Ci alziamo di buon mattino e ci dirigiamo carichi come bestie da soma verso l’aeroporto. Ci attende questa volta un volo interno Mosca/San Pietroburgo in Aeroflot, compagnia di bandiera sovietica che nel logo conserva ancora la falce e il martello, come ai bei tempi andati. Anche gli aerei della compagnia paiono risalire ai bei tempi andati: il nostro, per esempio, è un forno volante dotato di comodi sedili di felpa.
Con le mutande sudate sbarchiamo a San Pietroburgo. Ad attenderci all’aeroporto il nostro contatto, Szarapow, un anarcopunk appassionato di lettura che ride come un pazzo ogni volta che pronunciamo qualche volgarità in inglese. Il senso dell’umorismo russo è davvero enigmatico: i russi ridono poco, anzi pochissimo. Nikita ci aveva raccontato che da loro, la figura del “comico”, come da noi, al cinema, alla televisione o a teatro, non esiste. Gli unici comici, come più o meno li definiremmo noi, sono dei vecchi teatranti stupidi che però non fanno ridere nessuno. Anzi, fanno piangere. Quindi fare breccia nell’umorismo degli amici russi è parecchio difficile: solitamente tendono a prendere tutto quello che si dice sul serio. Tuttavia, quando meno te l’aspetti ecco che pronunci qualcosa che per te non è assolutamente divertente, ma che scatena grasse risate negli amici sovietici. Tipo la parola “penetration” oppure qualche tentativo goffo di parlare in russo, che provoca ilarità incontrollata un po’ in tutti.
Szarapow si rivela contatto davvero efficiente: nel giro di pochi secondi ci ha organizzato le seguenti 24 ore. E’ interessante inoltre notare il suo aspetto, molto più vicino ai canoni colorati dei punx occidentali rispetto a quanto avevamo visto a Mosca, dove i ragazzi hanno un look più dimesso e ordinario. San Pietroburgo, che è molto vicina al confine finlandese, si presenta visibilmente più influenzata dalla cultura occidentale rispetto alla capitale. Mosca in effetti ci era sembrata una realtà abbastanza isolata, estranea, sotto molti aspetti, all'influsso occidentale. Un'impressione avvalorata da quanto ci aveva riferito Nikita riguardo alle difficoltà dei moscoviti a viaggiare in Europa: ottenere un visto per espatriare è snervante e complicato per la mole di documenti da presentare e per la programmazione meticolosa del viaggio che viene richiesta dalla burocrazia russa. Per chi vive a San Pietroburgo è invece più semplice entrare in Europa, perché molto più rapido è l'ottenimento del visto per l'espatrio in Finlandia, paese immediatamente confinante con la regione ove sorge San Pietroburgo. Dalla Finlandia poi si può raggiungere qualsiasi meta si desideri. Così i Sanpietroburghesi hanno occasione di entrare in contatto con la cultura europea molto più agevolmente rispetto ai moscoviti. Più liberi di conoscere? O più soggetti all'omologazione? Boh.
Con le mutande sudate sbarchiamo a San Pietroburgo. Ad attenderci all’aeroporto il nostro contatto, Szarapow, un anarcopunk appassionato di lettura che ride come un pazzo ogni volta che pronunciamo qualche volgarità in inglese. Il senso dell’umorismo russo è davvero enigmatico: i russi ridono poco, anzi pochissimo. Nikita ci aveva raccontato che da loro, la figura del “comico”, come da noi, al cinema, alla televisione o a teatro, non esiste. Gli unici comici, come più o meno li definiremmo noi, sono dei vecchi teatranti stupidi che però non fanno ridere nessuno. Anzi, fanno piangere. Quindi fare breccia nell’umorismo degli amici russi è parecchio difficile: solitamente tendono a prendere tutto quello che si dice sul serio. Tuttavia, quando meno te l’aspetti ecco che pronunci qualcosa che per te non è assolutamente divertente, ma che scatena grasse risate negli amici sovietici. Tipo la parola “penetration” oppure qualche tentativo goffo di parlare in russo, che provoca ilarità incontrollata un po’ in tutti.
Szarapow si rivela contatto davvero efficiente: nel giro di pochi secondi ci ha organizzato le seguenti 24 ore. E’ interessante inoltre notare il suo aspetto, molto più vicino ai canoni colorati dei punx occidentali rispetto a quanto avevamo visto a Mosca, dove i ragazzi hanno un look più dimesso e ordinario. San Pietroburgo, che è molto vicina al confine finlandese, si presenta visibilmente più influenzata dalla cultura occidentale rispetto alla capitale. Mosca in effetti ci era sembrata una realtà abbastanza isolata, estranea, sotto molti aspetti, all'influsso occidentale. Un'impressione avvalorata da quanto ci aveva riferito Nikita riguardo alle difficoltà dei moscoviti a viaggiare in Europa: ottenere un visto per espatriare è snervante e complicato per la mole di documenti da presentare e per la programmazione meticolosa del viaggio che viene richiesta dalla burocrazia russa. Per chi vive a San Pietroburgo è invece più semplice entrare in Europa, perché molto più rapido è l'ottenimento del visto per l'espatrio in Finlandia, paese immediatamente confinante con la regione ove sorge San Pietroburgo. Dalla Finlandia poi si può raggiungere qualsiasi meta si desideri. Così i Sanpietroburghesi hanno occasione di entrare in contatto con la cultura europea molto più agevolmente rispetto ai moscoviti. Più liberi di conoscere? O più soggetti all'omologazione? Boh.
La metropolitana di San Pietroburgo ha in serbo alcune sorprese. Ci fermiamo alla Kacca (“cassa”, in cirillico) per acquistare i biglietti del metrò e scopriamo che i biglietti sono in realtà dei gettoni tipo sala giochi. Szarapow discute con l’anziana cassiera in merito ai nostri voluminosi bagagli che paiono non essere contemplati dal regolamento, e che necessiterebbero anch’essi di gettoni. Tipico dei russi è discutere per ore senza arrivare ad una soluzione: anche in questo caso il dibattito non sfocia in nulla, tant’è che la soluzione di Szarapow è “i bagagli non si potrebbero portare, ma noi li portiamo lo stesso”. Il nostro destino è in realtà nelle mani di un controllore, il solito cazzo di omino baffuto, che sta in piedi all’inizio della scala mobile e misura ad occhio le valige dei passanti per valutarne sommariamente la congruità o meno delle dimensioni, a sua totale e imperscrutabile discrezione. L’omino con i baffi appunta tutto su di un mistrerioso taccuino. A un certo punto, decide di bloccare Tiziana e le appioppa una multa per bagaglio gigante (effettivamente la sua valigia è più grande di lei). La multa ammonta a ben 100 rubli: circa 3 euro! Ma la vera punizione, scopriamo essere, non tanto il pagamento della somma, bensì l’attesa snervante durante la quale l’omino baffuto compila meticolosamente un verbale d’epoca sovietica di tre pagine, in duplice copia!
Un’ora dopo riusciamo a scendere nel metrò e a raggiungere lo Zoccolo Club, il locale dove suoneremo questa sera: è molto simile ad un club europeo, alla moda, ben lontano dagli squat ai quali siamo abituati. A differenaza che a Mosca, dove cibo e beveraggio non erano contemplati, ci viene offerta la cena: pasta scotta con verdure crude. Forse perché un po' a disagio in questa simil-discoteca, ci rilassiamo con copiose quantità di vodka a stomaco simil-vuoto, adducendo a pretesto il compleanno del Don del giorno prima. La vodka russa è la panacea di tutti i mali: la serata prende una piega psichedelica, diventiamo molto socievoli e parliamo con tutti in una lingua inventata. Il concerto ha inizio.
Ad aprire un gruppo di giovanotti del luogo, i De Excelsis, con un cantante che ricorda spaventosamente Axl Rose, ma a 15 anni. A seguire gli ottimi Cheap Halo, funk-rock che ha l’innegabile merito di scaldare il molteplice e variegato pubblico presente. Noi, non precisamente assimilabili a ciò che verrebbe definita un persona sobria, siamo in prima linea. Sarta, come sempre il più diabolico, è libero e selvaggio, ma, da novello tarzan, viene sgridato dal fonico allorché si appende ad un traliccio del soffitto. Tutti gli altri si esibiscono semplicemente in stage-diving ad alto tasso di rischio. Tocca ai Riot on the Radio, ormai amici carissimi come se ci conoscessimo dai tempi della scuola: si sprecano le pacche sulle spalle, gli abbracci e le battute in italo-ucraino. I Riot scatenano la solita bagarre, spaccano tutto con un live-set travolgente. Tant'é che il nostro di live-set non si dimostra all'altezza: è tardi, sono tutti stanchi, noi compresi e ci sentiamo un po' alieni all'ambiente. Il pubblico delle prime file risponde abbastanza bene, inneggiando e ballando, ma l'insieme non carbura. Abbiamo un po' l'amaro in bocca, perché questo è l'ultimo concerto in Russia e ci sarebbe piaciuto concludere meglio. D'altronde, è inutile negarlo, questo ambiente di club all'ultimo grido e gruppi disco-punk non è propriamente il nostro.
Un’ora dopo riusciamo a scendere nel metrò e a raggiungere lo Zoccolo Club, il locale dove suoneremo questa sera: è molto simile ad un club europeo, alla moda, ben lontano dagli squat ai quali siamo abituati. A differenaza che a Mosca, dove cibo e beveraggio non erano contemplati, ci viene offerta la cena: pasta scotta con verdure crude. Forse perché un po' a disagio in questa simil-discoteca, ci rilassiamo con copiose quantità di vodka a stomaco simil-vuoto, adducendo a pretesto il compleanno del Don del giorno prima. La vodka russa è la panacea di tutti i mali: la serata prende una piega psichedelica, diventiamo molto socievoli e parliamo con tutti in una lingua inventata. Il concerto ha inizio.
Ad aprire un gruppo di giovanotti del luogo, i De Excelsis, con un cantante che ricorda spaventosamente Axl Rose, ma a 15 anni. A seguire gli ottimi Cheap Halo, funk-rock che ha l’innegabile merito di scaldare il molteplice e variegato pubblico presente. Noi, non precisamente assimilabili a ciò che verrebbe definita un persona sobria, siamo in prima linea. Sarta, come sempre il più diabolico, è libero e selvaggio, ma, da novello tarzan, viene sgridato dal fonico allorché si appende ad un traliccio del soffitto. Tutti gli altri si esibiscono semplicemente in stage-diving ad alto tasso di rischio. Tocca ai Riot on the Radio, ormai amici carissimi come se ci conoscessimo dai tempi della scuola: si sprecano le pacche sulle spalle, gli abbracci e le battute in italo-ucraino. I Riot scatenano la solita bagarre, spaccano tutto con un live-set travolgente. Tant'é che il nostro di live-set non si dimostra all'altezza: è tardi, sono tutti stanchi, noi compresi e ci sentiamo un po' alieni all'ambiente. Il pubblico delle prime file risponde abbastanza bene, inneggiando e ballando, ma l'insieme non carbura. Abbiamo un po' l'amaro in bocca, perché questo è l'ultimo concerto in Russia e ci sarebbe piaciuto concludere meglio. D'altronde, è inutile negarlo, questo ambiente di club all'ultimo grido e gruppi disco-punk non è propriamente il nostro.
Mentre riflettiamo su quanto sopra, guadagnando il backstage, accade l'imponderabile: ci si avvicina un ragazzo con i dreadlocks; ci riferisce che lui ed alcuni amici sarebbero davvero lieti di organizzarci un concerto per la sera successiva. Dove? In uno squat anarchico di San Pietroburgo! L'unico spazio occupato in città e, supponiamo, in tutta la Russia. Hanno infatti saputo che l'indomani saremo ancora a San Pietroburgo e non vogliono perdere l'occasione di ospitarci. Si tratta di un concerto clandestino, un "secret show" che, vista la delicata situazione socio-politica russa, deve rimanere tale. Il ragazzo con i dreadlocks appunta su un foglietto il numero di cellulare per contattarlo, prima di scomparire nella notte. Noi affidiamo il foglietto a Sarta, che lo perde immediatamente, e facciamo ritorno in ostello...
siete mitici, anche io vi chiederò l'autografo la prossima volta!!!
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