Atti insensati di bellezza" (1996, edizione italiana: Shake 2000); ancora una delle migliori cose scritte a riguardo, un sunto ragionato del pensiero crasso.

28/03/08

[Free comics for punx]
Emily Hayes - The Green Man (Ed. Hammeraue, Berlin 2007)
[Puj] Amburgo. Mattina fosca di inizio gennaio, un freddo brutale mi assale, dal cielo scende cenere di ghiaccio come in un film sul dopo-bomba, tipo The Day After. Come se non bastasse spira un vento polare che violenta ogni centimetro quadrato della mia faccia rimasto scoperto!
Malgrado tutto, attraverso goffamente (a causa dei quattro strati di vestiti che ho addosso) Feldstrasse e imbocco Marktstrasse. L'ultima volta che ero qui faceva un caldo tropicale e sorseggiavo birra stravaccato su una sdraio! Speravo almeno di trovare la neve (prima di partire mi ero organizzato un guardaroba da sciatore amatoriale, con ridicoli scarponi ad impermeabilità totale), e invece solo del banale, asciuttissimo gelo artico!
Marktstrasse, nel quartiere di Karolinenviertel, è una strada molto suggestiva: raccoglie gallerie di artisti, infoshop, boutique artigianali di giovani stilisti punk, negozi di dischi crust come Fischkopp (il gestore è simpatico e parla una sorta d'italiano di sua invenzione), caffé informali, boutique dark ed altre amenità...
Allorché la situazione climatica si fa inaccettabile, mi infilo in un art-shop pieno di robe colorate, tutte d.i.y. e, con i neuroni surgelati, comincio a frugare qua e là. Dopo un quarto d'ora ne esco con il fumetto di un'artisa berlinese intitolato "The Green man": la storia di un uomo al quale, in presenza di conversazioni indigeste, cresce un albero in bocca. Uh, fantastico.

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[Free music for punx]
GREEN DAY - 1.000 hours (7" - U.s.a. 1989)
[Puj] Oh, come eravamo giovani e felici nei giorni verdi! Giorni spensierati in cui la musica si fermava a tre accordi. Nei giorni verdi gli unici punk che conoscevamo erano i Ramones e la radio annunciava la nascita di un nuovo, strabiliante genere musicale: il grunge. Per le strade si aggiravano adolescenti depressi e tutti spettinati, con maglioni da nonno infeltriti e i walkman a cassette fissati alla cintura. Dopo anni di lacca nei capelli e riffoni glam, le canzoni ripresero ad arrancare tra chitarre catarrose e bassi slabbrati. Ah, i giorni verdi!
Scavando tra i miei vinili, ho riesumato per sbaglio un reperto archeologico di quell'epoca: l'esordio in 45 giri di un gruppo garage-rock misconosciuto, n. 17 del catalogo di un'allora promettente indie label californiana. Registrato nell'anno peggiore del punk (1988) e suonato da tre adolescenti privi di talento. Allora, più grunge che punk. E moooolto poco cool!

Tracklist:
1. 1.000 hours [2:24]
2. Dry ice [3:43]
3. Only of you [2:44]
4. The one I want [2:59]

>>> Download Green Day's first e.p. "1.000 hours" in mp3 + artwork (.rar - 27 mb.)

26/03/08

[Kalashnikov collective presents...]
SUMO (post-punk - Bologna, Italia)
[Sarta] [Dopo quella ai Le Tormenta di Forlì, pubblichiamo un'altra intervista, questa volta ai grandi Sumo di Bologna].
I Sumo! L’incontro con la loro musica è avvenuto per me molto tardi rispetto alla vita quasi decennale della bènd ma questo non lo ha reso meno importante. Ho scambiato quattro chiacchiere con Fabrizio, voce dei Sumo, durante un loro concerto al Csoa Vittoria di Milano questo inverno e si è dimostrato una persona affabile e decisamente “spessa”: da qui l’idea di amplificarne la voce facendogli questa intervista e cercare di “problematizzare” su alcuni temi che tanto sono cari al giro punk/hardcore… si parte!

F: Prima di rispondere alle tue domande sono contento della impressione che ti ho dato, ma sicuramente non aspettarti troppo da questa chiacchierata… sai spesso succede che le troppe aspettative portino poi a belle delusioni. E’ come aspettarsi troppo da un gruppo e poi lo vedi dal vivo e ti accorgi che fanno schifo.

S: Mitico. Partiamo con una domanda sui Sumo: anche voi, come me, appartenete ad una generazione che ha vissuto la sua adolescenza negli anni ‘90 e che si ritrova oggi con tre decadi sulle spalle: il fatto che continuiate a suonare significa che, per voi, la vita della bènd non è solo legata a concetti di divertimento ed evasione, termini che sempre più spesso sento circolare all’interno del giro punk/harcore, ma immagino sia molto di più…

F: Devo dire che suonare con i Sumo ha determinato la nascita di 4 bellissime amicizie, alcune delle quali le reputo tra le più importanti della mia vita. Credo che non sia una cosa da sottovalutare adesso come adesso.
Suonare è sicuramente divertimento, ma non nel senso di creazione industriale del divertimento, cioè non è un “intrattenimento” della mia quotidianità voluto da altri e confezionato da altri, anzi è una attività autonoma. Credo una buona dose di divertimento sia importante anche facendo attività “serie”. Credo molto nel “fine”, ma credo che sia ugualmente importante il mezzo con cui si fanno le cose, e farle con il sorriso o comunque divertendosi ha una grossa importanza. Divertirsi non è un “peccato”, anzi è sicuramente un incentivo in più.
Per me poi il punk è creatività, spirito di comunità, socialità, idee, indipendenza, ecc…

S: L’autoproduzione è una parola che va molto di moda oggi: molti gruppi si identificano con questo termine. La verità, però, è che quasi tutti si limitano ad avere una visione circoscritta dell’autoproduzione, pensando che basti prodursi i dischi da soli in casa, cosa che invece è una semplice necessità! E’ molto raro, invece, trovare traccia di riflessioni sul rapporto tra la pratica autoproduttiva e i contenuti espressi dalla bènd attraverso musica, testi e immaginario, quasi queste due cose non avessero alcun legame. Che ne pensi?

F: Si parla tanto di autoproduzione forse perché nelle nostre vite le autoproduzioni stanno via via scomparendo. Auto produciamo più cose noi punk oppure un vecchietto che fa l’orto?
Le autoproduzioni musicali, storicamente sono sicuramente nate da “necessità” e sono diventate per qualcuno scelte politiche, mentre molti le usano solo come necessità di un primo passo, per poi, quando e se ne hanno l’opportunità, passare ad altro. In tutti i casi è una necessità che sta alla base di tutto, anche se poi le necessità risultano essere parecchio differenti.
Ultimamente è sempre più facile autoprodursi i dischi… non so quanto questo sia positivo. Siamo sommersi da tantissimi dischi e questa iperproduzione ci fa perdere l’orientamento e l’importanza del gesto, trasformando il tutto in un semplice prodotto, pure auto, ma sempre un prodotto. Non voglio fare un discorso elitario, voglio solo dire che la iperproduzione determina un impoverimento, invece di un arricchimento. Non mi piace che un gruppo dopo tre prove e magari due concerti o per giunta nessuno, abbia già fuori un demo o un disco. Preferisco che un gruppo suoni e suoni parecchio prima di registrare.
E’ vero che c’è poca riflessione sul concetto di autoproduzione e questo è anche colpa nostra. Quando mi sono avvicinato al punk trovavo molte persone che parlavano, scrivevano e praticavano. Nonostante tutto il seme c’è, è sotto la neve, ma c’è. Di esempi ne esistono parecchi e credo che l’esempio sia molto più educativo di tante parole.

S: Una delle canzoni che mi sono rimaste più impresse del vostro nuovo disco “Surrogati”, che peraltro ha un bellissimo artwork (chi è l’artista?), è “Una parte”, che nel ritornello recita “Io non pretendo di fare nulla di nuovo”. Sono curioso: mi puoi chiarire il significato della canzone?

F: La copertina è stata disegnata da Andrea Bruno, attualmente nostro concittadino, ma originario di Catania. Andrea è un bravissimo illustratore che fa parte del gruppo e rivista “Canicola”.
Nella canzone che tu citi, mi riferisco al fatto che quello che faccio in una determinata situazione mi rappresenta parzialmente e che nella vita posso essere sicuramente meglio ma anche molto peggio e soprattutto diverso. Io credo che tutti noi siamo plurali e complessi.
Quando dico “io non pretendo di fare nulla di nuovo” poi mi riferisco al fatto che in quello che faccio non ho la pretesa di creare nulla di nuovo, ma “solo” qualcosa di personale, che magari farà pure schifo, ma però è sicuramente mio.

S: In Italia la pratica dello squatting sta vivendo un momento di forte repressione: l’amministrazione cittadina di Milano, per esempio, sta chiudendo sistematicamente quasi tutti i centri sociali che portano avanti un discorso politico e non di mero intrattenimento, come se questi fossero il principale problema di questa città abulica e cannibale. A Bologna, il “vostro” Cofferati, mi dicevi l’altro giorno, sta portando avanti una politica che, forte del concetto di “legalità”, cela intenzioni in qualche modo analoghe? Oppure, vista la differente situazione sociale, ha degli aspetti diversi?

F: Ritengo che anche se con modi e parole diverse la situazione sia la medesima. Sai non credo ci sia molto di diverso tra il modello emiliano e quello lombardo attuale. Tutti e due parlano di sviluppo, progresso, libero commercio, legalità, ecc… Io credo comunque che alla base di tutto ci sia la tendenza alla “normalizzazione”, ad un concetto di vita in cui alla mattina ti svegli, vai a lavorare in modo salariato, torni a casa e poi vai a letto per poi ricominciare il giorno dopo. Nei giorni liberi però dobbiamo divertirci, magari anche spaccandoci, ma solamente in posti dotati di autorizzazione a farlo. Non può più esistere una socialità altra e diversa, che non sia legata a logiche commerciali.
Le occupazioni sono sicuramente in crisi e credo che fra qualche anno non saranno neppure più tollerate, come succede negli Stati Uniti. In questa situazione non dobbiamo abbatterci, ma dobbiamo rimboccarci le maniche ed inventarci il quotidiano. Dobbiamo trovare altre forme, modi, spazi per continuare a incontrarci, esprimerci, dialogare ecc… sperimentare dunque, cercare e creare alternative percorribili camminando sul margine.
In un momento difficile come questo, a parere mio, è più importante mantenere gli spazi, anche attraverso compromessi con le istituzioni, piuttosto che fare il muro contro muro. Questo permette di continuare a creare e non totalizzarsi nel muro contro muro. Questo si contraddice sicuramente con quanto detto fino ad adesso e rientra sicuramente in quella normalizzazione che ho indicato sopra. Sai, la pratica e la critica sono due cose che difficilmente vanno d’accordo, ma preferisco comunque che rimanga spazio di movimento piuttosto che il deserto.

S: Parliamo di musica! Raccontateci come partorite una canzone dei Sumo e cosa desiderereste dal un vostro miglior disco…

F: Solitamente Davide, a volte io oppure Paolo portiamo un giro o due di chitarra o basso e poi partiamo tutti insieme a suonarci e cantarci sopra. Dal magma primordiale nasce poi il pezzo.
Per un disco ci piacerebbe che suonasse il più possibile vicino a come suoniamo in quel momento, che catturasse gli attimi migliori. Il disco in quanto “registrazione” rappresenta un momento e spesso le canzoni mutano leggermente dopo la registrazione.

S: Il vostro modo di suonare è diverso da quello dei comuni gruppi punk/hardcore: il vostro chitarrista ha un grande stile retrò nell’armeggiare con quel chitarrazzo vintage, avete due bassisti e tra i due ce n’è uno che tortura le sue corde con una brutalità disumana (mi fa quasi paura). Insomma, per farla corta, ognuno di voi mi sembra che abbia maturato un suo stile personale e ciò è bene, eh, eh…che rapporto c’è per te tra la musica che si compone e il proprio “stile” nell’approcciarsi allo strumento?

F: Sono contento che tu dica che il nostro “modo di suonare è diverso da quello dei comuni gruppi punk/hardcore” e che ognuno ha maturato un proprio stile. Per me è importante.
La creazione di una canzone è come un incontro, uno spazio in cui le nostre identità (i nostri stili) si confrontano, uno spazio in cui ci si può capire, ma anche perdere. Può anche essere uno spazio del malinteso.
Io amo il meticcio, il bastardo, l’impuro.

S: Raccontateci di qualche progetto futuro: i Sumo tra 2-3 anni quali mirabolanti imprese avranno compiuto?

F: Spero che il divertimento, l’entusiasmo e la voglia che abbiamo adesso si mantenga. Questo è veramente un buon periodo per noi. Abbiamo una bella sintonia e la bella sintonia si riflette sulle armonie che stiamo creando. Good vibration!!!

S: Prima accennavi al fatto che iperproduzione è sinonimo di livellamento verso il basso della qualità. Cacchio, è vero! Le tecnologie oggi hanno reso relativamente semplice il “produrre” musica: internet, poi, la rende immediatamente accessibile. Conseguenza: abbiamo a disposizione una quantità illimitata di musica, ma questo stesso fatto ne modifica il nostro modo di fruirne, che diventa più veloce e meno meditato...non ti piace un pezzo? Via, salta subito a quello dopo! Questo porta spesso i gruppi a privilegiare l’immediatezza e l’impatto, a scapito della complessità e della ricercatezza. Questo scenario, dal punto di vista del songwriting, influisce su di voi? O, per lo meno, è giusto che influisca oppure no?

F: Guarda… mi ricordo che quando ho iniziato ad ascoltare musica, passavo tanto tempo su un disco. Ascoltavo e riascoltavo la stessa cassetta… la giravo e la rigiravo, poi tornavo indietro e riascoltavo dei pezzi. Questi mi potevano piacere o no, ma comunque li vivevo, non li consumavo solamente. Quando un amico mi faceva una nuova cassetta era un evento, quando tornavo a casa dal negozio con un cd o un disco era un evento e correvo subito ad ascoltarlo e a doppiarlo per gli amici, in modo tale che anche loro potessero ascoltarlo e quindi condividerne emozioni… e poi quante conversazioni. Adesso tutto più facile e veloce. Scaricatelo, dicono. Manca l’emozione della ricerca, manca la fatica. Aspettare il postino ogni mattina sperando che ti porti il pacco con i dischi era bello e allo stesso tempo estenuante.
Con questo non voglio dire “che bello ai miei tempi” mentre “adesso è tutto una merda”. No. La rete ha grandi potenzialità, ma anche grandi buchi neri dove possiamo cadere. Mi piace rimarcare e ribadire il rischio (l’effetto simbolico) che può creare una tecnica sul modo di ascoltare, percepire, ecc… la musica non può diventare una qualsiasi cosa da usare e gettare, sempre più velocemente, no! Questi strumenti ci plasmano nell’intimo.
La rete la uso con parsimonia, ma la uso. Preferisco ancora andare in negozio e parlare con il proprietario e poi magari uscire con un disco, invece di scaricarmene 20 nello stesso tempo.
Preferisco scartabellare ancora nelle distro, anche se conosco sempre meno gruppi e devo dire che sono pochi quelli che mi colpiscono.
Preferisco ancora avere l’oggetto tra le mani; guardarlo, toccarlo, odorarlo… sono ancora legato all’oggetto e lo carico di un valore quasi feticistico.
Tornado alla tua domanda “se ci influenza” direi non troppo o quasi per nulla. Il nostro modo di fare i pezzi cambia sicuramente con noi, ma non credo che la “velocità odierna” abbia una grande influsso sul nostro modo fare i pezzi. I sumo sono lenti.

S: Domandone finale: avete la possibilità di andare in tour dove vi pare. Che paese scegliete?

F: Io direi in posti dove la gente è ricettiva, dove si può parlare prima e dopo il concerto con persone che non conosci.

S: Grazie e ciao!

F: Grazie a te.
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SUMO - Surrogati (D.I.Y 2007)
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