11/12/06

[Live report]
KALASHNIKOV @ Oetinger Villa – Darmstadt (D) 4 agosto 06
Dopo aver trascorso la giornata a sbevazzare Apfelwein, un tremendo sidro di mele tipico della zona di Wiesbaden, partimmo per Darmstadt. Ci faceva strada l’amico Tomflex con la sua Mercedes anni ’80 targata WILD e abbellita da fiori finti cinesi. Non ho alcun ricordo del viaggio, se non quello di un nauseabondo odore di formaggio prodotto dalla caciottella bavarese che Tom ci regalò poco prima di partire; cercammo di renderla inoffensiva infilandola in sacchetti vari, ma inutilmente. L’unica soluzione fu mangiarla.
Lo squat in cui suonammo quella sera, la Oetinger Villa, si rivelò uno dei luoghi più incredibili in cui ho transitato nella mia vita di anti-musicista: una villa neogotica immersa nel verde lussureggiante di un parco-jungla in stato di abbandono, un vero e proprio castello dei film integralmente occupato da punks! Sulla facciata svettavano minacciosi gargoyles di pietra! Dentro ci accolse una specie di famiglia Addams composta da punkabbestia locali. Il silenzio, l’odore di muffa, i soffitti altissimi da cui pendevano lampadari antichi, la luce filtrata dalle vetrate colorate con motivi art decò, le imponenti scalinate di legno, l’enorme camino sudicio… tutto contribuiva a creare un’atmosfera davvero strana. Wow! Un maggiordomo anarcopunk con la cresta fosforescente ci accompagnò ai piani superiori e ci fece accomodare in sala da pranzo: sui fuochi bolliva un calderone di…

[Food, not bombs!]
VEGAN-CHILI!
[Annalisa] Chili con seitan per l’esattezza. Ingredienti (per sei persone): 200 grammi di seitan (alimento proteico ottenuto dal glutine di frumento o di farro, ottimo sostituto della carne!), 250 g. di fagioli neri messicani secchi, un chilo di pomodori, tre cipolle, quattro spicchi d’aglio, un peperone giallo, uno verde, salsa di soia, un cucchiaio di chili (o peperoncino).
Lessa i fagioli, dopo averli lasciati in ammollo per una notte e riasciacquati più volte sotto l’acqua corrente. Non salarli durante la cottura, altrimenti si induriscono! Taglia il seitan a pezzetti e mettilo a bagno nella salsa di soia. Pulisci e taglia a pezzetti i pomodori e i peperoni. Trita le cipolle e l’aglio. In una pentola molto grande fai un soffritto con olio, cipolle e chili, poi aggiungi i pomodori, i peperoni e l’aglio, e copri tutto con 300 ml. di acqua. Quando bolle, unisci i fagioli e aggiungi del sale. Lascia bollire per alcuni minuti (8-10 min. a fuoco basso)… unisci infine il seitan e cuoci perun altro po’, finché l’insieme non assume l’aspetto di un denso e profumato pappone. Servi il tuo chili vegano caliente e, possibilmente, con riso bianco al vapore. Vamos a mangiar, companeros!

Quella sera suonammo per due ore circa, ripetendo gli stessi pezzi tre o quattro volte, dato che eravamo l’unico gruppo e perché i punx erano tutti pazzi e volevamo ballare selvaggiamente. Il clima si fece davvero gaio, con i Kalashnikov che ogni tanto cercavano di scendere dal palco e i punx che li ricacciavano sopra, senza pietà. Rissa, ad un certo punto, non ce la faceva più, ma, incitato da uno skin con la maglietta dei Tankard, si rimise in piedi e suonò altre trenta canzoni. Tutti furono davvero simpatici, come quel giovane che appena tornato da Minsk, regalò a Milena migliaia di banconote di rubli bielorussi di nessun valore. O come quel punk che volle omaggiarci con un’auto e un elicottero in miniatura della polizia tedesca, da tenere sul cruscotto del furgone, come amuleto contro gli sbirri.
Al ritorno, eravamo tutti fatti. Malgrado non ci reggessimo in piedi, finimmo per concludere la serata verso le quattro del mattino, gustando kebab con i nostri amici Sonja, Tom e Frank. Ghallonz, per sbaglio, rivolse un invito sessuale (in tedesco) al proprietario del negozio di kebab, un saraceno nerboruto. Questo uscì brandendo un bastone per punirlo; ma tutto, naturalmente, finì a tarallucci fritti e birra sgasata, Anzi no: a Jegermeister, che offrimmo abbondantemente al personale del chiosco in segno di pace. Art! Amour! Anarchie! [Puj].

>>> Download KALASHNIKOV – Metropoli – videolive in Darmstadt 4/8/06 (Mpeg format – 100 mb.)
[We talk about...]
MUSIC!
Musica è divertimento! musica è impegno! musica è narcisismo! musica è socializzazione! musica è cambiamento! musica è lotta!… che cos’è la musica che suoniamo? A volte si è così presi a sudare sugli strumenti, a mettersi d’accordo per fare le prove, tra una giornata di lavoro alienante e mille altri stupidi impegni, a cambiare le corde della chitarra o a smanettare con un mixer che non si pensa più al senso di quello che si sta facendo. Pensare la musica non è affatto semplice: la si compone, la si suona, la si ascolta, ma difficilmente se ne parla, se ne analizzano i significati, si riflette sulla sua funzione. Non è una menata socio-filosofica, è un problema serio! Quando abbiamo iniziato, una cosa ce la siamo imposta: basta con gli slogan! Volevamo fare musica punk senza usare formule preconfezionate, senza sfruttare una simbologia d’accatto, senza prendere in prestito un immaginario… ma costruendocene uno su misura, tutto nostro. Che ambizione! Non credo, anzi: voglia di comunicare veramente. Ma comunicare non è facile. Bisogna innanzitutto pensare allo strumento che si utilizza per veicolare il messaggio. Scavando nella mia libreria da pazzo, mi è capitato tra le mani un librettino ingiallito: un’antologia di articoli pubblicati sulla rivista di musicologia degli anni ’70 intitolata Muzak. Tra una requisitoria contro i poveri Emerson, Lake and Palmer e un pistolotto palloso sui Soft Machine, mi sono imbattuto in un breve articolo che tratta il tema delle scelte di stile che la comunicazione musicale, più strettamente politica o meno, deve necessariamente compiere se vuole essere efficace nel trasferire messaggi. L’autore si chiede: è coerente ed efficace affidare la comunicazione politica “rivoluzionaria” ad una forma musicale che, seppur popolare ed accessibile a tutti, è anche retrograda, reazionaria e conservatrice come quella della canzonetta o della ballata popolare? E non c’è il pericolo che il linguaggio codificato e scarno del pop possa impoverirne i contenuti? Una musica dal messaggio “rivoluzionario” non dovrebbe essere di per se stessa musica “rivoluzionaria”? Musica in grado di scuotere e svegliare le coscienze dal torpore, magari anche disturbandole, aggredendole, estranea alle logiche compositive e di fruizione della musica commerciale? Non c’è il rischio che una forma canzone di per sé troppo “digeribile” possa far prevalere elementi estrinseci, come il ritmo e la melodia, sui contenuti? Se sono le contraddizioni della realtà circostante che vogliamo mettere in luce, non avrebbe più senso utilizzare un linguaggio meno rassicurante, più “critico”? Insomma: fa pensare di più la musica di una band noise-grind strumentale o quella del Kalashnikov Collective? Quante domande! Tutte senza risposta!… [Puj]

27/11/06

[We talk about…]
D.I.Y.!
A proposito di autoproduzione musicale etc… Nell’estate ’95 l’autorevole rivista di riflessione controculturale “Derive Approdi” presenta ai suoi lettori un dossier di importanza storica sulla musica “altra”, in cui si parla di autoproduzione allargando il discorso alle estetiche musicali non conformiste e ai nuovi soggetti creativi. Si passa dalla lucida testimonianza di autoproduzione pensata e vissuta dagli Assalti Frontali alle raffinate riflessioni dello storico leader del Settantasette Franco Berardi (Bifo) su plunderphonia e orizzonti contemporanei della ricerca sonora, senza tralasciare un’ indagine sul rapporto tra donne, tecnologia e musica elettronica (con il contributo della filosofa Anna Camaiti Hostert) e un intervento sulla musica interattiva a cura dell’artista Tommaso Tozzi. Infine, le memorie pre-“costretti a sanguinare” del noto vetero-punk milanese Marco Philopat. Tutto pazientemente ridotto in formato pdf e scaricabile da qua sotto. Si tratta indubbiamente di materiale appartenente ad un’altra epoca: undici anni dopo tante cose sono cambiate, sia a livello culturale che tecnologico, espandendo/restringendo alcuni orizzonti e rendendo pensabili/impensabili molte cose… credo però che documenti come questo siano preziosi perché rappresentano una rara (e, in questo caso, ampia) riflessione sulla nostra musica, quella trasversale, problematica e rumorosa che ci scorre nelle vene, su ciò che la anima e su ciò che la uccide, su ciò che le sta attorno, nel bene e nel male. Buona lettura e non dimenticatelo: la musica è un fucile caricato di futuro!

>>> Download “Musiche non ortodosse” in Derive Approdi n.8/1995 (file .pdf - 20 mb. circa)

09/11/06


[We talk about…]
D.I.Y.!
[Puj] Tra le righe dei nostri discorsi, spesso capita d’imbattersi nel fatidico acronimo “D.I.Y.” (Do it yourself), che tradotto in italiano suona come “Autoproduzione”: un’etica, prima di una prassi, molto vicina alla cultura punk, ma non del tutto riconducibile ad essa. DIY ha un significato complesso e sempre “in divenire”, legato, in modo indissolubile, all’evoluzione tecnologica e alla scoperta di forme nuove di circolazione dei saperi/prodotti. Spesso è un tema poco approfondito anche da chi l’autoproduzione la pratica da tempo. Propongo quindi alcuni link utili, più o meno specifici ed esaurienti, da cui attingere per conoscere/approfondire l’argomento. O per rifletterci sopra. Se qualcuno volesse segnalarci qulcosa sul tema, ne saremo, naturalmente, felicissimi!

Info generali [for beginners!]:
* Wikipedia (in inglese)
* Wikipedia (in italiano)

Approfondimenti:
* Gli archivi di Copydown
[documentazione inerente l’autoproduzione e il pirataggio, con particolare attenzione per le tematiche legate al no-copyright].
* La tesi di laurea di Andrea dei TrashBrigade
[ottimo lavoro, dottore!]

Risorse:
* Book Your Own Fucking Life – d.i.y. punk/hc worldwide network (in inglese)
[Si tratta di un database in cui confluiscono svariate piccole/medie/grandi realtà del circuito d.i.y. principalmente musicale: label, zine, bands, squat... Si tratta di un sito autogestito dagli utenti e per questo ci si trova un po’ di tutto e non tutti i link sono aggiornati od effettivamente operativi. Dà comunque un’idea dell’ampiezza del sottobosco d.i.y., nonché del suo carattere internazionalista].
* Crimethinc Ex-workers Collective – archivio materiale (in inglese)
[Collettivo americano di controcultura militante. Dalla sezione download del sito è possibile scaricare molto materiale, tra cui una “DIY guide” in formato PDF, un po’ confusa e naif, ma davvero divertente!]

Altro:
* Una raccolta di vecchi flyer punk/hc
* D.I.Y. Community in Freiburg (D)

Bibliografia:
* Morjane Baba “Guerrilla Kit” (ISBN Ed. 2005)
[ISBN Edizioni ha curato l’edizione italiana di questo pseudo-dizionario redatto da un collettivo parigino. Si tratta di un manuale di azione e sopravvivenza militante di taglio stradaiolo, che contiene anche un ampio prontuario d.i.y.].
* George McKay “Atti insensati di bellezza” (Shake Ed. 2000)
[è un testo di analisi della cultura do it yourself inglese; benché fuori stampa, lo si può reperire con facilità nelle librerie specializzate in materiale di “movimento” e nelle biblioteche dei c.s.o.a.; è, a mio parere, un testo fondamentale sul tema “autoproduzione” in senso lato; particolarmente interessante anche dal punto di vista musicale, per il bellissimo capitolo dedicato ai Crass).
* Stefano Giaccone/Marco Pandin “Nel cuore della Bestia” (Zero in Condotta Ed. 1996)
[Purtroppo questo mitologico volumetto recante, quale sottotitolo “Storie personali nel mondo della musica bastarda” credo sia praticamente irreperibile. Si tratta di una raccolta, piuttosto anarchica e casuale, di flyer, manifesti, stralci di fanzine, comunicati, testi di canzoni, interviste… risalenti alla scena anarco-punk e h.c. italiana degli anni ’80: gli anni in cui l’autoproduzione coscientemente antagonista muoveva i primi passi all’interno del sottobosco musicale italiano. I contenuti del libro, per quanto ingenui, contraddittori, confusi e sbracati, parlano meglio di tanti saggi o romanzi sull’argomento. Ne emerge un’immagine della cultura DIY selvaggia, libera e sfacciatamente “contro”, sicuramente un po’ irrazionale, ma con l’ambizione di poter di rappresentare una vera alternativa].

06/11/06

[Album]
KALASHNIKOV/KGB – Friendly home-made diy split with heart & care (Grecia 2005)
[Puj] Prodotto in Grecia, da Michail dei KGB, questo split album è una delle collaborazioni internazionali di cui andiamo più fieri. Amo il synth-punk totally D.I.Y. dei KGB e credo che, pur trattandosi di musica elettronica, si avvicini molto alle sonorità dei Kalashnikov. Le canzoni di Michail hanno l’urgenza tipica del punk, sebbene confezionate in una veste minimal-pop. I KGB si servono di mezzi poverissimi, circolano in ambienti più che sotterranei, ma hanno qualcosa da dire di originale sulla musica.
Per quanto riguarda i Kalashnikov, i pezzi presenti sul cd sono tratti dai nostri primi due album, con l’eccezione di “Brucia ragazza brucia!” qui presente in una versione precedente a quella apparsa su “Music is a gun loaded with future”. All’interno del booklet i testi dei Kalashnikov sono stati tradotti in greco!

Tracklist:

KALASHNIKOV
1. Belfast brucia negli occhi di Sara [4:13]
2. Suburban Drama [3:18]
3. Istanti crudeli della giovinezza [0:25]
4. Brucia, ragazza, brucia! [2:45]
5. Bandiere da bruciare [2:22]
6. Metropoli [2:52]
7. L’inverno di Lisa [3:20]
8. Il disertore [2:15]
9. I logori stendardi di Wu [4:11]
10. Le luci di novembre [3:22]
11. Berlino Est 1980 [2:15]

KGB
12. Berlin electro [1:27]
13. New wave of greek electro-punk [1:59]
14. Nights [1:32]
15. What is art? [2:28]
16. Priceless Hug [5:02]
17. Subconscious games [3:02]
18. T.V. [3:44]
19. Umbrella [1:58]
20. And the years go by [3:02]
21. Manifesto [7:47]

>>> Download Kalashnikov/KGB split album (File RAR - 110 mb. circa)

01/11/06

['Zine]
POLILLA EN LA SOMBRA ‘ZINE (Cuba 2006)
[Sarta] L’altra sera, mi dirigevo a casa dei miei genitori per il consueto scrocco della cena, rituale che espleto ogni venerdì. Camminando in cortile, notai che dalla cassetta delle lettere penzolava una busta bianca. La presi e, incuriosito dal francobollo sul quale troneggiava l’immagine di un coccodrillo con scritto sotto “coccodrillo” (nel caso uno non ne abbia mai visto un esemplare…), lessi sul timbro postale: “Correos de Cuba”. Cuba ?!! Il contenuto della misteriosa busta altro non era che “Polilla en la Sombra ‘zine”, una fanzine di musica/poesie/fumetti/notizie redatta e speditaci dai simpatici Fabiàn e Ariadna (soprannominati, appunto, “El Polilla” e “La Sombra”), residenti nella cittadina di Cienfuegos, sull’isola di Cuba. Dalla lettera allegata scopro che Ariadna è una fan dei Kalashnikov, scoperti grazie ad una intervista che anni fa rilasciammo -nel solito inglese avventuroso- all’amico Omar di “Turbolencia ‘zine”. Dopo aver ascoltato “Music is a gun loaded with future”, reperito grazie a qualche rocambolesco scambio intercontinentale, Ariadna si è decisa a scriverci per mabndarci il nuovo numero (il settimo!) della sua ‘zine cartacea. Noi ne siamo rimasti felicissimi e abbiamo avuto ancora una volta dimostrazione dell’incredibile, mirabolante e misterioso potere del D.I.Y. network. Tra le pagine di Polilla en La Sombra si possono trovare recensioni ed interviste a mitologici gruppi locali di punk/hardcore (ma anche rock e metal - quest’ultimo pare andare molto forte tra i giovani cubani!), news sulla scena musicale di Cuba ma anche su band del mainstream prese un po’ a caso come Black Sabbath, Pearl Jam e Red Hot Chili Peppers (!), una biografia di Janis Joplin, un saggio sulla storia del rock (!!!), poesie e vignette di giovani artisti locali, ancora recensioni di alcune ‘zines cubane, un articolo su Jim Henson, creatore di “Fraggel Rock”, una serie televisiva a me ignota ma che pare essere trasmessa con grande successo dalla tv cubana. L’impressione che si ha leggendo le pagine di Polilla en la Sombra, è che a Cuba ci sia una vera e propria scena musicale, ricca e variegata, in cui non si discrimina tra i diversi generi e si è scevri da ogni settarismo ottuso. Già leggendo l’ottima “Turbolencia ‘zine” avevo avuto questa sensazione, visto l’ampio spazio dedicato a band metal (principalmente thrash ma anche death e black !), punk/hardcore (a volte anche grind) e rock, indifferentemente, come se fossero tutti parte della stessa entità e uniti dallo stesso obiettivo: fare musica! Credo che questo sia qualcosa di positivo, perché è un modo per favorire la contaminazione musicale e la solidarietà tra i gruppi!
°

25/10/06

[Retrospettiva]
101% ODIO (pre-kalashnikov!) – Punk da Milano 1995 – 1999.
[Sarta] Che nostalgia! I “101% Odio” sono stati la nostra prima band, un distillato di assoluta rovina anarcopunk!!! Autunno 1995, io, Puj, Ghallonz e Rissa: eravamo giovani, stupidi e particolarmente brutti; provavamo all’oratorio, in una sgangheratissima saletta allestita abusivamente dal prete (quest’ultimo veniva naturalmente tenuto all’oscuro dei contenuti della nostra musica). I modelli di riferimento erano i gruppi hardcore degli anni ottanta, soprattutto italiani, che ci sparavamo nelle orecchie da cassettine merdosamente registrate, acquistate per pochi soldi bucati. A quei tempi nessuno sapeva bene come fare per registrare un disco o per organizzare un concerto: tutto era in balia del caso. Il nostro primo concerto fu al liceo, durante la festa scolastica di Natale. Un disastro totale. La strumentazione era costituita da: un vecchio amplificatore per tastiere degli anni ’70 a cui erano attaccati sia la chitarra che il basso; una batteria presa in prestito; un impianto voce da karaoke, fornitoci dalla scuola (lo stesso col quale il preside faceva il suo consueto discorso di inizio anno). La voce ovviamente non si sentiva neanche lontanamente, la chitarra era irreversibilmente scordata e il mio basso scoreggiava. Mi ricordo che gran parte dei compagni/e di classe non mi rivolse più la parola per almeno 5-6 mesi. Pensavano fossi un malato di mente. Forse avevano ragione!
[Ghallonz] Cazzo, sedici anni. A volte ci penso e rido dalla malinconia. Era il 1995 e sui banchi di scuola io e Sarta pensavamo di mettere su una band. Lui aveva comprato un basso Yamaha per mancini, a Natale ’94, e Kurt Cobain s’era fucilato in volto.
Ma la spinta motivazionale, almeno per me, era un’altra. Avevo sedici anni, ed all’inizio forse mi misi in mezzo un po’ per gioco, un po’ sperando che la cosa facesse colpo sulle portatrici sane di vulva che mi circondavano. Poi, gradualmente, mi resi conto che c’era un motivo diverso a spingermi a prendere quel microfono in mano, abbandonare le cover dei cazzo di Nirvana e scrivere dei testi io, ogni lunedì sera fare il bravo bambino per penetrare all’oratorio della Bovisa, attaccare i cavi e far sanguinare la laringe…
Volevo gridare. Sic et simpliciter: Gridare. Volevo che chi avevo di fronte ascoltasse cosa avevo da dire, come la pensassi, non essere trattato come il nerd sfigato, asociale, emarginato che ero sempre stato. Non me ne fregava più davvero un cazzo di fare i capelli verdi per essere un fan dei Rancid o dei Nofx, no, volevo esprimere 101%ODIO da ogni poro ed i capelli verdi li facevo perché cantavo io. Perché su quel pulpito volevo salirci io. Perché volevo sbraitare sputacchiando infervorato in faccia alle succhiacazzi pigliainculo puritane pulitine, ai tabbozzi imbottiti ras delle strade di Bruzzano, ai fighetti effemminati in jeans e camicia che ti guardavano come fossi un barbone ma a puzzare di sudore poi erano i loro testicoli, ai professori passivi e subdoli, senza spina dorsale, al mondo ipocrita e benpensante. Volevo spiegare al mondo intiero che era finita, che gli avrei spaccato il culo finchè non sarebbe cambiata, speravo davvero di potere tutto con un semplice grido, a sedici anni.
[Puj] Di quell’oscuro periodo è sopravvissuta una cassettina demo, registrata in un’ora e mezza, ovviamente in presa diretta, con un microfono piazzato al centro della sala prove; si tratta dell’unica release ufficiale dei 101% odio, stampata (si fa per dire) in un centianio di esemplari. L’artwork realizzato a mano, con forbici, colla e scolorina, poi fotocopiato dal cartolaio. Musica di un’altra era? Titoli come “In culo alla legge” e “T’ammazzo la mamma” sono classici senza tempo, inni per nerds disadattati e teppisti brufolosi. Il demo-tape “101% Odio” costava 5.000 lire, ora lo potete scaricare da qui sotto… gratis, naturalmente!

101% ODIO demo-tape tracklist:

1. Dai vieni fuori [1:01]
2. In culo alla legge [2:17]
3. Odio la gente [2:23]
4. Urlo dal fondo [2:22]
5. I hate people (*cover degli Anti-Nowhere League) [2:05]
6. T’ammazzo la mamma [2:03]
7. Omologazione [1:28]
8. Punk’s not dead (*cover degli Exploited) [0:52]
9. Tamarro [1:09]
10. Nazi fuck off! [1:26]
11. Alternative (*cover degli Exploited) [1:23]
12. Follia [2:20]
13. 101% Odio [3:04]

>>> Download 101% Odio demo-tape + artwork + flyer (file RAR - 66 mb.)

[Sarta] Il secondo concerto dei 101% fu tutta un’altra cosa. Un pomeriggio ci giunge la chiamata di un certo Toni, fonico del Laboratorio Anarchico, che ci chiede se avessimo voglia suonare, un sabato sera di lì a poco, con gli Alterazione da Messina e i Frammenti da Torino. Sissì! gli diciamo noi. Avremmo scoperto solo anni dopo di aver diviso il palco del nostro primo concerto “serio” con due bands storiche!!! La nostra prestazione fu onesta: per essere 4 babbei, ce la cavammo più che dignitosamente. Un punkabbestia con la toppa degli Oi Polloi ci fece molti complimenti, anche se ricordo che ci contestò la scelta di fare una cover degli Indigesti (“Sogni a doppie vie”) e degli Exploited (“Alternative”) nello stesso live. Mi chiedo ancora cosa volesse intendere… Gli Alterazione suonarono un’ora e passa: ottimo show, già conoscevamo le loro canzoni, visto che avevamo scambiato materiale con il cantante Antonio. Verso le 2 di notte iniziarono a suonare i Frammenti, un gruppo a me all’epoca totalmente sconosciuto: folgorazione! Ricordo che c’era un casino di gente e un pogo selvaggio. Mi rimase impressa nella mente l’immagine di quei cinque che mostravano una straordinaria sicurezza sul palco, parlavano col pubblico e lo insultavano pure perché gli chiedeva delle canzoni che non volevano fare. Molto divertenti i siparietti in cui un chitarrista diceva all’altro di accordarsi e suonare meglio, insultandolo palesemente. Quell’atteggiamento, ad dire il vero un po’ snob, mi colpì moltissimo: eppoi che razza di modo di cantare era quello ? Che testi strani, mai sentito nulla di simile. Si può fare una cosa del genere ??? Naturalmente, quella sera, acquistammo tutti i dischi dei Frammenti: realizzai molto più tardi l’importanza che quel gruppo ebbe sul mio modo di concepire la musica.
[Puj] In quel periodo eravamo soliti trascorrere i nostri sabati sera al Laboratorio Anarchico di via De Amicis, a Milano: si trattava di uno stabile lurido, occupato da anarchici e punx, dove si organizzavano spessissimo concerti; un tugurio, umido, sgarrupato, frequentato dalla peggio gente e del tutto inospitale, ma su noi pivelli esercitava un fascino indescrivibile. Lì viveva la postina Patti, quella che poi venne imputata per la bomba esplosa a Palazzo Marino; lì passavano gruppi incredibili da tutto il mondo; lì si trovavano le distro con i dischi più crasti e rumorosi; lì c’erano sempre punkabbestia ubriachi e molesti con cui parlare senza capirsi. Nell’estate del 1997 il Laboratorio fu sgomberato: in quattro e quattro otto i punx si ritrovarono col culo sul marciapiede, le bandiere nere furono ritirate dalle finestre e l’entrata murata. Oggi, dopo il restauro, è un lussuoso stabile nel cuore della zona alternative-chic della Milano da pippare, costellata di localini trendy per bocconiani e boutique ultra-fighe che vendono vestiti a prezzi davvero poco fighi. I tempi del Laboratorio sono lontanissmi. Un pezzo della nostra giovinezza è svanito per sempre!……
Tornando ai 101%, bisogna ammettere che la loro carriera concertistica non fu così spregevole come si può immaginare: pur essendo un gruppo di sfigati, suonammo in alcuni dei principali c.s.o.a. dellla città ed anche un po’ fuori….. Nell’archivio scaricabile (da qui sotto) troverete una raccolta di materiale live dei 101: alcune mostruose tracce audio registrate chissà dove, un video girato nella cantina dell’oratorio e diversi flyer. Che dire: cento uno per cento odio contro la musica!

>>> Download 101% Odio - Archivio 1995-1997 [mp3/mpeg/jpeg] (file RAR - 50 mb.)

[Ghallonz] Merda, ventotto anni. Ventotto anni ed in mano non ho un cazzo, a parte il mio. Ventotto anni e sono ridotto a vivere ai margini di un sistema, certo in maniera agiata, ma ai margini. Ridotto a suonicchiare tre note di synth nei Kalashnikov. Ridotto a tenere insieme con il nastro adesivo e la pazienza dell’attesa i SE77EVOL7ERONIN. Stringo sabbia nelle mani, e la brezza sussurra di rassegnarmi, perché io non posso niente. Niente di grosso, perlomeno. Sono un perdente che ha perso. Scrivo, lo faccio da solo, e mi par di riassaporare un vecchio sapore, è una specie di ricordo alla ricerca del tempo vissuto, una madeleine acre come l’umore vaginale. Ho vissuto un’era in cui io ero il mio dio, non nell’accezione autoidolatrante del narcisismo, ma in quello della volontà di potere, del potere di volere. Ho vissuto un’era in cui potevo tutto e sentivo di stare creando qualcosa. Quell’era si chiamava 101%ODIO. Viverla fu sangue e sudore, rabbia e dolore. Ma dolce.
È giusto tributargli ciò che fu suo. Ed è giusto, credo, malinconicamente portarsi sempre dentro quegli splendidi momenti insieme, io, Sarta, Puj, Boia (che poi era Rissa). Ma per rispetto a quegli anni, ora devo andare avanti. In quegli anni, cominciò la mia caduta. Ora, devo completarla e, come Bruce Lee, usarla come slancio per il prossimo attacco.
[Sarta] Concludiamo questo ex-cursus sulla storia del 101% Odio, misconosciuta band della nostra gioventù bruciata, con una raccolta di “materiale postumo”: da qua sotto è scaricabile una registrazione effettuata nell’autunno del 2004 da me e da Ghallonz, in maniera totalmente autarchica; ci tenemmo a farla, per avere almeno un ricordo di quelle vecchie canzonacce crustose, appartenenti all’ultima fase di vita della band, scioltasi nel 1999 un po’ per scazzo e un po’ perché i Kalashnikov incombevano all’orizzonte… Buon ascolto !

101% Odio – Antologia postuma tracklist:

1. Senza via d’uscita [2:01]
2. Autorità = Morte! [1:01]
3. Inquisizione [2:20]
4. Tre chiodi [1:57]
5. Neve nera [1:29]
6. Polizia di merda [1:46]
7. Stupida pedina [0:25]
8. Indelebile Sangue di Guerra [1:39]
9. Radikale [1:43]
10. Finirà mai? (*cover dei Wretched!) [1:04]

09/10/06

[Album]
KALASHNIKOV – Gashadokuro (2006) – 6 tks.
“Mentre cercava di dormire fu svegliato da un gemito proveniente da un punto molto vicino; la voce si lamnentava in continuazione, dicendo di provare un forte dolore ad un occhio. Quando giunse l’alba si guardò in giro, ma trovò soltanto un teschio con una delle orbite vuote attraversata da una canna di bambù...”. Quando i rancori dei morti sprofondati nelle paludi della guerra si accumulano fino a trasudare dalle tombe, allora si addensa uno spirito chiamato Gashadokuro (taschio-bambino) che nel buio assale gli uomini e non li fa sognare. Antica leggenda giapponese.
Gashadokuro non è esattamente un album dei Kalashnikov, ma di una parte del collettivo che si è voluta servire di una forma espressiva differente per dipingere in musica. In guardia: si tratta di un disco molto cupo, del tutto nero. Io, Sarta e Don, sfruttando un periodo solitamente poco intenso per l’attività del gruppo (le feste natalizie!) ci siamo rinchiusi nello studio casalingo e, con l’aiuto di marchingegni elettronici di vario tipo, abbiamo sintetizzato un linguaggio per noi assolutamente inedito. I titoli raccontano la musica, ma la musica potrebbe raccontare molto più dei titoli che le sono stati attribuiti, a patto che ciascuno di voi/noi approfitti dei secondi, dei minuti che scorrono sul display per immaginare. Musicalmente, Gashadokuro è come un pezzo dei Discharge rallentato e dilatato all’infinito; come un disco grind-core senza ritmo. Abbiamo voluto trattare il tema della guerra, come fanno comunemente tantissime crust-band, ma con un linguaggio differente. Le due foto che compongono la copertina e il retro del disco fanno parte di una sequenza scattata in Vietnam dal fotografo inglese Larry Burrows; come il suo maestro Robert Capa, anch’egli morì in territorio di guerra, in Laos nel 1971. La sequenza ritratta mostra l’uccisione del pilota di un elicottero statunitense ad opera dei Vietcong. L’orrore irrompe nel qui e nell’ora dei soldati attorno... [Puj].

Gashadokuro tracklist:

1. Overture: una trincea di sangue [10:57]
2. Le stelle si staccano dal cielo [6:05]
3. Requiem: solo allora capirai che potevi far qualcosa... [6:20]
4. I passi di danza della principessa cannibale [7:19]
5. Il freddo involucro della bomba H [7:53]
6. Departure: fantasmi di una guerra qualsiasi [3:21]

>>> Download KALASHNIKOV “Gashadokuro” album (file RAR – 100 mb. circa)

03/10/06

[Fanzine]
NAPARTACHILI # 5 (Russia - 2005)
Nella nostra vita di D.I.Y.-trader poche volte ci è capitato di imbatterci in una fanzine come Napartachili! Un esempio di artigianato punk davvero terminale: copertina in cartone da imballaggio tagliato alla cazzo, tenuto insieme da una fascia di juta incollata; sul davanti un dipinto a spray, fatto con lo stencil. Il tutto rilegato con ago e filo! Napartachili è arte D.I.Y., mica stronzatine fotocopiate dal cartolaio! Comunicazione punk a tutto tondo, senza esclusione di colpi. Il numero cinque, che potete scaricare qua sotto, contiene un’intervista ai Kalashnikov; se avete dimestichezza con il russo...
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27/09/06

[Live report]
5 agosto 06 @ J.U.Z. (Bingen – Germania)
KALASHNIKOV (I) + ESTRELLA NEGRA (D)

A Bingen, letteralmente, sbarcammo. Nel senso che ci arrivammo a bordo di una chiatta guadando il Reno, in compagnia dei nostri amici TomFlex, Sonja e Frank. TomFlex è il papà di tutti i punx della regione, è alto due metri, suona in una chaos-band di nome BILDungslucke; Sonja è la sua ragazza, è incantevole, anche se apre le bottiglie di birra con i denti; Frank, infine, è un simpatico tedesco che cucina molto bene e ride sempre. Non dimenticheremo mai questo romantico trio che ci accompagnò nel nostro ultimo tour in Germania: si presero cura di noi con dedizione commovente! Tom è un insospettabile fan dei Kalashnikov (dietro a quel lurido giubbotto borchiato allora si nasconde un cuore!); lo conoscemmo l’anno precedente quando, per la festa del suo trentaseiesimo compleanno ci invitò a suonare a Mainz, poco distante da Bingen (fu un concerto delirante: suonammo davanti a duecento punkabbestia, chiusi in una forno crematorio). Sonja è una biondissima tedesca con gli occhi di ghiaccio e la scritta “Spass” (spasso) tatuata sulle nocche. Insieme fanno una coppia da romanzo pulp. La giornata non era iniziata un granché bene: dovevamo ripulire la fiancata del furgone dal vomito di Ghallonz (risalente alla sera prima). Una volta espletata questa abominevole incombenza, la situazione migliorò. Quel pomeriggio, Tom insistette per portarci in un paesino sul Reno, tremendo luogo di sollazzo per tedeschi anziani, che lui riteneva essere very funny. Fu in effetti molto funny vedere un gigante con due creste colorate farsi strada lungo una folla di decrepiti turisti da comitiva nelle vie zuccherose di quella località di marzapane. Una specie di San Marino delle favole, con negozi di souvenir demenziali! Baffuti musicisti da piano bar, addobbati alla bavarese, con l’inconfondibile taglio di capelli germanico (corto davanti/lungo dietro), ci intrattennero mentre sorseggiavamo litri di vinello tedesco.
La sera prendemmo il traghetto per raggiungere l’altra sponda del fiume, sulla quale sorge Bingen. Lo
J.U.Z. (in Germania, “juz” è più o meno come dire “centro sociale”) si staglia lungo la riva, oltre la ferrovia, sopra una leggera altura: che posto incantevole! Il tramonto lo rese ancora più suggestivo. Mentre tracannavo una birra sgasata in attesa di mangiare, osservavo il panorama: il fiume placido, gli alberi scossi dal vento, il sole che scompare dietro le alture, i plotoni di zombie ubriachi con la cresta colorata che si fanno innanzi scalando la collina... ah, che bello.
Poi, interrompendo l’incanto, qualcuno mi chiamò: era ora di cena! Gnam, gnam!

[Food, not bombs!]
BRETZEL CON SALSA AL FORMAGGIO DI VALLE DI RENO
[Annalisa] Dopo il Knodel... il Bretzel! Altrà amenità tedesca, è un biscottone salato un po’ stopposo. Gli chef chaos-punk di Bingen lo hanno servito accompagnato da una saporita salsa al formaggio, temibile specialità della zona. La ricetta è vegetariana, ma non vegana, in quanto, come avrete capito, contiene latticini.
Ingredienti per la preparazione del Bretzel: una bustina di lievito attivo e secco, un bicchiere e mezzo di acqua calda, quattro bicchieri di farina, un cucchiaino di sale, uno di zucchero, sale grosso, latte.

In una ciotola, sciogli il lievito nell’acqua calda; aggiungi il sale fino, lo zucchero e la farina. Lavora l’impasto fino ad ottenere un composto omogeneo (ci vorranno circa 8 minuti). Copri la terrina con uno strofinaccio e fai lievitare l’impasto finché non diventa il doppio di prima. Stendi l’impasto col mattarello; taglialo in piccoli pezzi, fanne dei biscioni di circa 30 cm., incrocia le estremità (se non hai mai visto un bretzel, osserva la foto qui a fianco!); metti i tuoi serpentoni arrotolati su un foglio di carta da forno unto, spennellali di latte (o uovo) e cospargili col sale grosso. Lasciali lievitare finché non assumono un aspetto gradevole, inforna a 220 gradi per 15 minuti. Intanto che aspetti che i Bretzel cuociano, prendi 225 g.di formaggio (gruviera o fontina), 80 g. di burro, 2 cucchiai di brandy e un po’ di pepe. Frulla tutto finché non ottieni una crema degna di tale nome. Togli i bretzel dal forno e annegali nella crema al formaggio. Guten Appetit!

[Puj – continua] Tom ci disse che sarebbe stata una bella serata dato che i punx della zona si sarebbero tutti riversati al concerto. D’altronde, sottolineò, a Bingen e dintorni “non c’è un cazzo da fare”. Il concerto fu realmente frizzante, con la sala piena di freaks e punx che sballonzolavano fuori ritmo ed avidi succhiavano la birra dalle bottiglie. Aprirono gli Estrella Negra, giovani abbestia con buone idee sulla musica. Si ballò fino a tarda notte, fummo presi in ostaggio dagli indigeni e restammo sul palco per ore. Ne fummo davvero felici, anche se, dopo giorni di rovina h.c. totale, non ci reggevamo più in piedi. Finito il concerto, tornammo alla base, la cittadina di Wiesbaden: Tom, Sonja e Frank vollero festeggiare l’ultima sera insieme, con nuove cascate di birra e Jegermeister (in quella regione l’amaro da matusa che noi tutti odiamo è considerato una fresca bevanda per giovani contro il sistema). Ci recammo al solito Kebab all’angolo aperto tutta la notte. Tom ci insegnò una parola tedesca che indica un concetto non facilemente traducibile nella nostra lingua: gemutlichkeit. “Star bene insieme”, ma con un senso di comodità, condivisione e amicizia tutto particolare. Che per i tedeschi significa bevendo tantissima birra e Jegermeister, credo. Comunque sia (e a parte gli scherzi), una parola davvero appropriata per indicare l’ospitalità che ci dimostrarono i nostri tre indimenticabili amici. Gemutlichkeit? Gemutlichkeit!
Quella volta andai a dormire alle 5 del mattino; sognai che quattro ore dopo avrei dovuto prendere il furgone e guidare per 700 chilometri verso Milano. La realtà si discostava solo in parte dal sogno, ma con una differenza sostanziale: a guidare avrebbe pensato Jonny, il nostro disumano driver, che si bevve Wiesbaden-Milano in un sol sorso, ruttando sonoramente al casello d’arrivo. Ma noi, nel frattempo, spalmati sui sedili del furgone come sottilette sudate, eravamo rapidamente ripiombati nel mondo dei sogni abbandonato poc’anzi, tutti contenti e soddisfatti per quest’ennesima esperienza di rovina targata Kalashnikov collective. Yaaaaaaaaa!
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12/09/06

[Live report]
15 maggio 05 @ K.T.S. squat (Freiburg – Germania)
KALASHNIKOV (I) + THE AUDIENCE (D) + KATZENSTREIK (D) + AM THAN (D)

[Puj] La nostra trasferta a Friburgo fu molto divertente. L’amico Ingo del centro occupato autogestito K.T.S. ci invitò a partecipare ad un soli-party per uno squat di Bendung, in Indonesia. L’incasso della serata sarebbe stato devoluto a favore dei punx indonesiani: una somma di euro anche modesta, tradotta nella valuta locale sarebbe risultata ben più che una cifra simbolica. I compagni tedeschi ci hanno insegnato un modo intelligente ed innovativo di fare solidarietà all’interno della scena globale.
Situata ai bordi di ciò che resta della Foresta Nera, non troppo distante dalla Svizzera né dalla Francia, Freiburg-am-Breisgau, oltre ad essere una vivace cittadina universitaria con una popolazione di 28.000 studenti, vanta anche il titolo di capitale ecologica della Germania grazie ad un rarissimo esempio di amministrazione comunale illuminata che si è posta quale priorità la tutela dell’ambiente: una vasta fetta del centro è chiusa alla circolazione automobilistica, la città è dotata di numerose piste ciclabili, entro il perimetro urbano non si possono superare i 30 km/h... Anche e soprattutto per questo Friburgo è molto vivibile e graziosa. La consiglio ai punx che vogliano trascorrere un romantico week-end! Pare, infine, che nella regione circostante si produca dell’ottimo vino; dal canto nostro si è preferita la birra: tanta, annacquata e non precisamente fredda, come piace in Germania. Come si sà ogni città/regione tedesca è fiera di possedere un proprio birrificio e nessun autoctono beve altra birra che quella prodotta localmente. Friburgo non fa eccezione: qui c’è la Rothaus pils, sulla cui etichetta troneggia un’incantevole signorina che porge non uno, bensì due boccali di birra schiumosa!
Il K.T.S. sorge in un edificio occupato poco fuori dal centro, in cima ad una collinetta. Sopraggiungemmo nel bel mezzo dei preparativi per una manifestazione antifascista che si sarebbe tenuta il giorno successivo; mi ricordo che alcuni freaks si presentarono nel piazzale alla guida di un automezzo gigantesco, a metà strada tra un camper ed un carro armato, tipico mix di fantasia e di gusto germanici: un camion militare della II guerra mondiale sopra al quale era stata “incollata” una vecchia roulotte! Aaaaaargh!
Quella sera suonammo con i The Audience di Norimberga (emo-rock con hammond vintage molto cool; giovanissima età, grande coesione ed incredibile precisione esecutiva! Sarta, che ci aveva dato dentro con la Rothaus pils, chiacchierò a lungo di papa Ratzinger col barbuto cantante, anch’egli molto provato dalla bionda bevanda. I due non si capirono granché, ma risero moltissimo), i KatzenStreik di Francoforte (emo-core adulto e progressivo) e, a chiudere, Am Thawn (post-rock). Noi, allegrissimi e spensierati, suonammo una buona rovina h.c. al pomodoro. Milena rimorchiò un motociclista tedesco in pelle nera. Come sempre accade in Germania, l’ospitalità fu davvero calorosa (lattine alzate per brindare alle ragazze e ai ragazzi del KTS!), con birra e cibo in quantità. A proposito! Ecco cosa si cucinò quella sera...

[Food, not bombs!]
KNODEL DOPPIO SUGO (con brodo di funghi e crema bortsch)
[Annalisa] Il knodel! Tipica pietanza austriaca, ma molto diffusa anche nella Germania meridionale, il Knodel è un uno gnocco gigante fatto col pane secco e la farina. La ricetta in questione, così come consigliano gli chef chaos-punk di Friburgo, prevede che i knodel, bolliti nel brodo, vadano serviti lisci, poi accompagnati a scelta di ciascuno con uno dei due condimenti, ovvero: il brodo di cottura ai funghi per chi ama i sapori più delicati, un bortsch (specialità russa) per chi ama gusti più esotici, ed in particolare i film horror (il bortsch è una crema di barbabietole che assume l’aspetto di una scodella di sangue...). Naturalmente si tratta di una ricetta vegana, che non prevede cioé ingredienti di origine animale.
Preparazione dei knodel e del brodo di funghi:
in una ciotola impastare 350 g. di mollica di pane secco sbriciolata con 100 g. di margarina morbida; incorporare un quarto di latte di soia tiepido e 100 g. di farina, un mazzetto di prezzemolo tritato, sale, pepe e coriandolo. Lasciar poi riposare l’impasto per 30 minuti. Con le mani umide, impastare gnocchi tondi di circa 5 cm. di diametro. Se l’impasto non funziona, aggiungere latte o farina finché non si ottiene una consistenza ottimale. Cuocere i knodel per 20 minuti in 1 litro e mezzo di brodo vegetale ben caldo, con l’aggiunta di funghi a fettine.
Preparazione della crema bortsch:
Pelare 3 barbabietole crude e tagliarle a dadini; raschiare 250 g. di carote e tagliarle anch’esse a dadini. Sbucciare e affettare due cipolle e due coste di sedano. In una pentola, fondere 50 g. di margarina e mettere le verdure a fiamma moderata, facendole rosolare per 15 minuti, mescolando frequentemente. Aggiungere un litro e mezzo di brodo vegetale e tenere a fiamma bassa per altri 20 minuti. Setacciare il tutto per ottenere una crema uniforme e servire, se si vuole, con l’aggiunta di patate lessate e rametti di aneto.
Servire i knodel su di un piatto di portata: a scelta ciascuno potrà poi condirli con il brodo ai funghi o la crema bortsch. O con qualsiasi altra cosa. Buon appetito. Aufidersen! Dasvidania!

06/09/06

[Start!]
IL QUARTIER GENERALE DEL KALASHNIKOV COLLECTIVE!
Parte da qui il blog/diario del collettivo trasversale milanese Kalashnikov. Musica D.I.Y. per romantici punx dal 1996, con tre l.p. e un e.p. autoprodotti che sono interamente downloadabili poco più sotto; poi piccola label/distro, inattiva da qualche tempo, che aspira a risorgere in una nuova veste free, al passo con i tempi oscuri in cui viviamo; infine presenza instabile, nel tessuto sgualcito della nostra città, con traballanti imprese documentaristiche sotto lo pseudonimo di Epicentro Sismico Metropolitano. Wow.