15/07/17

[We talk about...free books for punx!]
"Mosca - Petuski" alias "Mosca sulla vodka"
"Oggi parliamo di capolavori. Un giorno Denis, il capitano-driver che ci ha scarrozzato in lungo e in largo nei nostri tour russi (e non solo), ci dice: "ehi, c'è questo libro, dateci un'occhiata, credo ne esista un'edizione italiana. E' il mio preferito di sempre!". Scopriamo che si tratta di un samizdat, ovvero di un libro clandestino circolato segretamente durante i decadenti anni dell'Unione Sovietica di Breznev, quando tutto andava a scatafascio e se ti permettevi di obiettare qualcosa finivi a lavorare in un gulag a 50 gradi sottozero. Un samizdat, dunque? Uh, la cosa iniziava a farsi interessante! Nonostante la sua natura underground, il libro – intitolato “Mosca-Petuski” – ebbe un grande successo durante gli anni Settanta, tanto da richiamare l'attenzione di qualche editore straniero che si prese la briga di tradurlo e di pubblicarlo: il primo fu, curiosamente, in Israele nel 1973, al quale seguì la Francia e l'Italia che nel 1977 ne cambiò il titolo nel più triviale “Mosca sulla vodka”. Il motivo per cui il racconto di cui stiamo parlando non è mai stato stampato dall'editoria sovietica ufficiale è, ovviamente, comprensibile: diciamo che non si tratta esattamente di un'apologia dell'URSS. Ma – ordunque – di che cosa parla questo libro?

Una sbronza perenne
Venedikt Erofeev (1938-1990) – questo è il nome dell'autore del libro in questione – fu uno scrittore e anche (e soprattutto) un accanito bevitore. Il racconto ha come protagonista lui stesso ed è strutturato come una sorta di flusso di coscienza in prima persona, che descrive il nostro Venja (nomignolo di Venedikt) attraversare Mosca fino alla stazione di Kursk per salire sul treno che lo porterà alla cittadina di Petuski, distante circa 150 kilometri, per incontrare la sua amata. Naturalmente però, nulla va come previsto. O meglio: Venja, oltre ad essere una persona colta e raffinata – come ben traspare dai numerosi soliloqui che compaiono nel racconto – è anche un alcolizzato senza ritorno. Non un bevitore qualunque, signori miei: un fiero e orgoglioso bevitore che fa del bere uno stile di vita, una poetica sovversiva, un modo rivoluzionario di concepire l'ebbrezza che comporta un assoluto cambio di prospettiva sull'esistente. E difatti la narrazione diventa presto il racconto onirico di una sbronza colossale. Ce la farà il nostro eroe a raggiungere Petuski e ricongiungersi con la sua amata?

Il tratto Mosca - Petuski
Satira sociale in salsa alcolica
Il viaggio in treno è dunque solo un pretesto per parlare della vita e della società sovietica. In verità “Mosca – Petuski” è un racconto ironico, ricco di iperboli e paradossi, che trasforma un reietto senza speranza in un eroe tragico. Nell'apparente semplicità di un viaggio che avrebbe dovuto durare un paio d'ore, la dimensione onirica travolge la realtà, i piani di ciò che è serio e ciò che è burla si capovolgono, fino alle drammatiche pagine conclusive, dove si consuma un colpo di scena tragico e beffardo. Il protagonista del racconto è un vittima di una realtà crudele e spietata, dove non c'è posto per chi sa di essere un outsider. Gli aneddoti che si potrebbero riportare – colmi di citazioni dei “mostri sacri” della cultura russa – sono molti e spassosi. Ve ne raccontiamo giusto un paio...

Venedikt Erofeev al lavoro
Il lavoro rende liberi: i “grafici individuali
Ad un certo punto si parla di lavoro e scopriamo che Venja era un ispettore dei cavi telefonici presso l'aeroporto di Mosca. Le giornate lavorative nell'URSS degli anni Sessanta vengono descritte così: “[...] Il nostro processo produttivo – scrive Erofeev – si presentava nel seguente modo: al mattino, appena arrivati, ci mettevamo seduti a giocare a sika [un gioco di dadi], a soldi (voi sapete giocare a sika?). Bene. Poi ci alzavamo, srotolavamo il tamburo col cavo e mettevamo il cavo sotto terra. E poi, si sa: ci sedevamo e ciascuno ammazzava il tempo a modo suo, giacché in fondo ognuno ha il suo carattere e il suo sogno: uno beveva vermut; un altro, più alla buona, beveva acqua di colonia "Frescura", mentre chi aveva pretese, beveva cognac all'aeroporto internazionale di Seremet'evo. E poi si andava a letto. E il mattino dopo, cosi: prima ci sedevamo e bevevamo vermut. Poi ci alzavamo e tiravamo fuori dalla terra il cavo del giorno prima, perché naturalmente era tutto umido. E poi - che dire? - poi ci sedevamo a giocare a sika a soldi. E si andava a letto senza riuscire a terminare la partita. Il mattino presto già ci svegliavamo a vicenda: "Lecha! Alzati, che si deve giocare a sika!", "Stasik, alzati per finire la partita di ieri a sika!". Ci alzavamo e finivamo la partita a sika. E poi, senza indugi, senz'aver bevuto né "Frescura", né vermut, davamo di piglio al tamburo col cavo e cominciavamo a srotolarlo affinché l'indomani fosse fradicio e inutilizzabile. E soltanto dopo di questo, ognuno si sentiva libero di fare quel che gli pareva, perché ognuno ha i suoi ideali. E cosi tutto daccapo”. 
Quando Venja diventa “brigadiere”, ovvero responsabile della sua unità di lavoro, introduce una novità, i “grafici individuali”: “dirvi che razza di grafici fossero? – scrive ancora il Nostro – Bene, è molto semplice: con inchiostro di china si tracciano su carta velina due assi: una orizzontale e l'altra verticale. Su quella orizzontale si segnano per ordine tutte le giornate lavorative del mese trascorso e su quella verticale si indica in grammi la quantità di quanto s'è bevuto, ma tradotto in alcool puro. Naturalmente si teneva conto soltanto di quanto si era bevuto sul lavoro e prima di esso, in quanto ciò che si beve la sera costituisce una quantità più o meno costante per tutti e non può presentare interesse per uno studioso serio. E cosi, allo scadere del mese, il lavoratore mi si presentava con il suo rendiconto: il tale giorno ho bevuto questo o quello e in questa o quella quantità, il tal'altro giorno ho bevuto, ecc. E io traducevo tutto questo in un bel diagramma con inchiostro di china su carta velina”. Naturalmente si tratta di “grafici” alternativi a quelli ufficiali. Ma Venja – con un'ironia e un gusto per il paradosso tipicamente russi – capisce che attraverso la conoscenza del “ritmo alcolico” di ciascuno si riesce a conoscere molto più da vicino le esigenze dei lavoratori. Accade però, a causa di una giornata dove si è esagerato col tazzare, di confondersi e spedire ai responsabili del Partito i grafici “alcolici” anziché quelli veri. Risultato: Venja viene licenziato.
Da sinistra a destra, i "grafici individuali" del giovane comunista VIktor Totoskin, della vecchia canaglia sconquassata Aleksej Blindjaev e di Venedikt Erofeev
I controllori! I controllori!
Può un racconto ambientato su un treno fare a meno della figura del controllore? Ovviamente no! Solo che in Mosca sulla Vodka il personaggio del controllore Semënič è naturalmente biecamente corrotto e dedito all'alcolismo (come tutti, in realtà). “A dire il vero, sulla linea di Petuski nessuno ha paura dei controllori, perché tutti sono senza biglietto. Se qualche rinnegato fa il biglietto perché magari è in preda a una sbornia, lui sì che si trova a disagio quando passano i controllori. Quando un controllore gli chiede il biglietto, lui non guarda nessuno: né il controllore stesso, né il pubblico, ma è come se volesse sprofondare sotto terra. E il controllore esamina il suo biglietto in una certa maniera schifata e lo guarda in modo da annientarlo, come se fosse un rettile. E il pubblico, il pubblico guarda il "furbo" con degli occhi grandi e belli, come per dire: "Abbassa lo sguardo, razza di coglione! Ti rodeva la coscienza, eh?". Ma prima dell'arrivo del controllore Semënič la vita per i passeggeri era molto più dura: “Prima che Semënič diventasse capo-controllore, tutto andava diversamente: in quei giorni i passeggeri senza biglietto venivano chiusi come gli indiani nelle riserve, gli picchiavano in testa con i tomi dell'enciclopedia Efron & Brockhaus, e poi li multavano e li scaraventavano fuori della vettura. In quei giorni, fuggendo il controllore, essi correvano attraverso i vagoni come armenti in preda al panico, trascinando con sé anche quelli che avevano il biglietto. Una volta, sotto i miei occhi, due piccoli ragazzini, abbandonandosi al panico generale, corsero insieme al gregge e furono schiacciati a morte. E restarono così, riversi nel corridoio, stringendo nelle manine bluastre i loro biglietti...”. L'aneddoto terribile dell'uccisione di due bambini viene buttato lì così, come se fosse una cosa di frequenza comune, un particolare di poco conto. 
Ma poi, per fortuna, arriva Semënič, e le cose cambiano...in meglio! “Il capo controllore Semënič ha cambiato tutto: ha abolito le multe e le riserve. Ha regolato tutto in modo più semplice, esigendo da ogni viaggiatore senza biglietto un grammo di vodka per chilometro. In tutta la Russia gli autisti chiedono una copeca a chilometro, mentre Semënič chiedeva una volta e mezza di meno: un grammo a chilometro. Se, per esempio, tu vai da Cuchlinka a Usad, una distanza di novanta chilometri, devi versare a Semënič novanta grammi di vodka e poi viaggi assolutamente tranquillo, sbracato sul tuo sedile come un bottegaio...”. Geniale no? Immaginatevi se funzionasse così anche oggi in Italia: la figura del controllore, da bieco sbirro diventerebbe un simpatico compagno di sbronze, pronto a portare allegria ad ogni sua comparsa. “E così l'innovazione di Semënič ha rafforzato il legame tra il controllore e le larghe masse, ha diminuito il costo di questo legame, l'ha semplificato e umanizzato...E ora nel fremito generale suscitato dal grido “i controllori!" non c'è più nessuna paura. In questo fremito c'è soltanto un'anticipazione...”. Ed, infine, ecco che il personaggio entra finalmente in scena: “Semënič entrò nella vettura, sorridendo in modo sensuale. Già si reggeva a malapena sulle gambe, perché di solito restava sul treno soltanto fino a Orechovo-Zuevo, dove scende va e se ne andava nel suo ufficio, sbronzo da vomitare..."Di nuovo tu, Mitrič? Daccapo a Orechovo? A fare un giro sulla giostra? Cent'ottanta fra tutt'e due. Ah, sei tu, Nero baffuto? Saltykovskaja-Orechova Zuevo? Settanta due grammi. Svegliatemi questa puttana e domandate quanto deve. E tu, covert-coat, di dove vieni e dove vai? Serp-i-Molot-Pokrov? Centocinque, per favore. I 'portoghesi' sono sempre di meno. Una volta ciò suscitava 'ira e sdegno' mentre oggi suscita 'legittimo orgoglio'... E tu, Venja? ..." e Semënič m'investì in maniera sanguinaria col suo alito fetente d'alcool: "e tu, Venja? Come sempre Mosca-Petuski? ..."

Effetti del "Balsamo di Canaan"
Cocktails creativi
Il Nostro, da buon bevitore, è naturalmente un esperto di cocktails. Ma dimenticatevi i vari spriz, negroni, mojito, caipirinha...tutta roba da fighetti occidentali! Qui si parla invece di roba seria, orgogliosamente proletaria. Sentite qua: “In breve, scrivetevi la ricetta del "Balsamo di Canaan". La vita è concessa all'uomo una volta sola e bisogna viverla in modo da non sbagliare le ricette: 

Alcool denaturato 100 g
Birra vellutata 200 g
Vernice purificata 100 g

Ed ecco che avete davanti a voi il "Balsamo di Canaan" (detto familiarmente "volpe bruna"), un liquido che ha effettivamente un colore nero-brunastro, moderatamente forte e con un aroma robusto. Non si tratta nemmeno d'un aroma, ma di un inno. L'inno della gioventù democratica. Proprio così, giacché in chi beve questo cocktail maturano appieno le “forze oscure” e la volgarità”. In Unione Sovietica, come ancora oggi in posti dove l'alcolismo è la norma, siccome non è facile reperire superalcolici che non siano la vodka, si usava davvero fare dei cocktails con profumi e prodotti per l'igiene. Mosca sulla Vodka è un racconto dai toni iperbolici, ma c'è sempre del vero in ciò che scrive Venedikt Erofeev. Che subito dopo ci illustra gli effetti sull'umore e sulla nostra psiche di alcune sostanze di uso comune: “il "Mughetto," per esempio, eccita l'intelligenza, allarma la coscienza, rafforza la coscienza del diritto. Il "Lillà bianco" al contrario, tranquillizza la coscienza e concilia l'uomo con le piaghe dell'esistenza … A me è successo così: bevo un intero flacone di “Mughetto argentato”, me ne sto lì e piango. Perché piangevo? Perché mi ricordavo di mia mamma, cioè me ne ricordavo e non potevo dimenticarla. “Mamma” dicevo. E poi di nuovo: “Mamma” e di nuovo piangevo. Un altro, più stupido, sarebbe rimasto li a piangere. E io invece? Io ho preso un flacone di “Lillà” e me lo sono bevuto. E che cosa credete? Le lacrime si sono asciugate, un riso idiota mi ha assalito e anche la mamma l'ho dimenticata a tal punto che non sapevo più come si chiamava”. 
Alcuni prodotti del perfetto barman
Ed infine, vi lasciamo con la chicca finale: “ma lasciamo stare la “Lacrima”. Adesso vi propongo il dulcis in fundo. “Il serto delle fatiche è superiore a ogni compenso” disse il poeta. In breve, io vi propongo il cocktail “Trippa di cane” una bevanda che oscura tutto il resto. Non si tratta neanche più d'una bevanda, ma d 'una musica delle sfere celesti. Che cosa c'è di più bello al mondo? La lotta per la liberazione dell'umanità. E di più bello ancora? Ecco, scrivete:

Shampoo "Sadko ospite di lusso” 30 g
Birra di Zigulì 100 g
Soluzione antiforfora 70 g
Deodorante per piedi 30 g
Antiparassitario 20g

Tutto ciò si lascia macerare per una settimana con tabacco di sigari; quindi si serva in tavola...A proposito, mi sono giunte lettere in cui oziosi lettori mi consigliano inoltre di filtrare l'infuso cosi ottenuto con un passino. Ossia, di filtrarlo con un passino e poi di andare a letto... Ma lo sa il diavolo che roba è questa e tutte queste aggiunte e correttivi provengono da fiacchezza d'immaginazione, da insufficienze del volo del pensiero; ecco di dove vengono questi assurdi correttivi ... E dunque, la “Trippa di cane” è in tavola. Bevetela non appena appare la prima stella, a grandi sorsi. Già dopo due bicchieri di questo cocktail un uomo diventa così spiritualizzato, che ci si può far da presso e per un'intera mezz'ora sputargli sul grugno da una distanza d'un metro e mezzo senza che lui ti dica niente”.

7 commenti:

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