[We talk about...]
US!
Il collettivo Kalashnikov intervistato su:
MorireContro - Spazio anarchico per la contro-informazione.
Kalashnikov collective's interview on:
MorireContro - Anarco-blog.
(Grazie Adri! Thanx Adri!)
>>> Leggi l'intervista!
30/12/07
28/12/07
[Free 'zines for punx]
SKORRIU
[Sarta] Sotto questa parola, incomprensibile ai più, si nasconde l’ottima fanzine di Bruno dei Fora de Arrastu, band sarda dall’apprezzabile attitudine DIY. In lingua autoctona "Skorriu" significa "strappo", "lacerazione" ed esprime bene i contenuti della 'zine: in ogni numero troverete articoli di vari autori su temi gravitanti attorno al punk più politicizzato e all’antagonismo giovanile. Il primo, risalente ad ottobre e che trovate qui sotto interamente scaricabile, ha come argomento l’autoproduzione considerata, finalmente, in un senso ampio e sfaccettato rispetto a quello comunemente inteso: non solo farsi i dischi in casa, ma essere dei rivoluzionari! Da segnalare, a parer mio, oltre al già noto “Autoproduzione come Arte Straordinaria” del nostro Peppus, un’eccellente intervista ai Crass datata 1983 e un interessante saggio sul tema della coerenza di autore ignoto. Il buon Bruno è disponibile ad accettare scritti, consigli e quant’altro vi passi per la testa, per cui piantatela di giocare coi vostri stupidi regali di natale e contattatelo all’indirizzo che trovate in fondo all’articolo di apertura della ‘zine. Supporto alle buone iniziative!
>>> Download "Skorriu" (.rar - 15 mb)
SKORRIU
[Sarta] Sotto questa parola, incomprensibile ai più, si nasconde l’ottima fanzine di Bruno dei Fora de Arrastu, band sarda dall’apprezzabile attitudine DIY. In lingua autoctona "Skorriu" significa "strappo", "lacerazione" ed esprime bene i contenuti della 'zine: in ogni numero troverete articoli di vari autori su temi gravitanti attorno al punk più politicizzato e all’antagonismo giovanile. Il primo, risalente ad ottobre e che trovate qui sotto interamente scaricabile, ha come argomento l’autoproduzione considerata, finalmente, in un senso ampio e sfaccettato rispetto a quello comunemente inteso: non solo farsi i dischi in casa, ma essere dei rivoluzionari! Da segnalare, a parer mio, oltre al già noto “Autoproduzione come Arte Straordinaria” del nostro Peppus, un’eccellente intervista ai Crass datata 1983 e un interessante saggio sul tema della coerenza di autore ignoto. Il buon Bruno è disponibile ad accettare scritti, consigli e quant’altro vi passi per la testa, per cui piantatela di giocare coi vostri stupidi regali di natale e contattatelo all’indirizzo che trovate in fondo all’articolo di apertura della ‘zine. Supporto alle buone iniziative!
>>> Download "Skorriu" (.rar - 15 mb)
15/12/07
[Free books for punx]
Manuela Puvia – CONSUMATE IL FUTURO! Uomo e tecnica attraverso lo sguardo di Ballard (Collane di Ruggine 2007)
[Puj] Un libretto interessante per due motivi: 1) per i suoi contenuti - naturalmente! - e poi perché co-prodotto secondo le tradizionali modalità operative dell’ambiente punk/h.c. do it yourself. Leggiamo dal retrocopertina: “Perché pubblicare un libro di critica su J.G. Ballard? Perché proprio lui? E’ un autore blasonato, probabilmente anche ricco, che non ha certo bisogno di noi. In più, noi non siamo una casa editrice né ci interessa diventarlo. Siamo uno strano mix che unisce frattaglie del collettivo Autistici/Inventati e abituali autoproduttori sparsi per l’Italia. L’opera di Ballard per noi è la scusa per parlare del rapporto tra uomo e tecnologia, un tema che nel nostro presente di post-rivoluzione informatica, nel fiorente sviluppo di biogenetica e biomeccanica, non è questione da poco. Si tratta di un testo ricavato da una tesi di laurea, che inquadra Ballard in una dimensione antropologica. Confronta le suggestioni e l’immaginario del suo mondo con quanto l’uomo moderno (o post-moderno, o quello che preferite) prova quando si rivolge alla tecnologia, quando scopre la sua identità mutata e si ritrova ad interrogarsi sul futuro. Il sapere tecnico non sembra essere reversibile (dai videogiochi alla bomba atomica). Non c’è ritorno da Nagasaki. Con la tecnologia è necessario confrontarsi/scontrarsi in maniera critica, non convenzionale. Questo libro e quelli che seguiranno vorrebbero contribuire un poco a nutrire questo tipo di riflessioni, ad accrescere, per primo in chi li scrive e pubblica, la propria capacità di interpretare il reale e di sopravvivergli”.
[La tecnologia. Come la definisce John Zerzan: “l'abilità di organizzare il mondo in modo da non aver bisogno di sperimentarlo”. Oltre al discorso sulla tecnologia, dal testo di Manuela emergono numerosi altri spunti presenti nella fantascienza anti-utopica di Ballard: ovvero la riflessione sui moderni spazi urbani, sul concetto di non-luogo, sui deliri urbanistici ed architettonici nelle aree metropolitane, sulle strategie silenti del controllo sociale, sull’ossessione al consumo e l’identificazione dell’individuo con i prodotti-feticcio. Alla fine, l’autrice apre orizzonti di rivalsa rispetto a questo mondo sclerotizzato e spaventoso: “L’unica risposta alla deterritorializzazione diventa (…) l’invenzione di una mappa che non corrisponda al territorio”. Bellissima e potentissima immagine che suggerisce il primo passo di una rivoluzione “possibile”: riscrivere la geografia dell’esistente secondo criteri del tutto nuovi e non legati né alla contiguità territoriale, né all’identità (etnica, politica, professionale, sessuale, religiosa…), né alle logiche del Sistema del profitto. Ecco l’idea di cyberspazio, di rete, di intelligenza collettiva: “Il cyberspazio si basa su uno schema comunicativo diverso rispetto, per esempio, alla televisione, dove la fruizione da parte dello spettatore è passiva. Mentre la televisione funziona su un dispositivo uno/tutti, la rete si basa su uno schema tutti/uno, poiché essa può esistere solo in virtù delle persone e dei collettivi che comunicano attivamente al suo interno, elaborando informazioni il cui senso viene costantemente negoziato e non dato una volta per tutte”. La salvezza sta nella fantasia dei cartografi dissidenti che compilano le mappe del Mondo Nuovo (carte geografiche non sovrapponibili a quelle che si comprano all’autogrill!), mappe che riorganizzano distanze e criteri di rapporto tra i punti, tra i “nodi della rete”. Da Ballard ad Hakim Bey il passo è breve. Per concludere: qui sotto c’è il link che vi spedisce dritti al sito di Collane di Ruggine, per scaricare “Consumate il futuro!” in formato .pdf e contattare il collettivo dietro a questa felice iniziativa anti-editoriale…]
>>> Download “Consumate il futuro!” book (.pdf – from Collane di Ruggine web site – ITA)
Manuela Puvia – CONSUMATE IL FUTURO! Uomo e tecnica attraverso lo sguardo di Ballard (Collane di Ruggine 2007)
[Puj] Un libretto interessante per due motivi: 1) per i suoi contenuti - naturalmente! - e poi perché co-prodotto secondo le tradizionali modalità operative dell’ambiente punk/h.c. do it yourself. Leggiamo dal retrocopertina: “Perché pubblicare un libro di critica su J.G. Ballard? Perché proprio lui? E’ un autore blasonato, probabilmente anche ricco, che non ha certo bisogno di noi. In più, noi non siamo una casa editrice né ci interessa diventarlo. Siamo uno strano mix che unisce frattaglie del collettivo Autistici/Inventati e abituali autoproduttori sparsi per l’Italia. L’opera di Ballard per noi è la scusa per parlare del rapporto tra uomo e tecnologia, un tema che nel nostro presente di post-rivoluzione informatica, nel fiorente sviluppo di biogenetica e biomeccanica, non è questione da poco. Si tratta di un testo ricavato da una tesi di laurea, che inquadra Ballard in una dimensione antropologica. Confronta le suggestioni e l’immaginario del suo mondo con quanto l’uomo moderno (o post-moderno, o quello che preferite) prova quando si rivolge alla tecnologia, quando scopre la sua identità mutata e si ritrova ad interrogarsi sul futuro. Il sapere tecnico non sembra essere reversibile (dai videogiochi alla bomba atomica). Non c’è ritorno da Nagasaki. Con la tecnologia è necessario confrontarsi/scontrarsi in maniera critica, non convenzionale. Questo libro e quelli che seguiranno vorrebbero contribuire un poco a nutrire questo tipo di riflessioni, ad accrescere, per primo in chi li scrive e pubblica, la propria capacità di interpretare il reale e di sopravvivergli”.
[La tecnologia. Come la definisce John Zerzan: “l'abilità di organizzare il mondo in modo da non aver bisogno di sperimentarlo”. Oltre al discorso sulla tecnologia, dal testo di Manuela emergono numerosi altri spunti presenti nella fantascienza anti-utopica di Ballard: ovvero la riflessione sui moderni spazi urbani, sul concetto di non-luogo, sui deliri urbanistici ed architettonici nelle aree metropolitane, sulle strategie silenti del controllo sociale, sull’ossessione al consumo e l’identificazione dell’individuo con i prodotti-feticcio. Alla fine, l’autrice apre orizzonti di rivalsa rispetto a questo mondo sclerotizzato e spaventoso: “L’unica risposta alla deterritorializzazione diventa (…) l’invenzione di una mappa che non corrisponda al territorio”. Bellissima e potentissima immagine che suggerisce il primo passo di una rivoluzione “possibile”: riscrivere la geografia dell’esistente secondo criteri del tutto nuovi e non legati né alla contiguità territoriale, né all’identità (etnica, politica, professionale, sessuale, religiosa…), né alle logiche del Sistema del profitto. Ecco l’idea di cyberspazio, di rete, di intelligenza collettiva: “Il cyberspazio si basa su uno schema comunicativo diverso rispetto, per esempio, alla televisione, dove la fruizione da parte dello spettatore è passiva. Mentre la televisione funziona su un dispositivo uno/tutti, la rete si basa su uno schema tutti/uno, poiché essa può esistere solo in virtù delle persone e dei collettivi che comunicano attivamente al suo interno, elaborando informazioni il cui senso viene costantemente negoziato e non dato una volta per tutte”. La salvezza sta nella fantasia dei cartografi dissidenti che compilano le mappe del Mondo Nuovo (carte geografiche non sovrapponibili a quelle che si comprano all’autogrill!), mappe che riorganizzano distanze e criteri di rapporto tra i punti, tra i “nodi della rete”. Da Ballard ad Hakim Bey il passo è breve. Per concludere: qui sotto c’è il link che vi spedisce dritti al sito di Collane di Ruggine, per scaricare “Consumate il futuro!” in formato .pdf e contattare il collettivo dietro a questa felice iniziativa anti-editoriale…]
10/12/07
[We talk about…]
A MORT L’ARTISTE!
[Puj] [In occasione della designazione di Lille (Francia), quale capitale della cultura europea per l'anno 2004, un collettivo della città diffuse questo pamphlet critico con l'intento di demolire la figura dell'artista nella sua accezione moderna, della quale l'anonimo autore ripercorre con intento demistificatorio la genesi. L'artista appare come una delle tante figure feticcio della cultura borghese e capitalistica. L'analisi dell'autore propone temi critici importanti: l'interdipendenza tra l'arte e il mercato, il ruolo pacificato dell'artista nell'odierna società dei consumi e la natura superomistica della sua rappresentazione. Il testo originale era pubblicato su un flyer che ho raccolto da un infoshop a Grenoble, durante un tour dei Kalashnikov; tradotto e adattato in italiano per il n. 1 della fanzine “Il Sogno di Ulrike”. Yu-uh].
...A MORTE L’ARTISTA!
Lo scopo di questo testo è di annunciare la prossima morte di una delle figure simbolo di questo vecchio mondo capitalistico: l'artista.
Nei sette secoli di operosità umana che sono appena trascorsi ciò che è stata definita storia dell'arte è stata essenzialmente la storia dell'artista. Il senso dell'arte si è confuso e stravolto nell'illusione capitalistica di un mondo immutabile e senza fine, non trovando più significato né interesse se non come riflesso dello spirito dell'artista. Esso è un mito della modernità: personaggio unico e isolato dal resto del mondo, specializzato e votato anima e corpo alla sua arte, si crede immortale. Le rivoluzioni e le innovazioni estetiche di questi ultimi secoli non hanno fatto altro che consolidare il mito dell'artista. Questo mito risiede nell'idea di vocazione che fa di quest'ultimo un essere spirituale idealizzato, collocato nel mondo capitalistico, nel regno della merce e dell'accumulazione illimitata. La vocazione, nel suo significato mondano, determina un rapporto di sottomissione al mondo: una volta riconosciuta, essa condanna l'artista ad essere tale.
La trasformazione dell'artigiano in artista, avviene quando il lavoro artistico diventa progressivamente un dovere di adempimento e uno scopo in sé. Di conseguenza potremo dire senza timore, che l'artista è allo stesso tempo prodotto e agente del mondo capitalistico e liberista. Di sicuro, un suo falso nemico.
Dal XV secolo dal culto dell'arte si cade rapidamente verso il culto dell'artista, da cui segue, nello stesso tempo, il trionfo e la dissoluzione ineluttabile di questa figura moderna, allorché l'artista finirà per credersi egli stesso opera d'arte. Egli, allo stato terminale, si riconosce in questa sola idea e, condannato a vivere nella propria rappresentazione, l'artista basta ormai a se stesso: è se stesso che lo scopo per persegue senza fine, malgrado tutte le apparenze che mette in campo. Lavorando per la conservazione di se stesso partecipa, che lo voglia o no, alla conservazione dello stato di cose esistente.
L'artista non è degno di fiducia, è l'immagine della società consumistica, è un'impostura. La costruzione di questo personaggio pretenzioso, narcisista, ridicolo e, a volte, talentuoso che è l'artista è relativamente recente. Si può senza troppo sbagliare, farla cominciare in Europa alla fine dell'epoca feudale. Attorno al XIII-XIV secolo una categoria d'artigiani, principalmente pittori miniatori, scultori e architetti tende a volersi smarcare e separare dalle altre corporazioni di artigiani, considerando che la loro attività manuale meritasse un'attenzione particolare, superiore. Essi si sono appena arricchiti e si sono fatti un nome. E' nel rinascimento che i potenti accordava a qualcuno di questi artigiani dell'immagine un posto d'eccezione. Questi si vedono conseguentemente invitati al tavolo dei grandi, prendendo gusto per il lusso e si staccano progressivamente dal popolo. La loro ambizione si aumenta allorché il loro prestigio cresce. Così si inizia a parlare dell'individualità artistica. Aspirando a ritagliarsi un posto nella arti liberali, alcuni di questi abili tecnici prendono a definirsi "uomini di pensiero" separandosi dalle preoccupazioni e dagli interessi del mondo basso. Quelli che allora si credono toccati dal genio artistico prendono a considerarsi figure semi-divine: ecco cominciare la vita d'artista.
In europa, fino alla fine del medioevo, gli artigiani più dotati erano impiegati tradizionalmente dalle autorità religiose e politiche. Dal XIV secolo, l'alta borghesia dei ricchi mercanti e banchieri, sempre più influente, per rafforzare la propria immagine in rivalità con i principi, di punto in bianco s'innamora della pittura, determinando così la fioritura di questa forma d'arte, fino ad allora poco apprezzata. La figura dell'artista deve sicuramente molto alla Chiesa Cattolica, dal Rinascimento alla Controriforma. Ed è inoltre debitrice dello Stato monarchico per il prestigioso riconoscimento sociale, con l'istituzione delle Accademie, simboli dell'élitarismo intellettuale. Tuttavia, l'artista nella sua accezione moderna è soprattutto stato plasmato dalla borghesia, suo principale mecenate e cliente.
Che lo voglia o no, l'artista incarna infatti una forma tutta particolare dell’individualismo liberale e borghese. E' nel XIX secolo che tale individualismo raggiunge il suo culmine allorché s'impone l'idea dell'autonomia della dimensione artistica, con il risultato che l'arte diviene un’attività specializzata che perde poco a poco legame con la realtà circostante. L'artista s'illude di essere un individuo libero perché creativo. Ma il nome dell'artista si trasforma in realtà in uno dei tanti "marchi" che popolano il mercato dei consumi.
L'artista, in virtù della sua posizione sociale, è incapace di rimettere in questione il mondo che lo ha prodotto e legittimato: senza il plauso del mondo borghese che ne finanzia l'attività e ne mantiene vivo l'alone di eccezionalità attraverso il battage mediatico, l'artista non può vivere. E' una creature infelice ed ipocrita che deve assecondare lo stato di cose esistente per poter tutelare la propria (presunta) libertà. Può di quando in quando colpire e scandalizzare il borghese, ma entro certi limiti invalicabili, e lo fa in quanto è la stessa società che gli riconosce il diritto e il dovere di essere trasgressivo. In tal senso, l'artista resta il migliore agente della neutralizzazione della critica e del suo riciclaggio estetico.
Il caso del Situazionismo è sintomatico: uno dei limiti di questa “avanguardia” fu di essere rimasta prigioniera del mito dell’artista. Non è tanto il “superamento dell’arte” (concetto comunque rimasto confuso e per questo mai concretizzatosi), ma il superamento dell’artista che bisogna cercare. I componenti dell’Internazionale Sitiuazionista, e Debord in particolare, non hanno mai voluto o saputo rompere con questa mitologia dell’artista. E’ ciò spiega perché oggi molti pensano che l’Internazionale situazionista sia sostanzialmente il nome di un movimento artistico. Si pensi al fatto che il Situazionismo ha avuto influenza tanto negli ambienti di sinistra quanto in quelli del marketing e del cretinismo mondano. E si ricorda, di questo gruppo sovversivo, soltanto il suo stile.
Nella nostra epoca l'artista è diventato un modello di lavoratore e uno stimato cittadino nel momento in cui è riuscito a favorire nuove forme di gestione del capitale, e questo riconoscimento non ha fatto che rafforzare il suo sentimento di superiorità rispetto al popolo, partecipando alla legittimazione del sistema gerarchico e moderno di dominio. E per questo senso di superiorità pretende di essere diverso da tutti gli altri lavoratori: egli infatti produce "oggetti d'arte", frutto di "creatività" e "genio". Ma se l'opera dell'artista finisce poi nel mercato, alla stregua di tutti gli oggetti che la gente compra e consuma, che differenza c'è?
Dirsi artista oggi è un modo alla moda per dichiararsi falsamente libero e migliore degli altri, estraneo alla realtà condivisa dalla massa e contemporaneamente accettare il mondo dei consumi dal quale desidera ardentemente di essere riconosciuto. Oggi la cultura e l'arte sono divenute strumentali alla vendita, alla crescita economico-capitalistica, agli interessi dei ricchi e dei potenti. L'artista è ridotto a un pubblicitario: lo spettacolo megalomane di Lille 2004 ne è oggi una brillante dimostrazione: la cultura si rivela essere un mezzo molto proficuo per vendere una città. Si potrebbe dire che l'artista è un venduto, se quest'insulto non fosse pleonastico.
[Qui sotto il testo scaricabile in formato .pdf con abbinati due vecchi flyer: uno nostro, originariamente accluso all’album “Music is a gun loaded with future” (2005) e l’altro a firma di Vanni dei Franti e più datato (1987); ulteriori riflessioni sulla figura dell’artista e sulla possibilità che si offre a quest’ultimo di liberarsi dalle pastoie dell’odierno, limitato, orizzonte culturale].
>>> Download “A mort l’artiste!” in formato .pdf + bonus (2,80 mb.)
A MORT L’ARTISTE!
[Puj] [In occasione della designazione di Lille (Francia), quale capitale della cultura europea per l'anno 2004, un collettivo della città diffuse questo pamphlet critico con l'intento di demolire la figura dell'artista nella sua accezione moderna, della quale l'anonimo autore ripercorre con intento demistificatorio la genesi. L'artista appare come una delle tante figure feticcio della cultura borghese e capitalistica. L'analisi dell'autore propone temi critici importanti: l'interdipendenza tra l'arte e il mercato, il ruolo pacificato dell'artista nell'odierna società dei consumi e la natura superomistica della sua rappresentazione. Il testo originale era pubblicato su un flyer che ho raccolto da un infoshop a Grenoble, durante un tour dei Kalashnikov; tradotto e adattato in italiano per il n. 1 della fanzine “Il Sogno di Ulrike”. Yu-uh].
...A MORTE L’ARTISTA!
Lo scopo di questo testo è di annunciare la prossima morte di una delle figure simbolo di questo vecchio mondo capitalistico: l'artista.
Nei sette secoli di operosità umana che sono appena trascorsi ciò che è stata definita storia dell'arte è stata essenzialmente la storia dell'artista. Il senso dell'arte si è confuso e stravolto nell'illusione capitalistica di un mondo immutabile e senza fine, non trovando più significato né interesse se non come riflesso dello spirito dell'artista. Esso è un mito della modernità: personaggio unico e isolato dal resto del mondo, specializzato e votato anima e corpo alla sua arte, si crede immortale. Le rivoluzioni e le innovazioni estetiche di questi ultimi secoli non hanno fatto altro che consolidare il mito dell'artista. Questo mito risiede nell'idea di vocazione che fa di quest'ultimo un essere spirituale idealizzato, collocato nel mondo capitalistico, nel regno della merce e dell'accumulazione illimitata. La vocazione, nel suo significato mondano, determina un rapporto di sottomissione al mondo: una volta riconosciuta, essa condanna l'artista ad essere tale.
La trasformazione dell'artigiano in artista, avviene quando il lavoro artistico diventa progressivamente un dovere di adempimento e uno scopo in sé. Di conseguenza potremo dire senza timore, che l'artista è allo stesso tempo prodotto e agente del mondo capitalistico e liberista. Di sicuro, un suo falso nemico.
Dal XV secolo dal culto dell'arte si cade rapidamente verso il culto dell'artista, da cui segue, nello stesso tempo, il trionfo e la dissoluzione ineluttabile di questa figura moderna, allorché l'artista finirà per credersi egli stesso opera d'arte. Egli, allo stato terminale, si riconosce in questa sola idea e, condannato a vivere nella propria rappresentazione, l'artista basta ormai a se stesso: è se stesso che lo scopo per persegue senza fine, malgrado tutte le apparenze che mette in campo. Lavorando per la conservazione di se stesso partecipa, che lo voglia o no, alla conservazione dello stato di cose esistente.
L'artista non è degno di fiducia, è l'immagine della società consumistica, è un'impostura. La costruzione di questo personaggio pretenzioso, narcisista, ridicolo e, a volte, talentuoso che è l'artista è relativamente recente. Si può senza troppo sbagliare, farla cominciare in Europa alla fine dell'epoca feudale. Attorno al XIII-XIV secolo una categoria d'artigiani, principalmente pittori miniatori, scultori e architetti tende a volersi smarcare e separare dalle altre corporazioni di artigiani, considerando che la loro attività manuale meritasse un'attenzione particolare, superiore. Essi si sono appena arricchiti e si sono fatti un nome. E' nel rinascimento che i potenti accordava a qualcuno di questi artigiani dell'immagine un posto d'eccezione. Questi si vedono conseguentemente invitati al tavolo dei grandi, prendendo gusto per il lusso e si staccano progressivamente dal popolo. La loro ambizione si aumenta allorché il loro prestigio cresce. Così si inizia a parlare dell'individualità artistica. Aspirando a ritagliarsi un posto nella arti liberali, alcuni di questi abili tecnici prendono a definirsi "uomini di pensiero" separandosi dalle preoccupazioni e dagli interessi del mondo basso. Quelli che allora si credono toccati dal genio artistico prendono a considerarsi figure semi-divine: ecco cominciare la vita d'artista.
In europa, fino alla fine del medioevo, gli artigiani più dotati erano impiegati tradizionalmente dalle autorità religiose e politiche. Dal XIV secolo, l'alta borghesia dei ricchi mercanti e banchieri, sempre più influente, per rafforzare la propria immagine in rivalità con i principi, di punto in bianco s'innamora della pittura, determinando così la fioritura di questa forma d'arte, fino ad allora poco apprezzata. La figura dell'artista deve sicuramente molto alla Chiesa Cattolica, dal Rinascimento alla Controriforma. Ed è inoltre debitrice dello Stato monarchico per il prestigioso riconoscimento sociale, con l'istituzione delle Accademie, simboli dell'élitarismo intellettuale. Tuttavia, l'artista nella sua accezione moderna è soprattutto stato plasmato dalla borghesia, suo principale mecenate e cliente.
Che lo voglia o no, l'artista incarna infatti una forma tutta particolare dell’individualismo liberale e borghese. E' nel XIX secolo che tale individualismo raggiunge il suo culmine allorché s'impone l'idea dell'autonomia della dimensione artistica, con il risultato che l'arte diviene un’attività specializzata che perde poco a poco legame con la realtà circostante. L'artista s'illude di essere un individuo libero perché creativo. Ma il nome dell'artista si trasforma in realtà in uno dei tanti "marchi" che popolano il mercato dei consumi.
L'artista, in virtù della sua posizione sociale, è incapace di rimettere in questione il mondo che lo ha prodotto e legittimato: senza il plauso del mondo borghese che ne finanzia l'attività e ne mantiene vivo l'alone di eccezionalità attraverso il battage mediatico, l'artista non può vivere. E' una creature infelice ed ipocrita che deve assecondare lo stato di cose esistente per poter tutelare la propria (presunta) libertà. Può di quando in quando colpire e scandalizzare il borghese, ma entro certi limiti invalicabili, e lo fa in quanto è la stessa società che gli riconosce il diritto e il dovere di essere trasgressivo. In tal senso, l'artista resta il migliore agente della neutralizzazione della critica e del suo riciclaggio estetico.
Il caso del Situazionismo è sintomatico: uno dei limiti di questa “avanguardia” fu di essere rimasta prigioniera del mito dell’artista. Non è tanto il “superamento dell’arte” (concetto comunque rimasto confuso e per questo mai concretizzatosi), ma il superamento dell’artista che bisogna cercare. I componenti dell’Internazionale Sitiuazionista, e Debord in particolare, non hanno mai voluto o saputo rompere con questa mitologia dell’artista. E’ ciò spiega perché oggi molti pensano che l’Internazionale situazionista sia sostanzialmente il nome di un movimento artistico. Si pensi al fatto che il Situazionismo ha avuto influenza tanto negli ambienti di sinistra quanto in quelli del marketing e del cretinismo mondano. E si ricorda, di questo gruppo sovversivo, soltanto il suo stile.
Nella nostra epoca l'artista è diventato un modello di lavoratore e uno stimato cittadino nel momento in cui è riuscito a favorire nuove forme di gestione del capitale, e questo riconoscimento non ha fatto che rafforzare il suo sentimento di superiorità rispetto al popolo, partecipando alla legittimazione del sistema gerarchico e moderno di dominio. E per questo senso di superiorità pretende di essere diverso da tutti gli altri lavoratori: egli infatti produce "oggetti d'arte", frutto di "creatività" e "genio". Ma se l'opera dell'artista finisce poi nel mercato, alla stregua di tutti gli oggetti che la gente compra e consuma, che differenza c'è?
Dirsi artista oggi è un modo alla moda per dichiararsi falsamente libero e migliore degli altri, estraneo alla realtà condivisa dalla massa e contemporaneamente accettare il mondo dei consumi dal quale desidera ardentemente di essere riconosciuto. Oggi la cultura e l'arte sono divenute strumentali alla vendita, alla crescita economico-capitalistica, agli interessi dei ricchi e dei potenti. L'artista è ridotto a un pubblicitario: lo spettacolo megalomane di Lille 2004 ne è oggi una brillante dimostrazione: la cultura si rivela essere un mezzo molto proficuo per vendere una città. Si potrebbe dire che l'artista è un venduto, se quest'insulto non fosse pleonastico.
[Qui sotto il testo scaricabile in formato .pdf con abbinati due vecchi flyer: uno nostro, originariamente accluso all’album “Music is a gun loaded with future” (2005) e l’altro a firma di Vanni dei Franti e più datato (1987); ulteriori riflessioni sulla figura dell’artista e sulla possibilità che si offre a quest’ultimo di liberarsi dalle pastoie dell’odierno, limitato, orizzonte culturale].
>>> Download “A mort l’artiste!” in formato .pdf + bonus (2,80 mb.)
07/12/07
[Free music for punx]
OLD TIME RELIJUN (from Olympia, USA)
[Sarta] Chi di voi conosce gli Old Time Relijun? Si tratta di una cult-band di ragazzotti yankee di Olympia (USA) che suonano un blues scarno e contaminato, influenzato dal punk/garage più sozzo e primitivo. Costoro, complice un provvidenziale day-off del loro tour nell'ormai lontano 2004, approdarono un gelido giovedì sera di novembre al C.S.O.A. Garibaldi e fecero un concertazzo da paura. Il loro stato di cult-band, attirò quella sera una fiumana di adepti, increduli di poter vedere finalmente i propri idoli in azione! Molti erano stupiti di ritrovarsi in quel luogo un po' sgarrupato ma accogliente, di cui probabilmente fino ad allora avevano ignorato l'esistenza. Fu una serata decisamente folle, con almeno 300 persone accalcate tra palco e banchetti, intenti a sborsare bigliettoni da 50 euro per acquistare tutto il materiale possibile dei loro idoli. Nei loro occhi, non c'era l'opacità distratta del fan generalista, che acquista un disco quasi fosse un gesto meccanico, ma l'inspiegabile scintilla dell'adepto che sta per ricevere in cambio una reliquia dai suoi sacerdoti: più che un concerto, fu un vero e proprio sabba!
Di quella mitologica serata, è rimasto questo ciddì live, che contiene 12 tracce mixate dal buon Carlos (il "meccanico del suono" che ha partorito anche il nostro "Music is a gun loaded with future") e un video montato da Sasha e Monica della "State Grezzi" autoproduzioni video. L'artwork, poi, fu realizzato da Puj e ne furono stampate un centinaio di copie.
Al di là dei suoi contenuti, questo disco rappresentò per noi qualcosa di molto importante, perchè fu la prima creazione partorita dal "Gruppo Autoproduzione". Dietro a questo pseudonimo si riuniva un gruppo di persone che, durante delle torbide riunioni serali presso il C.S.O.A. Garibaldi, aveva l'obiettivo (la speranza?) di mettere in moto una riflessione allargata sulle potenzialità e sulle prospettive della pratica autoproduttiva e, all'occorrenza, operare in sinergia. Fu un periodo di grande crescita per la nostra coscienza politica e antagonista! Mettere insieme una buona dozzina di teste pensanti, che già praticavano l'autoproduzione a vari livelli e nella quale riponevano le speranze più variegate, e trovare il modo di farle convergere verso una progettualità comune si rivelò, com'era prevedibile, compito assai arduo. Tuttavia, dal confronto emersero tutta una serie di documenti scritti, redatti da varie mani, che ebbero l'effetto benefico di innescare, almeno dentro di noi, una riflessione su ciò che ritenevamo ovvio e che invece non lo era affatto.
>>>Download "Old Time Relijun - Live at CSOA Garibaldi squat 4/11/2004 (file .RAR - 85 mb)
>>>Download "Old Time Relijun - Video of "Cold Water" at Garibaldi squat 4/11/2004 (file .MPG - 70 mb)
OLD TIME RELIJUN (from Olympia, USA)
[Sarta] Chi di voi conosce gli Old Time Relijun? Si tratta di una cult-band di ragazzotti yankee di Olympia (USA) che suonano un blues scarno e contaminato, influenzato dal punk/garage più sozzo e primitivo. Costoro, complice un provvidenziale day-off del loro tour nell'ormai lontano 2004, approdarono un gelido giovedì sera di novembre al C.S.O.A. Garibaldi e fecero un concertazzo da paura. Il loro stato di cult-band, attirò quella sera una fiumana di adepti, increduli di poter vedere finalmente i propri idoli in azione! Molti erano stupiti di ritrovarsi in quel luogo un po' sgarrupato ma accogliente, di cui probabilmente fino ad allora avevano ignorato l'esistenza. Fu una serata decisamente folle, con almeno 300 persone accalcate tra palco e banchetti, intenti a sborsare bigliettoni da 50 euro per acquistare tutto il materiale possibile dei loro idoli. Nei loro occhi, non c'era l'opacità distratta del fan generalista, che acquista un disco quasi fosse un gesto meccanico, ma l'inspiegabile scintilla dell'adepto che sta per ricevere in cambio una reliquia dai suoi sacerdoti: più che un concerto, fu un vero e proprio sabba!
Di quella mitologica serata, è rimasto questo ciddì live, che contiene 12 tracce mixate dal buon Carlos (il "meccanico del suono" che ha partorito anche il nostro "Music is a gun loaded with future") e un video montato da Sasha e Monica della "State Grezzi" autoproduzioni video. L'artwork, poi, fu realizzato da Puj e ne furono stampate un centinaio di copie.
Al di là dei suoi contenuti, questo disco rappresentò per noi qualcosa di molto importante, perchè fu la prima creazione partorita dal "Gruppo Autoproduzione". Dietro a questo pseudonimo si riuniva un gruppo di persone che, durante delle torbide riunioni serali presso il C.S.O.A. Garibaldi, aveva l'obiettivo (la speranza?) di mettere in moto una riflessione allargata sulle potenzialità e sulle prospettive della pratica autoproduttiva e, all'occorrenza, operare in sinergia. Fu un periodo di grande crescita per la nostra coscienza politica e antagonista! Mettere insieme una buona dozzina di teste pensanti, che già praticavano l'autoproduzione a vari livelli e nella quale riponevano le speranze più variegate, e trovare il modo di farle convergere verso una progettualità comune si rivelò, com'era prevedibile, compito assai arduo. Tuttavia, dal confronto emersero tutta una serie di documenti scritti, redatti da varie mani, che ebbero l'effetto benefico di innescare, almeno dentro di noi, una riflessione su ciò che ritenevamo ovvio e che invece non lo era affatto.
>>>Download "Old Time Relijun - Live at CSOA Garibaldi squat 4/11/2004 (file .RAR - 85 mb)
>>>Download "Old Time Relijun - Video of "Cold Water" at Garibaldi squat 4/11/2004 (file .MPG - 70 mb)
03/12/07
[Kalashnikov collective presents...]
EROSION (Nero-core from Hamburg, Germany 1988-1998)
[Puj] Gli Erosion, spacca-ossa di Amburgo, hanno per mesi monopolizzato il nostro stereo negli anni sciagurati dell’adolescenza. In particolare, con questo disco: spaventosa mazzata punk-thrash anni ‘90, quando ancora il crossover tra h.c. e metal suonava veloce e sozzo. La voce disperata di Chris Zenk mi riecheggia ancora nelle orecchie... i suoi testi erano capolavori di poesia nichilista non-sense: "The dark clouds of my mind / I've got no chance / are tourning around in circles / Alcohol is a question (...) and I build my own cross with a bunch of bottles". Aiuto! Il drumming a valanga di Klaus Nowakowski è da infarto. Scioltisi nel 1998. From the dark past…. Erosion! Hamburg crush-bones nihilist h.c. A Kalashnikov collective must!
EROSION (Nero-core from Hamburg, Germany 1988-1998)
[Puj] Gli Erosion, spacca-ossa di Amburgo, hanno per mesi monopolizzato il nostro stereo negli anni sciagurati dell’adolescenza. In particolare, con questo disco: spaventosa mazzata punk-thrash anni ‘90, quando ancora il crossover tra h.c. e metal suonava veloce e sozzo. La voce disperata di Chris Zenk mi riecheggia ancora nelle orecchie... i suoi testi erano capolavori di poesia nichilista non-sense: "The dark clouds of my mind / I've got no chance / are tourning around in circles / Alcohol is a question (...) and I build my own cross with a bunch of bottles". Aiuto! Il drumming a valanga di Klaus Nowakowski è da infarto. Scioltisi nel 1998. From the dark past…. Erosion! Hamburg crush-bones nihilist h.c. A Kalashnikov collective must!
[Free music for punx]
EROSION - III (We Bite 1992, Germany)
1. Erosion III (1:39) / 2. Erosive life (3:38) / 3. Revenge (2:05) / 4. Body and soul (1:46) / 5. Reality (3:29) / 6. Power within (2:52) / 7. Enemy (3:19) / 8. M.L.H. (4:42) / 9. Germany 2003 (2:52) / 10. 70th floor (2:48) / 11. Love (3:22) / 12. Lonely (3:59) / 13. Dead Europe (13:20).
>>> Download EROSION “III” album – 13 tks. mp3 + artwork (file .rar – 65 mb.)
1. Erosion III (1:39) / 2. Erosive life (3:38) / 3. Revenge (2:05) / 4. Body and soul (1:46) / 5. Reality (3:29) / 6. Power within (2:52) / 7. Enemy (3:19) / 8. M.L.H. (4:42) / 9. Germany 2003 (2:52) / 10. 70th floor (2:48) / 11. Love (3:22) / 12. Lonely (3:59) / 13. Dead Europe (13:20).
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