John Zerzan - "Apocalittici o liberati? Che cos'é il primitivismo" (2004) [Puj] Nel 2010, Mimesis edizioni ha dato alle stampe il monumentale saggio "Liberi dalla civiltà" di Enrico Manicardi (negli anni '80, chitarrista della h.c. band modenese Infezione), una vera e propria summa epocale del pensiero primitivista ed eco-radicale anarchico. L'introduzione al volume é a firma di John Zerzan, uno dei protagonisti teorico-concettuali dell'opera di Enrico. Ieri, da sotto una pila di libri, ho riesumato un vecchio libretto edito da Stampa Alternativa intitolato: "Apocalittici o liberati? Che cos'é il primitivismo", una raccolta di interviste a John Zerzan che rappresenta, secondo me, uno dei testi di introduzione più chiari ed efficaci al pensiero del filosofo americano. Le interviste risalgono alla fine degli anni '90 e vertono su vari argomenti come tempo, alienazione, divisione del lavoro, tecnologia, terrorismo e anarchia. Il senso nel quale marcia il pensiero di Zerzan è questo: si parte dalla constatazione che la nostra civiltà tecnocratica ha preso una piega autodistruttiva, per ricercare nel passato più o meno lontano dell'umanità i segni d'inizio della catastrofe e le tracce di un'originaria libertà dai gioghi della moderna organizzazione sociale. "Direi che l'anarchismo é il tentativo di sradicare ogni forma di dominio. Questo non include solo alcune forme ovvie come lo stato-nazione e la società commerciale, ma anche alcune forme di autorità interiorizzate quali il patriarcato, il razzismo, l'omofobia. [...] E ancora l'anarchismo é il tentativo di guardare anche in quelle parti della nostra vita quotidiana che noi diamo per scontate, come elementi del nostro universo, per vedere come anche queste ci dominano o facilitano il nostro dominio sugli altri".
PARANOIA (U.k. anarco? punk) - Shattered glass (Lp - 1984) [Puj] Ecco a voi un maleodorante reperto del punk inglese degli anni '80, davvero raro e misconosciuto. Chissà mai che ci sia in giro qualche pervertito come me che trovi entusiasmante roba ammuffita e fuori moda come questa... I Paranoia nacquero a Stock-on-Trent nei primi anni '80 (stessa cittadina dalla quale provenivano i Discharge) e si sciolsero nel giro di pochi anni, dopo un 7" e un lp per la Rot records (label di profilo minore del punk inglese che pubblicò i dischi di gruppi un po' scrausi come Resistence 77, Enemy e English Dogs). Nessuno ne sentì mai la mancanza, tanto che le notizie riguardanti la band sono attualmente scarsissime. Pare che i Paranoia non facessero parte del giro anarchico e che fossero piuttosto vicini alla generica scena punk dell'epoca. Musicalmente però, rappresentano un incrocio (miracolosamente riuscito) tra Crass, Rubella Ballet e Souxsie and the Banshees. L'andamento marziale e le chitarre scarnificate sono indubbiamente quelli tipici dei dischi anarcopunk, mentre il cantato e le atmosfere si orientano verso una specie di dark-gothic dei poverissimi. Attenzione! I testi sono politicizzati! Inquinamento, nucleare, guerra, controllo sociale... In sostanza, "Vetro infranto", datato 1984, è un piccolo capolavoro di punk distopico e, ovviamente, paranoico. Avanza, solco dopo solco, sul filo del rasoio, suona freddo e scintillante, ben calibrato tra le velleità politiche e quelle estetiche. Qualcuno potrà obiettare che la cantante é stonata e gli altri sembrano aver imparato a suonare il giorno prima... beh, non lo si potrebbe certo biasimare, ma... questo é il punto: se avessero saputo suonare meglio il loro sound sarebbe stato probabilmente più stereotipato! Invece così é bello sbilenco e originale...
Margaret Killjoy - "Miti e Molotov" vol. 1 & 2 (Collane di Ruggine 2010) [Puj] Qualche mese fa uscivano questi due bellissimi volumetti stampati dai tipi di Collane di Ruggine e distrubuiti nel circuito d.i.y.: cinque interviste rivolta da Margeret Killjoy, fondatore dello Steampunk magazine e autore della "Guida steampunk all'apocalisse" (Agenzia X 2008), a scrittori di fantascienza di fama internazionale sul tema dell'anarchia. Per un appassionato di letteratura fantascientifica, non c'é niente di meglio che ascoltare personaggi come Alan Moore, Ursula Le Guin e Michael Moorcock parlare di anarchia e raccontare il loro modo di essere anarchici. Alan Moore ("V per Vendetta", "Watchmen"), per esempio, ci dà una geniale definizione della differenza tra fascisimo e anarchia: "Il fascismo è la rinuncia più completa alla responsabilità personale. Si cede allo stato tutta la responsabilità delle proprie azioni nella convinzione che l’unione faccia la forza, secondo la definizione del fascismo rappresentata dall’antico simbolo romano del fascio di rami legati insieme. Già, è un argomento molto convincente: “L’unione fa la forza”. Ma inevitabilmente poi si tende a concludere che il fascio sarà più robusto se tutti i rami saranno della stessa forma e dimensione, se non ci saranno elementi deformi o ricurvi che turbano l’ordine del fascio. Quindi da “l’unione fa la forza” si passa a “l’uniformità fa la forza”, e come abbiamo visto in tutto l’arco del XX e in questo inizio di XXI secolo, da qui agli eccessi del fascismo il passo è breve.Invece l’anarchia parte quasi dal principio per cui “la diversità fa la forza”, un principio che appare molto più sensato se si guarda al mondo naturale. La natura e le dinamiche dell’evoluzione non hanno ritenuto opportuno seguire il criterio per cui “l’unione e l’uniformità fanno la forza”. Vogliamo parlare delle specie più resistenti? Allora parliamo di pipistrelli e scarabei: di pipistrelli e scarabei ci sono migliaia di varietà differenti...". L'apporto alla causa anarchica fornito dalla letteratura fantastica e del fumetto non é da sottovalutare, ed anzi é da considerare una fonte fondamentale d'ispirazione soprattutto per chi é più giovane. E' più facile che un ragazzo di quindici anni si avvicini all'anarchia a partire da un saggio di Naom Chomsky o da un fumetto di Alan Moore? Qui sotto trovate entrambi i volumetti di "Miti e molotov" in .pdf e vi consiglio, una volta letti, di andarvi a recuperarare in qualche bancarella o biblioteca alcuni epocali romanzi di fantascienza anarchica come "I reietti dell'altro pianeta" di Ursula K. Le Guin o "Straniero in terra straniera" di Robert A. Heinlein!
LIBERTY (U.k. anarcopunk 1984 - 1986) - Complete discography [Puj] Conoscete qualche gruppo punk con tanto fegato da iniziare un album con una sonata di pianoforte e una ballad per chitarra acustica e voce? Io conosco i Liberty di "People who care are angry" (1986), uno dei più entusiasmanti album dell'anarcopunk inglese. "People who care are angry" si apre proprio con una emozionante poesia recitata su una base di piano e sassofono dal titolo di "Who really care?", seguita da "Revolution time", un pezzo folk in classico stile da canzoniere anarchico, eseguita da un cantante anarco-sindacalista di Dartford. Poi, naturalmente, partono i pezzi punk: canzoni di protesta con un filo di melodia mai banale ("Up for sale"), arricchite da strepitose partiture di fiati ("Determine your destiny" e "Stand and fight"), sax e flauto a traverso ("Your life is ticking away"). Se amo l'anarcopunk inglese é grazie a questi dischi pieni di idee e desiderio di comunicare, dove é evedente la volontà di rompere gli schemi e, seppur con povertà di mezzi, di scrivere grandi canzoni. I Liberty si formarono a Dartford, vicino a Londra nel 1982. La parabola della band é la stessa di molte altre dell'epoca: le prime prove nella sala parrocchiale, i primi concerti scassati, le prime trasferte in treno (perché senza patente), i contatti intessuti con alcuni gruppi più noti (in questo caso i Conflict) che fruttano incisioni discografiche e tour, e infine l'entusiasmo che scivola giù dalle tasche bucate quando ci si ritrova senza un soldo e circondati dal disinteresse della gente. L'eclettismo della band era specchio di una volontà cosciente di uscire dal ghetto dell'anarcopunk per raggiungere persone al di fuori di esso ma con idee comuni, e di trasmettere, attraverso una musica selvaggia e creativa, un'idea di libertà dai dogmi e di commistione tra culture diverse. Politicamente piuttosto attivi, i componenti dei Liberty parteciparono ad azioni dirette contro l'industria della carne e dello sfruttamento animale, suonarono spesso in benefit per disoccupati e per l'Animal Liberation Front. Andando a ritroso nel tempo, la discografia dei Liberty consta del già citato "People who care are angry" pubblicato nel 1986 quando la band si era già sciolta, di un 7" per la Mortarhate dei Conflict (1985) dal titolo "Our voice is tomorrow's hope" (assolutamente folle il retrocopertina che ritrae un tipo che assomiglia a Bruce Lee assestare una mossa di kung-fu ad uno sbirro flaccido e barbuto che sembra uno dei Village People, e intorno la scritta: "C'è un nemico e uno steccato che ci divide: tu da che parte stai?") e di una cassetta prodotta nel 1984 intitolata "Wake up!", prima registrazione della band (va ammesso che cassetta e 7" sono decisamente meno interessanti dell'ellepì). Trovate tutto nell'archivio scaricabile da qui sotto!
Ben Bova - Turisti (racconto - U.s.a. 1973) "Poco ci è mancato che il mio cuore impazzisse dalla gioia quando cominciai a scorgere sul lontano orizzonte le nuvole scure che contrassegnavano New York. Papà fece quel sorriso che significa eh, io lo sapevo! vedendomi spiaccicare il naso contro il finestrino dell'aereo nello sforzo di vedere...". Mini-racconto distopico di Ben Bova, scrittore di sci-fi incredibilmente prolifico. "Turisti" (tit. originale: The Sightseers) é tratto da un'antologia intitolata "Le città che ci aspettano", incentrata sul collasso delle moderne metropoli. Un filone della fantascienza anti-utopica particolarmente in voga negli anni '70: come sempre, le epoche di maggior crescita e sviluppo di un determinato sistema (in questo caso, la matropoli) sono caratterizzate dalle prefigurazioni paranoiche del suo imminente declino. Ah, la città distrutta: un must per tutti crusties! Lettura crust consigliatissima a chi voglia approfondire la conoscenza del genere: "La morte di megalopoli" di Roberto Vacca (1974), la fredda cronaca di un collasso metropolitano definitivo. Spazzatura fanta-sociologica di prim'ordine! >>> Download Ben Bova - Turisti (1973) [ITA] in .pdf (3 mb.)
27/10/10
[Free music for punx]
BERURIER NOIR (anarcopunk Paris, France) - Concerto pour Détraqués (Lp - 1985) [Puj] Malgrado numerosi spazi occupati, una cultura d.i.y. diffusissima e un’antica tradizione anarco-libertaria, la scena punk francese è poco frequentata dalle band che girano in tour, le quali preferiscono altri paesi come Germania, Olanda, nonché l’europa dell’est, dove l’entusiasmo per le sonorità estreme è da sempre in crescita. Se suoni grind vai di lusso in Polonia e Repubblica Ceca, per il crust il nord-europa é il massimo. Se la bands europee non considerano la Francia tra le mete più ambite, é vero anche che il punk francese non ha mai prodotto gruppi di spicco che abbiano trionfalmente valicato i confini natii. Attualmente, i francesi non amano molto il crust, l’hc e le robe metal, parecchio in voga altrove, Italia compresa, apprezzando al contrario formule musicali un po' desuete nel resto del mondo. Per comprendere perché i gusti dei francesi siano così diversi da quelli degli altri é necessario indagare nel passato del punk francofono... Un fatto che subito emerge con evidenza é la diffusione, tra le prime e più amate punk bands francesi, di uno strumento atipico, ed anche raccapricciante, in grado di far tremare d'orrore ogni musicista punk degno di questo nome: la batteria elettronica! Mais oui, mon cheri! La drum machine! E'fin da subito che il blasfemo connubio chitarre punk e ritmi sintetici si manifesta: sono i pionieri dell'estetica punk in Francia, i Metal Urbain, a scalare le classifiche nel '77 con il loro garage-rock situazionista su basi di drum machine. Per tutti gli anni '80 e '90 la formula ha trovato numerosi adepti in patria conoscendo un certo successo, grazie a band celebri come i Warum Joe, i Ludwig Von 88 e soprattutto i Bérurier Noir. Proprio di questi ultimi vi parlerò, perché li trovo uno dei gruppi più interessanti della storia del punk francese... Gli squatter parigini Loran, Fanfan e Dedé formano i Bérurier Noir alla fine degli anni ‘70. La storia della band è costellata da episodi leggendari, risse turbinose e problemi continui con le forze dell’ordine. Nei primi anni ’80 i Beruriér si rifiutano di suonare all’interno di un locale dove era stato organizzato il concerto perché il proprietario aveva venduto più biglietti del dovuto e dentro la gente soffocava, così portano tutto fuori sul marciapiede e suonano in strada. Arriva la polizia, carica il pubblico e partono i lacrimogeni. Si racconta che i Bérurier abbiamo continuato a suonare indossando maschere antigas! Nel corso degli anni,la band mostra la tendenza a preferire luoghi non comunemente preposti allo scopo concertistico, improvvisando live in piazze, stazioni della metropolitana e parchi. Nell’85 suonano su un autobus di linea durante una manifestazione di disoccupati ed escono malmessi dagli scontri con la polizia. I Bérurier diventano presto l'incubo dei promoter, perché i loro concerti finiscono spesso in rissa. Nell'86 alcune radio iniziano a trasmettere i loro brani, dando al gruppo una crescente notorietà: in questo periodo la band, che aveva sempre manifestato interesse per i travestimenti, adotta un look carnevalesco implementando la formazione con elementi circensi per animare i propri live. Nell'aprile dell'87 un gruppo terroristico denominato "Black War" piazza una bomba in un ufficio pubblico di Parigi. La polizia e la stampa additano quali responsabili dell'attentato alcuni personaggi provenienti dai circoli libertari di cui anche i Bérurier fanno parte. Le accuse saranno poi ritirate nel giro di pochi giorni, ma bastano ad offuscare l'immagine del gruppo, finché nel 1989, all'improvviso, i Bérurier Noir decidono di sciogliersi a causa, pare, di divergenze politiche tra di loro.
Dopo aver raccontato la simpatica storia dei Beruriér Noir, é venuto il momento di ascoltarli. Oooh, finalmente un po' di sano anarcopunk francofono per chitarra distorta, sassofono e batteria elettronica! Ehi, che fate? Non scappate! Almeno provatelo!!! Vi propongo il secondo (e secondo me più significativo) album dei Bérurier dal titolo "Concerto per squilibrati". Il disco appartiene alla prima fase della storia del gruppo, quella meno circense e carnevalesca, e più sobriamente anarcopunk. I testi delle canzoni raccontano storie molto crude di ragazzi e ragazze di strada ("Racconto crudele della giovinezza"), di scontri con la polizia ("Piccolo esagitato"), di violenza sessuale ("Heléne e il sangue"), di delinquenza minorile ("Vivere libero o morire"). Va segnalato che il genere dei Bérurier ha fatto scuola in patria e (lo dico per esperienza personale) ancora oggi é piuttosto frequente imbattersi in tizi che propongono negli squat francesi (anche da soli sul palco!) thrash-punk con basi pre-registrate e drum machine... >>> Download Bérurier Noir "Concert pour détraqués" LP in .mp3 + art (.rar - 44 mb.)
08/10/10
[Kalashnikov tour reportage]
Fraaance! A settembre di ogni anno, non si sa perché, ci capita di fare un paio di date in Francia. Anche nel duemilaedieci...
1. 24/9: Paris! Solitamente siamo estranei ai luoghi comuni dell’italiano medio, ma, per questa trasferta d'oltralpe, ci lasciamo tentare da un classico tutto italico: la partenza intelligente. In vista del concerto parigino di venerdì decidiamo infatti di partire la sera prima, giovedì, con tappa intermedia a casa del nostro amico Ludò che vive a Feillens, un paesino a nord di Lione. La partenza intelligente per una volta funziona, dato che non incrociamo una macchina per tutti i cinquecento chilometri che ci separano dalla meta e il viaggio scorre liscio come la chioma di un metallaro cosparsa di balsamo. Giunti a casa di Ludo’ nel pieno della notte non sappiamo fare di meglio che ingurgitare birra e sparare cazzate fino alle tre, così la mattina dopo, freschi come carciofi, partiamo alla volta della capitale. Il tempo è una merda completa, piove a raffica, c’è anche una malinconica nebbiolina che profuma di funghi e scampagnata autunnale. Parigi ci appare all’orizzonte sovrastata da un cielo plumbeo che minaccia tempesta. Il traffico della capitale è oltre ogni immaginazione. Aiuto, il semaforo è verde ma non ci si muove di un millimetro! Il tempo trascorso fermi nel traffico ci permette però di riflettere sulla mappa, così almeno questa volta non sbagliamo strada. La Miroiterie è uno squat incastrato tra i caseggiati decadenti del quartiere Gambetta, poco dopo l’ingresso in città dalla Porta di Bagnolet. Un quartiere multietnico, nel quale sorgono una di fianco all’altro atelier di giovani artisti e gastronomie mussulmane con commesse in chadore, club alla moda frequentati da fighetti e bazar di elettrodomestici usati gestiti da indiani baffuti. La Miroiterie è cortile lungo e stretto in fondo al quale si accede ad una sala concerti claustrofobica. Il meglio per i Kalashnikov! Spazio poco = divertimento tanto. Erik, il nostro contatto e factotum, non è un punk, sembra piuttosto un attore di un poliziottesco all’italiana. Ad ogni modo, ci spiega che per ragioni di ordine pubblico il concerto dovrà chiudersi alle 22.00, quindi occorre darsi da fare per montare il palco e fare i suoni. Wow, un concerto che inizia alle sei e finisce alle dieci! E’ un’ottima invenzione, dopotutto, ma non attecchirà mai in Italia. Peccato. Suonare presto è bello perché si è in piena forma e, dopo, resta tutta la sera per rilassarsi e divertirsi. Nel frattempo un giovane punk con la cresta verde ci abborda per realizzare una breve intervista pre-concerto per la sua fanzine. Il ragazzo è davvero determinato e ci conduce in cucina, ove ci stordisce con una raffica di domande statistiche del tipo “Quante canzoni avete scritto?” (!!!), davvero buffe. Ma che cos’è questo profumino? La cena! La torta alle verdure però è un po’ fredda, dunque chiediamo se c’è la possibilità di scaldarla. Un tizio ci spalanca solerte un forno a gas degli anni ‘50 dal quale esce una nuvola di zolfo. Passata la nube, si intravedono le pareti carbonizzate coperte di ragnatele millenarie. Decidiamo di gustare la torta salata a temperatura ambiente, cioè congelata. Sì perché, come sempre, abbiamo sbagliato le previsioni atmosferiche: a Parigi fa un freddo irreale. Pazienza, ci scalderemo con il concerto! Il cartellone della serata è multietnico: ad aprire i Rai Ko Ris, un duo anarcopunk nepalese. Sì, proprio così: Oliver e Sareena arrivano da una cittadina ad un centinaio di chilometri da Kathmandu, la capitale del Nepal, una nazione collocata tra Cina e India, solitamente collegata all’alpinismo estremo sulle cime più alte del mondo, tipo l’Everest. I Rai ko Ris non ci giungono del tutto inaspettati tant’è che già li conoscevamo avendo avuto uno scambio epistolare con loro circa una decina d’anni fa, ai tempi della nostra prima cassetta! Olivier in realtà ha origini francesi, ma vive in Nepal da una ventina d’anni e lì ha formato questa band (originariamente composta da tre elementi): l’unica incredibile punk band anarchica nepalese! Il loro concerto è fantastico, molto intenso, la voce di Sareena é profonda e ispirata, e si muove incredibilmente sicura sul magro sostrato post-punk di chitarra e batteria. Wow! Che emozione! Purtroppo i dischi dei Rai Ko Ris (una folta discografia di cd-r registrati in presa diretta con copertine fotocopiate, venduti in patria a 100 rupie a copia, circa un euro e mezzo) non rendono per nulla l’idea dell’originalità e dell’intensità della musica che la band, in un rapimento quasi religioso, esegue dal vivo. E’ il turno delle Ze Revengers. Le tre montanare mascherate sono anch’esse una nostra vecchia conoscenza, considerato che ci abbiamo suonato insieme varie volte e abbiamo organizzato loro un concerto in Villa a Milano la settimana scorsa! Le Ze sono un ensemble creativo che utilizza vari strumenti musicali estranei alla tradizione punk come viola, sax e violoncello in un contesto radicalmente punk, mescolando la ricerca dell’art-rock all’attitudine anarchica da squatter consumato. Ne esce una specie di grind-core da camera, sinfonie sghembe tra Slits, Poison Girls e Fugazi. Nell’ultimo album “Nous Sommes ici et là“ (un meraviglioso digipack serigrafato e ricchissimo di testi scritti a mano) poi compaiono alcune parti di cantato “operistico” che ricordano gli Art Bears e una intro in pieno stile folk apocalittico. Insomma, un casino. Ma davvero “stimolante”. Noi saliamo sul palco verso le 9.30, l’ora in cui i punx italici sono solitamente davanti allo specchio ad alzarsi le creste con la colla di pesce. Tanti ragazzi e tante ragazze conoscono le canzoni, cantano e ballano, mentre nelle prime file si consuma un pogo forsennato al limite della rissa. Il pogo macho non è mai un bene, anzi è una pratica disdicevole. Perché prendersi a pugni come dei deficienti, quando si potrebbe saltellare gioiosamente gli uni contro le altre? Beh, il risultato è che Milena, a metà concerto, si becca una testata sulle tempie da un gigante metallaro, il quale, dopo averla colpita, esulta come Aldo Serena che ha fatto gol di testa. Ma, come si suol dire: Parigi val bene una rissa. Detto questo, l’atmosfera è molto bella, il pubblico ci invoca a gran voce e noi ci sollazziamo con qualche bis ultra-rovina.
Come sempre dopo il concerto inizia la parte più buffa della serata. La birra scorre e amabilmente si discorre. Ci intrattiene un comico parigino che parla solo francese e pare l’imitatore di Dario Fò. Non capiamo una parola, ma ridiamo esterrefatti. Claudio viene chiuso all’angolo sul divano dietro alla distro e brutalizzato da Dario Fò per cinquanta minuti buoni di barzellette e scenette inconsulte. Un incontro surreale, ma molto gradito è quello con Cinzia, la prima cantante dei Kalashnikov, autrice delle tracce di voce di “Romantic songs of dissidence”, il nostro primo album. Tantissima gente ancora adora quel disco adolescenziale, soprattutto per la voce di Cinzia, la quale, da molti anni, vive a Parigi dove fa la web designer. Tra le altre cose ha comprato casa a 100 metri dallo squat in cui ci troviamo. Bene… dormiremo da lei! Decidiamo a malincuore di declinare l’invito di Erik a casa sua, dove pare si svolgerà un minaccioso disco-party. Spiace, ma l’idea di lasciare il furgone comodamente parcheggiato ed evitare di infilarsi nel traffico parigino per percorrere i venti chilometri che ci separano dal disco-party è troppo allettante. Alle ventitré e trenta gli zombie che ormai popolano lo squat vengono espulsi e i cancelli chiusi. E‘ presto, ma lo stato di fattanza alcolica dei francesi è come sempre egregio. Cinzia ci promette un assaggio della Parigi by night alla ricerca di prelibatezze culinarie per placare il nostro atavico appetito. Troviamo un kebabbaro che ci illudiamo cucini falafel, ma che in realtà alla notizia che siamo tutti vegetariani scoppia a ridere e ci insulta. Ci accontentiamo di un panino imbottito con un tovagliolo di carta al gusto di formaggio. Prima di giungere a casa di Cinzia, avremmo faticato ad immaginare che la sua offerta di ospitalità si sarebbe trasformata in una partita a Tetris. La partita naturalmente la perdiamo e piombiamo in un sonno inquieto. La mattina dopo ci svegliamo chi a forma di L, chi di T rovesciata. Dopo un giretto per il quartiere alla ricerca di bancarelle di vinili ad 1 euro, salpiamo alla volta di Digione…
2. 25/9: Dijon! Ooooh, Les Tanneries di Digione! Ci torniamo dopo due anni ed é un po’ come sentirsi a casa. Tutti i gruppi punk del mondo sono passati almeno una volta in questo mitologico mega-squat francese. Un’area industriale interamente occupata, uno spazio enorme dove l’ospitalità è fantastica. Birrette di aperitivo e quattro chiacchiere con Julia, una ragazza di Rio de Janeiro che ora vive qui, ma che noi avevamo conosciuto in Villa a Milano, durante un concerto il marzo scorso. Pianifichiamo su due piedi un tour in Brasile, gustando patatine aromatizzate alla pizza. Ehi, ma chi si vede! Dave e gli altri componenti dei Preying Hands! Che incredibile coincidenza: stasera condivideremo il palco con la band con cui abbiamo suonato a Montreal, in Canada lo scorso maggio! I Preying Hands vengono proprio da Montreal e sono alla fine del loro tour europeo. Si tratta di una band di formazione recente, ma in realtà alcuni componenti non sono proprio di primo pelo e hanno girato il mondo con la celebre anarcopunk band dei Ballast. Gli altri gruppi con i quali condivideremo la serata sono i The Sioux, Coche Bomba e Tres Puntos. Nel frattempo arriva anche Richard, il nostro fan francese numero uno. Era da un po’ che non lo sentivamo. D’altronde, negli ultimi mesi è stato impegnato in una lunga passeggiata in bicicletta (da Nizza ad Istambul). Appuriamo che è sopravvissuto. Ma il concerto inizia! I “The Sioux” suonano punk garage abbastanza monotono e stereotipato, con tanto di bassista in gonna: oddio! la straordinaria visione di un uomo con la gonna che cerca di essere simpatico, originale come una goccia di sudore in un bagno turco, divertente come aspettare l’autobus seduto su una panchina di chiodi… Noi abbiamo patteggiato per suonare per secondi, considerato che l’alternativa poteva essere chiudere il concerto alle quattro di notte. Malgrado il pubblico sia ancora tiepido, tutti partecipano, saltellano qua e là invocando le canzoni. E’ una bella soddisfazione e troviamo sempre incredibile che qualche francese canti i nostri pezzi in italiano...
La decisione di suonare in questa posizione della scaletta è stata anche dettata dal fatto che la serata è stata monopolizzata dai Tres Puntos, band ska che qui in Francia è una celebrità assoluta, benché fuori dai confini natii nessuno ne abbia mai sentito parlare. I rude boys in questione si atteggiano un po’ da professionisti e hanno imposto di suonare per terzi. Il loro cambio palco dura all’incirca il tempo che noi impieghiamo per fare il soundcheck, aprire e chiudere il concerto. C’è aria di divismo gratuito e un po’ fuori luogo, con una lunghissima attesa nel backstage del tutto inutile. Poi, finalmente l’orchestrina ska parte in quarta e il pubblico risponde in maniera incredibile: mai vista una partecipazione simile ad un concerto! Questo tipo di ska da noi è relegato alle feste di paese ed ha un pubblico di bambini, mentre qui in Francia piace alla follia anche ai punx e agli squatters. Nel frattempo la nostra distro viene presa d’assalto e approfittiamo per fare due chiacchiere con sottofondo in levare. Un ragazzo della repubblica ceca ci riempie di complimenti dicendoci che era convinto che suonassimo negli stadi, mentre invece siamo gente a posto, che suona negli squat. Non ci avrà mica scambiati per qualcun altro? Comunque sia gli rispondiamo che l’unico stadio nel quale eventualmente ci capita di suonare è quello alcoolico. Dopo un’ora e mezza di ska barricadero fritto e rifritto vediamo rotolare alcune sfere sul pavimento: sono le nostre palle, che sono cadute. Bastaaaa! Fortunatamente le nostre preghiere vengono esaudite e la serata ci regala momenti emozionanti con lo show dei trucidissimi Coche Bomba. Crazy punx attempati (Richard ci confessa di averli visti per la prima volta 25 anni fa!) di origine peruviana: roba con cui non si scherza. Uno dei due cantanti, un sudamericano sovrappeso che sembra un narcos dei film, chiarisce subito le intenzioni della band restando in mutande, l’altro, un tizio stempiato in bermuda hawaiani, nel frattempo mangia dell’uva in modo voluttuoso e scalcia come un mulo. Dopo la prima canzone (una sfuriata grind-core di venti secondi) lo slip nero nel cantante viene risucchiato dalle chiappe, due mozzarelle pelose, fino a divenire un sordido perizoma. Con il lancio dei calzini di spugna verso il pubblico, lo strip-tease è completo e l’apocalisse sonora dei Coche bomba è al culmine. Il pubblico di zombie davanti al palco si dimena in preda alla follia. Sarta poteva forse restarsene fermo in un angolo a guardare? Eccolo allora trasformarsi in Sa(r)tana e lanciarsi nella bolgia, seguito dal suo fedelissimo scudiero, Claudio. Sa(r)tana scodella le sue specialità: crowd-surfing con camminata sul soffitto, molestie assortite nei confronti del gruppo, smarrimento del cellulare (che, calpestato, gli viene però restituito). Claudio non vuole essere da meno e, benché in Grecia queste pratiche gli siano costate l’osso del culo, non si nega uno stage diving di schiena nel vuoto, nella vana speranza che i suoi amici invisibili lo sorreggano. La bolgia è suprema e i Coche Bomba lasciano il palco da mattatori della serata. Evviva lo speedpunk franco-peruviano!
Giusto il tempo di raccogliere le ossa e i brandelli di carne ammassati sotto il palco e tocca ai Preying Hands, ad un orario che ci fa quasi rimpiangere i concerti in Villa. Questi canadesi sono ragazzi veramente simpatici ed affabili, e le botti di birra con le gambe che ancora resistono sotto il palco gradiscono molto il loro melodi-crust sparato. Dopo il concerto, ad un’ora indecifrata, raccogliamo le nostre cose e lasciamo il campo di battaglia diretti a Feillens...
07/10/10
[Free music for punx]
ANARKA AND POPPY (U.k. anarcopunk 1982-84) - Discografia [Puj] Dedicarsi ad una band che nella sua esistenza ha composto solo cinque pezzi senza mai pubblicare un disco può sembrare l'esercizio filologico di un punk un po' nerd, ma, considerato che ho ascoltato un centinaio di volte i pezzi degli Anarka and Poppy, per me si tratta di un gruppo che senza dubbio merita di essere ricordato! Entusiasmante anarcopunk inglese dei bei tempi! Gli Anarka and Poppy si formarono nel 1981 in uno squat di Preston, nel nord dell'Inghilterra. Vegetariani e militanti animalisti con frequenti problemi con la legge, dedicarono le loro canzoni alle tematiche eco-radicali ("If it dies, we die") ed anticarcerarie ("Prisoners Of Pain and Power In Every State"). Proprio "If it dies, we die" ("it" è il pianeta terra naturalmente!), uno dei pezzi più interessanti del gruppo, dimostra che, se fossero durati più a lungo, avrebbero potuto essere una sensation anarcopunk da classifica tipo Chumbawamba, viste le ottime doti di songwriting sfoggiate. E invece dopo aver registrato tre scintillanti pezzi di punk epico e trascinante, nel 1984 si sciolsero senza nemmeno darli alle stampe. Oggi Jane, la cantante, ha due figli e vive con altri traveller in un accampamento primitivista in Galles. Qui sotto potrete scaricare la discografia del gruppo: la cassetta "All that is shattered" pubblicata in 200 copie nel 1982 (dal suono patetico) e i tre brani per l'e.p. mai uscito (al contrario dei pezzi della cassetta, ben registrati e davvero fantastici)... >>> Download ANARKA AND POPPY discography (.rar - 27 mb.)
06/10/10
[Free books for punx]
William Burroughs - La febbre del ragno rosso (1991) [Pep] “La parola ESSERE in inglese contiene, come un virus contiene il suo precodificato messaggio di distruzione, l'imperativo categorico di condizione permanente”: così William Seward Burroughs (1914-1997) ne “La rivoluzione elettronica” si pronunciava riguardo il meccanismo strutturante del massimo paradigma del controllo, quello virale. Alla base delle sue dirompenti concezioni le teorie di Alfred Korzybski, linguista rivoluzionario e contestatore della logica aristotelica: cogliendo nell'identità una malattia ereditaria e nella relazione di identità il meccanismo di replicazione virale archetipo, preposto all'infezione e al controllo dell'essere umano, Burroughs ne preconizza la palingenetica rimozione tramite un cruciale processo linguistico, l'abolizione del verbo Essere. E proprio una lettura virologica del potere, ispirata alla teorie scientifiche del biologo G. Blyavin, costituisce l'elemento chiave del pensiero di Burroughs: scrittore, cineasta, pittore, discepolo di Scientology (che poi rinnegò criticandone il carattere capillarmente autoritario, pur nella condivisione dei suoi fondamentali presupposti teorici), radicalissimo pensatore gay e profeta del tramonto biologico dell'eterosessualità, filosofo anarchico, sperimentatore psichedelico, teorico del terrorismo generalizzato, capace di influenzare tanto la filosofia post-strutturalista quanto il cyberpunk, tanto il graffitismo urbano, quanto i settori più avvertiti della musica rock. Il Kalashnikov Collective Headquarter qui propone un suo breve e straordinario romanzo (“Ghost of Chance” nell'edizione originale) in cui Burroughs, elaborando nuovamente attorno alla leggendaria figura del capitano Mission, cui già si era dedicato in “Città della notte rossa” (1981), delinea in poche decine di pagine un esauriente profilo della parabola patologica dell'umanità: il costituirsi di quest'ultima come tale in virtù dell'infezione virale del linguaggio (“Il linguaggio è un virus”, ha sentenziato Burroughs), la quale pone in essere il distacco dalle altre specie animali e l'inizio di un catastrofico percorso di sopraffazione, sino alla distruzione finale del mondo umano propiziata dal diffondersi impazzito e spaventoso delle epidemie letali conseguenti alla devastante incontrollabilità dei processi di replicazione virale. Oggetto dello sguardo disaminatore di Burroughs risulta essere fra l'altro la figura di Cristo, il cui disegno etico (“Ama il tuo nemico”) pur costituendo un inesorabile assurdo biologico, si rivela in realtà il più perfetto e micidiale programma di replicazione virale concepibile (equivalendo alla trasformazione a tappeto dei propri nemici in amici: in ultima analisi in repliche di sé): con queste cruciali considerazioni sull'etica cristiana Burroughs integra magistralmente la sua pregressa visione del messaggio biblico quale quintessenzialmente virale nel suo definire l'uomo replica di Dio (“a sua immagine e somiglianza”), palesando quest'ultimo come implacabile parassita ontologico globale. Terrificante diagnosi anarchica ed anti-specista della malattia dell'essere umano e dell'essere umano come malattia, “La febbre del ragno rosso” è un libro filosofico di spietata profondità, in cui l'unica reale speranza che viene configurata è una fine dell'umanità che lasci spazio alla superiore bellezza e integrità della vita animale. Segnaliamo che il testo è illustrato dalle riproduzioni in bianco e nero di diciassette dipinti informali di Burroughs, testimonianze potenti di un itinerario visivo tanto affascinante e sconvolgente quanto quello letterario.
Thomas M. Disch - La ricchezza di Edwin Lollard (racconto - U.s.a. 1967) "Il criminale era alla sbarra. I giurati erano stati scelti: dodici uomini finanziariamente integerrimi. Sia l'accusa che la difesa avevano rinunciato alle arringhe di apertura. In un punto tra le infinite pieghe della pelle che avvolgeva l'anima della Pubblica Accusa c'era una sottile incrinatura tra gli sfinteri della sua cavità orale: un sorriso...". Raccontino acido di Thomas Disch, misconosciuto autore di romanzi e racconti di fantascienza catastrofica di sane tendenze anarchiche. Quale crimine ha commesso Edwin Lollard? Quello di essere... povero!
Pino Bertelli - Zero in condotta (1992) [Pep] Pino Bertelli è un fotografo e film-maker anarchico, noto sia per i suoi raffinati volumi fotografici (si vedano titoli come “Iraq. Ritratti dall'infanzia insanguinata” o il recente “Volti del Mediterraneo”) sia per la sua rutilante ed inesauribile attività saggistica. I suoi testi, che intrecciano provocatoriamente la critica dei linguaggi estetici con la polemica libertaria più feroce, costituiscono un punto di riferimento altamente stimolante per approcciarsi alle questioni artistiche sulla base di un'ottica incredibilmente estranea alle convenzioni stereotipate del mercato culturale. Per questo il Kalashnikov Collective Headquarter ripropone un suo avvincente testo del 1992, di particolare utilità per chi voglia approcciarsi all'autoproduzione in uno degli ambiti di maggiore competenza dell'autore: il cinema. “Zero in condotta” è un piccolo, micidiale manuale di sabotaggio cinematografico: riallacciandosi alla tradizione del cinema radicale, giunta a piena maturazione con le pratiche filmiche dei situazionisti, Bertelli indica la strada di un'appropriazione strumentale della grammatica della macchina/cinema finalizzata a dar luogo all'eversione di quest'ultima attraverso il contraltare ereticale del linguaggio cinematografico autoprodotto. Praticare un riorientamento (détournement) della lingua del cinema equivale a porre in essere un attacco sovvertitore alla nostra quotidianità falsificata e finzionale, la quale si situa in un rapporto di consequenzialità rispetto ai linguaggi mediatici: di qui la necessità di praticare una sistematica guerriglia audiovisuale dentro e contro l'odierna società dello spettacolo. Per questo Bertelli fornisce al lettore, contestualmente al proprio radicalissimo discorso teorico,la strumentazione terminologica e concettuale utile ad accedere alla creazione cinematografica effettiva. Segnaliamo come preziosi anche gli eruditissimi capitoli sulla sovversione estetica nei linguaggi cinematografici del Terzo Mondo,con incendiarie ricognizioni sul Cinema Novo brasiliano, sul cinema africano nero e sul cinema nicaraguegno. Così Pino Bertelli: “Questo manuale vuole essere uno strumento di turbamento della rappresentazione filmica. Il grimaldello teorico/pratico per insinuare i veleni della differenza nei muri culturali della civiltà dello spettacolo. La peste libertaria che agita sommuove,anticipa e produce la crisi di un ordine”.