[we talk about...antispecism!]
Il Salto.
Spunti di analisi e critica sulla tematica animalista (2009)
"Nei primi anni Novanta certe tematiche e pratiche, affrontate in questo libro, cominciavano a conoscere una grande diffusione e visibilità a livello internazionale, ma in Italia erano materia di interesse e dibattito solo in circoli minoritari. Si era in pochi ad aver maturato la coscienza che dietro alla sofferenza animale, sfruttato e torturato, vi è il continuo rafforzamento delle multinazionali farmaceutiche, e lo sviluppo di precisi progetti scientifici in campo militare e in quello delle biotecnologie, anch'esse legate ad una continua ricerca di nuovi tipi di armi. La tematica animalista era pressochè monopolio delle associazioni riformiste, mentre in ambito rivoluzionario era accolta con disagio e sufficienza, talvolta con derisione".
[Pep] Il volume che il
Kalashnikov Collective Headquarter presenta ai lettori costituisce un
rilevante punto di svolta nella storia dei movimenti libertari
italiani: uscito per la prima volta nel 1995 a cura di Antonio
Roberto Budini, infine riedito nel 2009 per le Editziones Arkiviu
bibrioteka T. Serra, e contenente un'ampia raccolta di articoli
italiani ed esteri sull'antispecismo radicale, costituì lo snodo
teorico attraverso il quale i movimenti anarchici italiani
cominciarono ad impadronirsi sistematicamente delle tematiche
antispeciste, laddove il loro troppo elevato grado di ideologismo e,
dunque, di fissità identitaria li aveva resi scarsamente penetrabili
da un liberazionismo animale che nei contesti europei già metteva
solide radici negli anni Settanta. Si potrebbe infine insinuare che
in quegli anni il liberazionismo animale si sviluppasse in
particolare presso gli ambiti improntati al riformismo ed alla
moderazione in ragione non del più basso grado strutturale di
specismo da parte di questi ultimi, ma piuttosto del contrario.
Così
infatti si esprime Rustichello da Pisa nella nuova introduzione del
2009: “Per colpa delle associazioni riformiste l'animalista finiva
col diventare una figura sgradevole agli occhi di coloro che sono
capaci di provare sentimenti di vicinanza e fratellanza oltre che per
teneri e innocenti animali anche per altri esseri umani che spesso
non sono né teneri né tantomeno innocenti, ma che sono comunque
vittime dell'oppressione”, evidenziando come il veicolo
dell'auspicabilità della “liberazione animale” sia spesso in
realtà proprio la squalificazione degli animali stessi sulla base di
un ribaltamento benigno del pregiudizio specista atto a
ri-configurare chi ne è oggetto quale buono, tenero e inoffensivo
deprivandolo quindi di qualsivoglia reale valenza contestativa
rispetto all'assetto identitario della specie straight. Tale
strategia mistificatoria in ambito umano colpisce in particolare la
figura dell'handicappato, specialmente mentale, laddove
all'inevadibile cappa sanitarizzante che ne ipoteca la persona,
corrisponda, tramite la mediazione dello specialismo medico e
assistenziale, una distruzione della sua figura etica nel senso di
un'aprioristicamente asserita “innocenza”, che in generale non
colpisce invece la figura del malato psichiatrico, se non sulla base
di contingenti equilibri interpersonali, in quanto oggettivamente più
liminare ai processi di sanitarizzazione e, dunque, più
incoercibilmente deviante e minacciosa: costituendo tale posizione,
che lo rende bersaglio delle reazioni fobiche dello scherno e della
denigrazione, il suo drammatico ma innegabile privilegio,
evidenziante come le chances di successo della strategia
medico-sociale della sanitarizzazione risiedano nel grado di
definibilità medica di coloro che ne sono oggetto, incontrando un
persistente ostacolo laddove quest'ultimo, come nel caso del “malato
psichico”, è particolarmente basso e problematico.
Antonio
Roberto Budini, invece, fedele alla provocatoria espressione del
libertino e illuminista Saint-Just (“Coloro che fanno le
rivoluzioni a metà non fanno che scavarsi la fossa”) sottolinea
nettamente la stretta connessione tra le dinamiche di liberazione
animale e quelle di liberazione umana (si veda come Rustichello da
Pisa riporti fra l'altro un semplice dato: “In realtà alcuni degli
esempi più forti di lotte ecologiste e di concezioni di esistenza
immuni all'antropocentrismo provengono da Paesi dove la popolazione è
gravata dalla miseria più atroce, basti pensare all'India, al
Brasile, al Kenya...”): evidenzia, dunque, il proliferare
incontrollabile della figura della cavia dall'ambito dell'animale non
umano a quello umano. Scrive Budini: “Nelle carceri, nelle sale
maternità degli ospedali, nei manicomi, nelle case per
anziani...ovunque vi siano soggetti indifesi e ricattabili, la
sperimentazione farmacologica viene applicata in silenzio: l'AZT ad
esempio (ultimo prodotto di grido nella ricerca anti-aids) viene
continuamente sperimentato su cavie umane, spesso inconsapevoli degli
effetti che produce, le quali cavie a lungo andare si ritrovano le
cellule del midollo osseo non più in grado di produrre globuli
rossi”, a sottolineare come la figura della cavia non-umana si
proietti a livello umano in particolare su quei soggetti che ricadano
in definizioni identitarie dalla valenze de-umanizzanti, per lo più
catalizzate dal fattore della discriminazione classista (quali in
particolare i “malati mentali”, gli anziani invalidi, le donne
incinte, e dunque pienamente reificate in ragione dell'attivarsi
della loro funzione riproduttiva). Tali trapassi identitari sono
propriamente leggibili come procedimenti di espulsione dalla specie
Straight, produttori di soggetti “umani” concettualmente
extra-specifici: a mettere in luce il concetto di specie quale
artefatto sociale e, per usare la nota espressione di Thomas Szasz,
mito strategico, evidenziando il concetto di essere umano quale
invenzione antropomitica. Il titolo scelto, Il
salto,
è portatore di un auspicio radicale: l'infrazione da parte del
movimento anarchico del paradigma antropocentrico, intesa quale gesto
impronosticato ed enigmatico, prelusivo di trasformazioni
cataclismatiche ed incalcolabili, parallelo all'attivazione di una
radicale filosofia dell'azione che situi la nuova anarchia in una
posizione culturale e operativa che può trovare ispirazione, e nel
primo Futurismo, e nell'anarchismo ottocentesco con la sua storica e
controversa “propaganda del fatto”.
La valorizzazione dell'azione
enunciata da Budini ravvicina oggettivamente il moderno militante
libertario all'obsoleto estremista di destra, con il suo ribellismo
auto-proclamantesi “eroico” e “spirituale”, presentando
tuttavia, nel comune riconoscimento dell'imprescindibiltà
etico-estetica dell'azione, eccedente l'odierna temperie quietista di
matrice cristiana, una valenza ribaltata rispetto a questi: fungendo,
per il libertario, la sfera dell'azione da sconfermatore identitario,
laddove come sottolinea Budini, si sia disponibili a “far valere
l'esagerato vissuto contro la filosofia della quiete” (sottraendosi
definitivamente al rischio di essenzializzazione della propria
soggettività o peggio di normazione psicologico/psichiatrica di
essa). Al contrario, sulla base delle strutture concettuali
dell'estremismo di destra la valenza attribuita all'azione è
fondamentalmente opposta, cioè di illusorio confermatore
identitario, più vicina alla preoccupante figura del maschio
ignorante che correndo in automobile provoca inutili incidenti o,
infine, al lanciatore di massi dal cavalcavia, che a quella,
identitariamente pretesa, dell' “eroe”. Mette, infatti, in luce il
semiologo Umberto Eco nel suo saggio del 1995
Totalitarismo “Fuzzy” e Ur-fascismo,
parlando dell'irrazionalismo proprio dell'ottica fascista:
“L'irrazionalismo dipende anche dal culto dell'azione per l'azione.
L'azione è bella in sé, e dunque deve essere attuata prima di, e
senza una qualunque riflessione. Pensare è una forma di evirazione.
Perciò la cultura è sospetta nella misura in cui viene identificata
con atteggiamenti critici […].Gli intellettuali fascisti ufficiali
erano principalmente impegnati nell'accusare la cultura moderna e
l'intellighenzia liberale di aver abbandonato i valori tradizionali”
(atteggiamento accusatorio confermato, con stile tipicamente
psichiatrico, che cela cioè, come sottolinea Thomas Szasz, “la
denigrazione dietro la diagnosi”, dal Dittatore dello Stato Libero
di Bananas, nell'omonimo, implacabilmente comico, film di Woody
Allen, riferendosi al personaggio interpretato da quest'ultimo: “E'
un bacato, un comunista, un intellettuale ebreo pazzo comunista di
New York . Non è che con questo ne voglia dir male”).
Si può
dunque ritenere che lo scadimento del futurismo italiano dalle
iniziali prospettive anarcoidi (comunque spesso riaffiorate nella
storia del movimento) a quelle nazionaliste e infine fasciste si
situi proprio nell'incapacità di mettere a fuoco l'effettiva valenza
del proprio violentismo attivista, probabilmente per l'inadeguatezza
a risolvere positivamente il nodo problematico dell'impostazione
patriarcale della propria soggettività, già data sin dalle sue
origini, interpretata quale fattore di forza invece che di
fondamentale debolezza. Il volume, oltre a contenere una raccolta dei
testi comparsi sui giornali inglesi di movimento riguardo l'attività
del cruciale Animal Liberation Front propone un'antologia di
articoli che esibiscono le più varie angolature, con interessanti
focus sullo specismo militarista, nel suo rodaggio di nuovi armamenti
sugli animali, prima di sperimentarli definitivamente sul campo di
battaglia, così come sulle strategie complessive dell'industria
farmacologica, fino alla riproduzione di significativi e storici
volantini di critica antispecista. Non manca una raccolta informativa
di notizie sulle strutture produttive coinvolte nello sfruttamento
specista, ed un'accurata sitologia: come sottolinea Antonio Roberto
Budini, “non è l'insurrezione radicale un sogno utopistico, non è
la liberazione dell'uomo e dell'animale, bensì la rivolta parziale,
la rivoluzione politica, la rivoluzione che lascia in piedi i
pilastri del vecchio ordine”.
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