4 maggio. Secret show.
[Puj] Sono le otto di sera. Una vecchia auto di fabbricazione sovietica ci attende sotto l'ostello. Si apre la portiera e ne esce una donna dall’aspetto trasandato. Ci fa cenno di caricare tutti gli strumenti nel bagagliaio ingombro di spazzatura, pentole sporche e utensili arrugginiti. Szarapow e gli altri ci raccomandano cautela: il concerto si terrà in un condominio diroccato, in una situazione clandestina, che in Russia è piuttosto delicata. Alcuni di noi salgono a bordo dell'auto e partono, altri seguono gli squatter nella metropolitana. I ragazzi sono visibilmente tesi, si assicurano di non dare troppo nell’occhio e che nessuno ci segua: temono di incrociare qualche sbirro o di attirare l'attenzione di qualche testa rasata. Szarapow mi chiede di chiudere il giubbotto per occultare il simbolo dell'Animal Liberation Front sulla mia t-shirt. Ci incamminiamo lungo una strada secondaria che taglia una zona periferica della città, tra case dai muri scrostati e aree industriali in disfacimento. Tutti in silenzio, piombiamo in un romanzo di spionaggio dell'epoca sovietica…
Gli squatter di San Pietroburgo, aldilà del clima disteso che si respira in città (decisamente diverso dal rigore moscovita), rischiano molto vista l'altissima concentrazione di skinhead nazionalisti e sbirri. In Russia, a livello generale, serpeggia un’ostilità diffusa nei confronti dei movimenti anarchici, libertari ed ecoradicali. Tuttavia, a ben rifletterci, quelli che rischiano di più siamo noi: se la corrottissima polizia russa ci sorprende a combuttare con gli squatter e ci trascina in questura, è la fine. Possiamo dire addio ai nostri passaporti!
Giunti ai margini di una grossa strada di scorrimento Szarapow ci chiede di proseguire in piccoli gruppi, indicandoci un'apertura buia che conduce all’interno di un condominio in rovina. L’interno è odoroso di muffa, ingombro di calcinacci, vetri rotti e sudiciume. Un ragazzo ci accompagna con una pila lungo una scalinata senza parapetto, seguendo la quale accediamo al terzo piano. Il corridoio sfocia in una stanza finalmente illuminata, ricoperta di bandiere, simboli anarchici e slogan contro la polizia. Ecco a noi il primo ed unico centro sociale occupato dell'ex-Unione Sovietica. Senza nome, perché segreto! Dentro troviamo ragazze e ragazzi con i dread, le creste, i piercing, molto diversi dai giovani alternativi alla moda della sera prima. Nella stanza non c’è praticamente nulla: qualche panca, una finta spillatrice per la birra e una tavoletta di cesso appesa alla parate che fa da cornice ad una foto di Stalin. Ci sentiamo a casa! Il nostro ingresso è accompagnato da un entusiasmo sorprendente: è arrivato il gruppo anarchico dall'Italia! Ci rendiamo conto, con nostra somma sorpresa, che per gli anarco-punx russi la nostra presenza rappresenta qualcosa d'importante, in qualche modo un'impresa; sinceramente, possiamo capire poco di ciò che vivono questi ragazzi, tutti giovanissimi e inebriati dal mito della scena politico-musicale D.I.Y. europea, della quale, probabilmente, hanno un’immagine un po’ romantica.
Mi rifocillo con una birra: è la più economica sulla piazza, venduta in bottiglie di plastica da due litri, e viene riversata in un catino dalla quale viene poi successivamente spillata, per dar l'impressione della birra alla spina, che è più divertente! Esploro i meandri dell’appartamento abbandonato per trovare un posto dove sedermi a mangiare. Le stanze sono enormi, spoglie, diroccate, fiocamente illuminate dalla luce del tramonto che filtra dai vetri luridi. In una stanza con i muri ingombri di scritte in cirillico fatte con lo spray, compreso un grosso cazzo disegnato che arriva fino al soffitto, incontriamo alcuni punx intenti a fumare hashish, utilizzando un bong autoprodotto con un bottiglia di limonata bucata. Uno di loro, è felice di offrirmi da fumare, ma rifiuto perché sto svenendo dalla fame e dalla stanchezza, e dopo una canna sarei da tumulare. Mi spiace smorzare il suo entusiasmo, perché mi è parso davvero onorato di condividere il suo fumo con un ospite italiano. D’altronde, in Russia è difficilissimo trovare hashish: le pene previste dalla legge russa per la detenzione e il consumo di droga sono terribili! Io, Milena e Tiziana ci prepariamo alcuni osceni panini con funghi insapore. Un ragazzo ci si avvicina chiedendoci se abbiamo qualcosa da bere di analcolico, visto che questa sera deve guidare. Vengo a conoscenza di un altro aspetto peculiare della severissima legislazione russa: il tasso alcolemico tollerato al volante è pari allo 0% e le pene per gli automobilisti ebbri sono ancora una volta medievali nella loro spietatezza. Tiziana offre al punk il succo tiepido di pseudo-mela regalatoci dall’hostess dell’Aeroflot sul volo Mosca/San Pietroburgo. Che delizia.
Valutiamo la situazione tecnica per il live. C’è un solo ampli per chitarra, Sarta entrerà direttamente al mixerino 8 piste, c’è un ampli per basso, un microfono e pezzi di una batteria scalcagnata. Prima di noi, suona una band anarco-punk locale dal suono davvero crassiano; al microfono, il mitico Szarapow. Dopo venti minuti di concerto, l’imprevisto: lo spinotto del jack del chitarrista si spezza e rimane all’interno dell’unico ampli per chitarra a disposizione! Il pezzo va estratto, altrimenti non potremo suonare. Urge un intervento a cuore aperto, che viene eseguito con l’utilizzo di una pinzetta per ciglia, uno stuzzicadenti ed un cacciavite scassato; la partita all’Allegro Chirurgo dura una mezz’ora circa, vivacizzata dalle solite discussioni in cirillico un po’ teatrali dei russi. Il dannato pezzo di jack viene asportato e l’ampli rimontato.
Il nostro concerto è selvaggio: tutti i punx ballano, si rotolano per terra, la rovina è completa. Dopo la deludente serata allo Zoccolo Club, una boccata d’aria fresca. L’entusiasmo è travolgente! Purtroppo, per la sicurezza dei ragazzi e delle ragazze dello squat, non possiamo pubblicare foto troppo esplicite o filmati del concerto.
È mezzanotte e mezza. Ormai il metrò non circola più. Usciamo dal rudere e ci spostiamo in una strada laterale per non attirare l’attenzione di eventuali pattuglie. Un’amica di Szarapow, che sembra Ulrike Meinhof in incognito, si piazza in mezzo al viale con il braccio alzato. Dopo alcuni secondi un’auto accosta vicino al marciapiedi. Scopriamo che stava semplicemente chiamando un taxi. Le città russe, di notte, sono attraversate da centinaia e centinaia di tassisti abusivi: basta attirare l’attenzione e subito un’anonima autovettura risponde al segnale. Ulrike Meinhof contratta in anticipo il prezzo con il losco tassista e ci fa cenno di salire. Alcuni di noi scompaiono a bordo del taxi, altri dovranno aspettare i successivi. Io, Annalisa e Dino capitiamo su una Lada nera con sedili in pelle, guidata da Ivan Drago. Il russo, silenzioso, sfreccia per le vie di San Piteroburgo, semideserte e spettrali. Tornano a galla i fantasmi della russia sovietica: strisciano lungo gli angoli bui dei caseggiati austeri, sotto le auto arrugginite parcheggiate lungo i viali, scomparendo alla luce delle insegne al neon dei casinò, delle discoteche, dei nightclub che costellano le strade della nuova Russia capitalista, della quale tutti noi, in fondo, dobbiamo ammettere di non aver capito granché. Mi scorrono davanti al finestrino i volti dei ragazzi che abbiamo incontrato in questi giorni: Max, Nikita, Tigran, Szarapow… Persone molto diverse tra loro, ma tutte ugualmente generose. Sono animati da un entusiasmo sincero, con il quale cercano di districarsi in una realtà caotica, dai contorni sfrangiati e dall’identità sfuggente. L'impressione é che, forse, nemmeno i ragazzi russi sappiano bene che cosa aspettarsi dal futuro del loro paese...
[Puj] Sono le otto di sera. Una vecchia auto di fabbricazione sovietica ci attende sotto l'ostello. Si apre la portiera e ne esce una donna dall’aspetto trasandato. Ci fa cenno di caricare tutti gli strumenti nel bagagliaio ingombro di spazzatura, pentole sporche e utensili arrugginiti. Szarapow e gli altri ci raccomandano cautela: il concerto si terrà in un condominio diroccato, in una situazione clandestina, che in Russia è piuttosto delicata. Alcuni di noi salgono a bordo dell'auto e partono, altri seguono gli squatter nella metropolitana. I ragazzi sono visibilmente tesi, si assicurano di non dare troppo nell’occhio e che nessuno ci segua: temono di incrociare qualche sbirro o di attirare l'attenzione di qualche testa rasata. Szarapow mi chiede di chiudere il giubbotto per occultare il simbolo dell'Animal Liberation Front sulla mia t-shirt. Ci incamminiamo lungo una strada secondaria che taglia una zona periferica della città, tra case dai muri scrostati e aree industriali in disfacimento. Tutti in silenzio, piombiamo in un romanzo di spionaggio dell'epoca sovietica…
Gli squatter di San Pietroburgo, aldilà del clima disteso che si respira in città (decisamente diverso dal rigore moscovita), rischiano molto vista l'altissima concentrazione di skinhead nazionalisti e sbirri. In Russia, a livello generale, serpeggia un’ostilità diffusa nei confronti dei movimenti anarchici, libertari ed ecoradicali. Tuttavia, a ben rifletterci, quelli che rischiano di più siamo noi: se la corrottissima polizia russa ci sorprende a combuttare con gli squatter e ci trascina in questura, è la fine. Possiamo dire addio ai nostri passaporti!
Giunti ai margini di una grossa strada di scorrimento Szarapow ci chiede di proseguire in piccoli gruppi, indicandoci un'apertura buia che conduce all’interno di un condominio in rovina. L’interno è odoroso di muffa, ingombro di calcinacci, vetri rotti e sudiciume. Un ragazzo ci accompagna con una pila lungo una scalinata senza parapetto, seguendo la quale accediamo al terzo piano. Il corridoio sfocia in una stanza finalmente illuminata, ricoperta di bandiere, simboli anarchici e slogan contro la polizia. Ecco a noi il primo ed unico centro sociale occupato dell'ex-Unione Sovietica. Senza nome, perché segreto! Dentro troviamo ragazze e ragazzi con i dread, le creste, i piercing, molto diversi dai giovani alternativi alla moda della sera prima. Nella stanza non c’è praticamente nulla: qualche panca, una finta spillatrice per la birra e una tavoletta di cesso appesa alla parate che fa da cornice ad una foto di Stalin. Ci sentiamo a casa! Il nostro ingresso è accompagnato da un entusiasmo sorprendente: è arrivato il gruppo anarchico dall'Italia! Ci rendiamo conto, con nostra somma sorpresa, che per gli anarco-punx russi la nostra presenza rappresenta qualcosa d'importante, in qualche modo un'impresa; sinceramente, possiamo capire poco di ciò che vivono questi ragazzi, tutti giovanissimi e inebriati dal mito della scena politico-musicale D.I.Y. europea, della quale, probabilmente, hanno un’immagine un po’ romantica.
Mi rifocillo con una birra: è la più economica sulla piazza, venduta in bottiglie di plastica da due litri, e viene riversata in un catino dalla quale viene poi successivamente spillata, per dar l'impressione della birra alla spina, che è più divertente! Esploro i meandri dell’appartamento abbandonato per trovare un posto dove sedermi a mangiare. Le stanze sono enormi, spoglie, diroccate, fiocamente illuminate dalla luce del tramonto che filtra dai vetri luridi. In una stanza con i muri ingombri di scritte in cirillico fatte con lo spray, compreso un grosso cazzo disegnato che arriva fino al soffitto, incontriamo alcuni punx intenti a fumare hashish, utilizzando un bong autoprodotto con un bottiglia di limonata bucata. Uno di loro, è felice di offrirmi da fumare, ma rifiuto perché sto svenendo dalla fame e dalla stanchezza, e dopo una canna sarei da tumulare. Mi spiace smorzare il suo entusiasmo, perché mi è parso davvero onorato di condividere il suo fumo con un ospite italiano. D’altronde, in Russia è difficilissimo trovare hashish: le pene previste dalla legge russa per la detenzione e il consumo di droga sono terribili! Io, Milena e Tiziana ci prepariamo alcuni osceni panini con funghi insapore. Un ragazzo ci si avvicina chiedendoci se abbiamo qualcosa da bere di analcolico, visto che questa sera deve guidare. Vengo a conoscenza di un altro aspetto peculiare della severissima legislazione russa: il tasso alcolemico tollerato al volante è pari allo 0% e le pene per gli automobilisti ebbri sono ancora una volta medievali nella loro spietatezza. Tiziana offre al punk il succo tiepido di pseudo-mela regalatoci dall’hostess dell’Aeroflot sul volo Mosca/San Pietroburgo. Che delizia.
Valutiamo la situazione tecnica per il live. C’è un solo ampli per chitarra, Sarta entrerà direttamente al mixerino 8 piste, c’è un ampli per basso, un microfono e pezzi di una batteria scalcagnata. Prima di noi, suona una band anarco-punk locale dal suono davvero crassiano; al microfono, il mitico Szarapow. Dopo venti minuti di concerto, l’imprevisto: lo spinotto del jack del chitarrista si spezza e rimane all’interno dell’unico ampli per chitarra a disposizione! Il pezzo va estratto, altrimenti non potremo suonare. Urge un intervento a cuore aperto, che viene eseguito con l’utilizzo di una pinzetta per ciglia, uno stuzzicadenti ed un cacciavite scassato; la partita all’Allegro Chirurgo dura una mezz’ora circa, vivacizzata dalle solite discussioni in cirillico un po’ teatrali dei russi. Il dannato pezzo di jack viene asportato e l’ampli rimontato.
Il nostro concerto è selvaggio: tutti i punx ballano, si rotolano per terra, la rovina è completa. Dopo la deludente serata allo Zoccolo Club, una boccata d’aria fresca. L’entusiasmo è travolgente! Purtroppo, per la sicurezza dei ragazzi e delle ragazze dello squat, non possiamo pubblicare foto troppo esplicite o filmati del concerto.
È mezzanotte e mezza. Ormai il metrò non circola più. Usciamo dal rudere e ci spostiamo in una strada laterale per non attirare l’attenzione di eventuali pattuglie. Un’amica di Szarapow, che sembra Ulrike Meinhof in incognito, si piazza in mezzo al viale con il braccio alzato. Dopo alcuni secondi un’auto accosta vicino al marciapiedi. Scopriamo che stava semplicemente chiamando un taxi. Le città russe, di notte, sono attraversate da centinaia e centinaia di tassisti abusivi: basta attirare l’attenzione e subito un’anonima autovettura risponde al segnale. Ulrike Meinhof contratta in anticipo il prezzo con il losco tassista e ci fa cenno di salire. Alcuni di noi scompaiono a bordo del taxi, altri dovranno aspettare i successivi. Io, Annalisa e Dino capitiamo su una Lada nera con sedili in pelle, guidata da Ivan Drago. Il russo, silenzioso, sfreccia per le vie di San Piteroburgo, semideserte e spettrali. Tornano a galla i fantasmi della russia sovietica: strisciano lungo gli angoli bui dei caseggiati austeri, sotto le auto arrugginite parcheggiate lungo i viali, scomparendo alla luce delle insegne al neon dei casinò, delle discoteche, dei nightclub che costellano le strade della nuova Russia capitalista, della quale tutti noi, in fondo, dobbiamo ammettere di non aver capito granché. Mi scorrono davanti al finestrino i volti dei ragazzi che abbiamo incontrato in questi giorni: Max, Nikita, Tigran, Szarapow… Persone molto diverse tra loro, ma tutte ugualmente generose. Sono animati da un entusiasmo sincero, con il quale cercano di districarsi in una realtà caotica, dai contorni sfrangiati e dall’identità sfuggente. L'impressione é che, forse, nemmeno i ragazzi russi sappiano bene che cosa aspettarsi dal futuro del loro paese...
L’autista del taxi è gelido, impassibile, un vero duro dei film. Ma la compilation in cassetta che gira nella sua autoradio tradisce un cuore tenero, offrendo a questa notte clandestina una romantica colonna sonora, vecchi successi soft-rock degli anni ’70 come I was made for loving you dei Kiss e Tonight's the night di Rod Stewart…
davvero un bel report. ben scritto e divertente da leggere. mi avete messo voglia di suonare in Russia.
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