17/10/13
08/10/13
[Books for punx]
Massimo Filippi, Filippo Trasatti, “Crimini in tempo di pace. La questione animale e l'ideologia del dominio”, Elèuthera, Milano 2013
[Sarta] Denso di significato, strabordante di citazioni e riferimenti, originale ed efficace nella sua architettura logica: “Crimini in tempo di pace” (titolo evidentemente ispirato a Franco Basaglia) è “un lavoro di ricognizione (…) nei non-luoghi della violenza istituzionalizzata”, un viaggio dantesco negli abissi delle strutture di dominio che permeano la nostra società. E' un libro che potremmo definire “militante”, che parte dalle tematiche antispeciste, riassunte in maniera esaustiva nei loro paradigmi salienti, per mostrarci nuove strade, suggerendo, nel finale dal sapore quasi mistico e visionario, rinnovate strategie di lotta.
E' difficile riassumere in poco spazio il mare di temi e citazioni sviluppato dagli autori. Una prima peculiarità è rappresentata dall'ingegnosa struttura del libro: i quattro capitoli sono corredati ciascuno da una parte di esemplificazioni intitolata “figure”, attraverso la quale gli assunti teorici vengono di volta in volta affiancati a delle storie (reali o letterarie) che trattano della medesima questione da “dentro”, fornendoci, attraverso il processo di immedesimazione nei personaggi, una comprensione più efficace.
La questione fondamentale da cui parte la narrazione è l'analisi della presunta soglia, di matrice ideologica, che separa ciò che viene considerato animale da ciò che si ritiene umano: il nostro rapporto con gli altri esseri viventi è tutto basato su questo processo, ora inclusivo, ora esclusivo. Trovarsi nella sfera degli "animali" significa subire un processo di reificazione, essere trasformati in oggetti e privati di qualsiasi considerazione di ordine morale. Può darsi che a volte questa soglia si allarghi, arrivando ad includere gli animali da compagnia, i nostri “pet”, e che altre volte si restringa, escludendo altri umani per giustificarne l'uccisione o lo sfruttamento, ma tale soglia è sempre presente e costituisce il metro con il quale ci relazioniamo con il mondo. Come si diceva a proposito del libro di Melanie Joy, questo predominio dell'uomo su ciò che egli considera altro da sé (la natura e quindi anche gli animali), si è esteso grazie alla tecnologia e istituzionalizzato, reso invisibile: un dominio capace di occultare l'orrendo grumo di violenza e oppressione al quale è intrinsecamente connesso e grazie al quale si perpetra. Eppure, a ben guardare, tutto è quotidianamente ben evidente, davanti ai nostri occhi. E' grazie a questa “follia della normalità” che l'attuale status quo si sostiene e ci appare in tutto il suo abissale orrore solo quando attuiamo un radicale mutamento del nostro sguardo, quando riusciamo a osservare il mondo senza le lenti del “carnismo”.
[Sarta] Denso di significato, strabordante di citazioni e riferimenti, originale ed efficace nella sua architettura logica: “Crimini in tempo di pace” (titolo evidentemente ispirato a Franco Basaglia) è “un lavoro di ricognizione (…) nei non-luoghi della violenza istituzionalizzata”, un viaggio dantesco negli abissi delle strutture di dominio che permeano la nostra società. E' un libro che potremmo definire “militante”, che parte dalle tematiche antispeciste, riassunte in maniera esaustiva nei loro paradigmi salienti, per mostrarci nuove strade, suggerendo, nel finale dal sapore quasi mistico e visionario, rinnovate strategie di lotta.
E' difficile riassumere in poco spazio il mare di temi e citazioni sviluppato dagli autori. Una prima peculiarità è rappresentata dall'ingegnosa struttura del libro: i quattro capitoli sono corredati ciascuno da una parte di esemplificazioni intitolata “figure”, attraverso la quale gli assunti teorici vengono di volta in volta affiancati a delle storie (reali o letterarie) che trattano della medesima questione da “dentro”, fornendoci, attraverso il processo di immedesimazione nei personaggi, una comprensione più efficace.
La questione fondamentale da cui parte la narrazione è l'analisi della presunta soglia, di matrice ideologica, che separa ciò che viene considerato animale da ciò che si ritiene umano: il nostro rapporto con gli altri esseri viventi è tutto basato su questo processo, ora inclusivo, ora esclusivo. Trovarsi nella sfera degli "animali" significa subire un processo di reificazione, essere trasformati in oggetti e privati di qualsiasi considerazione di ordine morale. Può darsi che a volte questa soglia si allarghi, arrivando ad includere gli animali da compagnia, i nostri “pet”, e che altre volte si restringa, escludendo altri umani per giustificarne l'uccisione o lo sfruttamento, ma tale soglia è sempre presente e costituisce il metro con il quale ci relazioniamo con il mondo. Come si diceva a proposito del libro di Melanie Joy, questo predominio dell'uomo su ciò che egli considera altro da sé (la natura e quindi anche gli animali), si è esteso grazie alla tecnologia e istituzionalizzato, reso invisibile: un dominio capace di occultare l'orrendo grumo di violenza e oppressione al quale è intrinsecamente connesso e grazie al quale si perpetra. Eppure, a ben guardare, tutto è quotidianamente ben evidente, davanti ai nostri occhi. E' grazie a questa “follia della normalità” che l'attuale status quo si sostiene e ci appare in tutto il suo abissale orrore solo quando attuiamo un radicale mutamento del nostro sguardo, quando riusciamo a osservare il mondo senza le lenti del “carnismo”.
L'umano a sinistra è Peter Singer, quello a destra Tom Regan |
Dopo aver messo in evidenza come la società umana sia costruita su questo mastodontico meccanismo di sfruttamento istituzionalizzato del vivente, la seconda parte del libro si occupa di prendere in esame quello che viene chiamato antispecismo “classico”. Si tratta forse della parte più interessante e originale del volume, dove i "padri" fondatori dell'antispecismo prima maniera, Peter Singer e Tom Regan, vengono sottoposti ad una critica “per vie esterne”, come in uno sguardo panoramico dall'alto. E' nell'individuazione dei limiti ideologici del pur solido impalcato teorico dei testi di Singer e Regan che possiamo inserire la lotta allo specismo in un più generale quadro di cambiamento radicale della società: superando il permanere del paradigma antropocentrico (quel continuo cercare la presenza del “proprio” sentire umano nelle altre specie che ha caratterizzato il primo antispecismo di carattere “morale”) sarà possibile sviluppare una visione della realtà imperniata sulle differenze, anziché sull'identità. Citando la celebre frase di Jeremy Bentham – “La domanda da porre non è 'possono ragionare?', né 'possono parlare?', ma 'possono soffrire?'” – l'accento non è più posto come in Singer, sul “soffrire” ma sul “possono”, in qualcosa che è suggerito dalla natura progressiva della vita. L'identità non può mai esistere a priori ma viene sempre a svilupparsi attraverso un incontro. E' lì che acquisisce realtà: è nell'atto discorsivo in cui si esprime, è nella relazione tra due o più individui che si manifesta. Pertanto qualunque identità concepita a priori non può che fondarsi su di una matrice di natura ideologica. La peculiarità che ci accomuna più delle altre a tutta la sfera della natura è la nostra vulnerabilità corporea, la nostra mortalità e l'im-potenza del poter soffrire. Tutti siamo potenzialmente carne macellabile e tutti siamo dotati di differenze. E queste differenze, che nell'attuale società vengono trasformate sistematicamente in dominio, non sono sinonimo di gerarchia. Piuttosto “ciò dovrebbe comportare uno spostamento della prassi antispecista da ragionamenti morali di proselitismo volti a colpevolizzare gli altri specisti a politiche dell'amicizia intese a far risuonare la comune condizione di vittime in cui sono presi sia gli umani che i non umani, condizione resa sì possibile dalla loro im-potenza costitutiva ma che è stata istituzionalizzata e amplificata da un sistema di potere che incessantemente separa l'Umano dal resto del vivente tramite la negazione dell'im-potenza di quest'ultimo (…). L'enfasi passa così dalla preservazione della sacralità della vita, con tutto quello che ne consegue, alla rammemorazione della mortalità condivisa, con tutto quello che ci precede”.
E' in questo spostamento del centro dall'interno della nostra soggettività verso ciò che invece sta a metà strada tra due individui che si incontrano, che dovremo cercare la leva per rovesciare – sin dalla nostra quotidianità – questa sporca società.
E' in questo spostamento del centro dall'interno della nostra soggettività verso ciò che invece sta a metà strada tra due individui che si incontrano, che dovremo cercare la leva per rovesciare – sin dalla nostra quotidianità – questa sporca società.
Filippo Trasatti e Massimo Filippi alla Pentola Vegana |
Venerdì 4 Ottobre, Monza. Presentazione del libro “Crimini in tempo di pace” a “La pentola vegana”
[Sarta] Domani è sabato e dovrò lavorare tutto il giorno: cosa ci può essere di meglio per risollevarmi da questa misera sorte che andare con gli amici-sodali del collettivo a farsi una cenetta vegan innaffiata da vino biologico? E se poi c'è anche la presentazione di un libro di quelli giusti, beh, il quadro è perfetto! Siamo dunque andati ad esplorare questo nuovo locale vegan aperto a ridosso del centro della borghesissima Monza e, con grande gioia mista ad un po' di sorpresa, abbiamo scoperto un posto amichevole, per niente improntato a quel salutismo radical chic che caratterizza molti posti vegan-friendly dalle nostre parti. Qui si mangia benissimo, a poco prezzo e si trovano soprattutto un sacco di libri e riviste interessanti sul tema dell'antispecismo e dell'alimentazione.
Sono presenti, come annunciato, Massimo Filippi e Filippo Trasatti, entrambi gli autori del libro, che hanno intavolato una piacevole chiacchierata, arricchendo i contenuti del loro lavoro con aneddoti inediti. Ripensando alla struttura del loro libro, dove ogni capitolo è affiancato da una parte di storie alle quali è affidato il compito di esemplificare i contenuti teorici, mi viene in mente a ciò che abbiamo sempre sostenuto. Ovvero: è molto più efficace percepire le emozioni sulla pelle di chi le vive, piuttosto che affannarsi a spiegarle con paradigmi teorici. Le idee le abbandoni, ogni tanto, ma le esperienze le fai tue per sempre! Le nostre canzoni meglio riuscite, sin dagli esordi, non si affidano a slogan o a facili proclami, piuttosto cercano programmaticamente di raccontare storie emozionando chi ascolta attraverso l'immedesimazione nei personaggi.
[Sarta] Domani è sabato e dovrò lavorare tutto il giorno: cosa ci può essere di meglio per risollevarmi da questa misera sorte che andare con gli amici-sodali del collettivo a farsi una cenetta vegan innaffiata da vino biologico? E se poi c'è anche la presentazione di un libro di quelli giusti, beh, il quadro è perfetto! Siamo dunque andati ad esplorare questo nuovo locale vegan aperto a ridosso del centro della borghesissima Monza e, con grande gioia mista ad un po' di sorpresa, abbiamo scoperto un posto amichevole, per niente improntato a quel salutismo radical chic che caratterizza molti posti vegan-friendly dalle nostre parti. Qui si mangia benissimo, a poco prezzo e si trovano soprattutto un sacco di libri e riviste interessanti sul tema dell'antispecismo e dell'alimentazione.
Sono presenti, come annunciato, Massimo Filippi e Filippo Trasatti, entrambi gli autori del libro, che hanno intavolato una piacevole chiacchierata, arricchendo i contenuti del loro lavoro con aneddoti inediti. Ripensando alla struttura del loro libro, dove ogni capitolo è affiancato da una parte di storie alle quali è affidato il compito di esemplificare i contenuti teorici, mi viene in mente a ciò che abbiamo sempre sostenuto. Ovvero: è molto più efficace percepire le emozioni sulla pelle di chi le vive, piuttosto che affannarsi a spiegarle con paradigmi teorici. Le idee le abbandoni, ogni tanto, ma le esperienze le fai tue per sempre! Le nostre canzoni meglio riuscite, sin dagli esordi, non si affidano a slogan o a facili proclami, piuttosto cercano programmaticamente di raccontare storie emozionando chi ascolta attraverso l'immedesimazione nei personaggi.
Alla
fine della presentazione e della cena, bello rigonfio di cibo e vino,
vado ad importunare i due autori con le mie petulanti questioni.
Tornando a casa, Puj mi suggerisce che in effetti avremmo potuto
porre all'attenzione della discussione forse la cosa più evidente di
tutte. Ovvero: la critica che l'antispecismo muove alla società è
inequivocabilmente costruita su basi razionali. Ha dei forti fondamenti
filosofici, nel senso più disciplinare del termine, costruiti attraverso
un pensiero logico, "corretto" nei suoi passaggi. La critica anti-specista é perfettamente condivisibile, se
ben esposta: come dice Tom Regan, siamo perfettamente convinti che le
nostre idee possano prevalere in una discussione pacata e senza
schiamazzi. Eppure – ed ecco la domanda – perché l'antispecismo, pur
essendosi molto diffuso negli ultimi anni, non ha la presa che dovrebbe
avere sulle (tante) persone che affermano di "amare gli animali"? E' tutto davanti ai nostri occhi, sembrerebbe così facile, eppure
la gente non vede: ogni giorno incontriamo individui così ben
plasmati da questo osceno sistema da non riuscire realmente a prendere
coscienza di ciò che è reale, lì, davanti al loro naso.
La verità, in fondo, sta nel fatto che questa società non è affatto
razionale, come vorrebbe farci credere la nostra mente: anzi, è del tutto illogica! Le
persone non sono forse grumi di nevrosi e irrazionalità? Non
assistiamo tutti i giorni a fiumi di esseri umani costretti a spostarsi in condizioni pietose per vendere forza
lavoro, a reiterare comportamenti insalubri per nonsisabenecosa? Quando c'è da difendere le proprie abitudini, quanti sono disposti a porsi problemi? In fin dei conti: quanto
del nostro quotidiano è necessario e quanto invece è frutto di
automatismi imposti? Ma – d'altronde – we are living in a psycho-chaos era!
06/10/13
[Torniamo a parlare di musica, con una breve rassegna di quanto, negli ulimi tempi, la scena punk DIY delle nostre parti - Milano e province limitrofe - ha proposto di nuovo!... ].
[Puj] Partiamo con una scelta audace, quella di parlare di Gino e del suo progetto Nihilist Waves. One-man band dedita a generare, più o meno, rumore. Rumore per distruggere l'esistente, però! La definizione che Gino offre della sua musica è piuttosto didascalica, ma efficace: "Progetto rumorista sperimentale che mira a denunciare l'oppressione dell'individuo e della natura con suoni che non rispettano l'idea generale di musica".
Due le produzioni discografiche di Nihilist Waves: il primo e finora unico album (Il primo attentato) é composto cinque pezzi di noise sintetico piuttosto minimal dai titoli un po' criptici (tipo Collasso di una navicella spaziale, Non ci sono soldi per la fattura, L'essenza e il comportamento dei pensieri). Il tutto si apre con il celeberrimo discorso di Gianmaria Volonté in "Indagine su un cittadino aldisopra di ogni sospetto" ("Repressione è civiltà!" tanto per intenderci...). Poi c'è la partecipazione ad una compilation dal titolo "Nazis make me vomit!": Gino ci sculaccia i padiglioni auricolari con un pezzo dal titolo ben più esplicito dei suoi standard: The only good fascist is... the dead fascist.
Noi, non si sa bene perché, apprezziamo Gino e le sue mirabolanti esibizioni live, quando, accucciato sul pavimento suona una tastierina trovata nell'uovo di pasqua e grida senza essere sentito da nessuno. In un panorama musicale dove tutti tendono ad imitare quello che fa l'altro, lui ha scelto una strada impervia e, diciamo, coraggiosa: quella di offrirsi in pasto al pubblico in tutta la sua nuda solitudine, in tutta la sua diversità musicale/lessicale che purtroppo, come tutte le differenze, genera perplessità e distanza, e nei casi peggiori pernacchie e sfottò. Gino: un martire dei nostri tempi? Vabbé. Che per le proposte artistico-musicali di questo genere, sia difficile esprimere un giudizio secondo i tradizionali canoni estetici, è ovvio, ma non ci pare davvero un problema: quel che ci interessa é l'intento: che è quello di squarciare la coltre di apatia che ci circonda!
Un problema c'è però, ed é l'impianto artigianale con il quale Gino si presenta solitamente sul palco, che è sgangherato e malfunzionante, e incarna l'incubo di ogni fonico, perché genera feed-back atroci e lancinanti. Rumorismo sperimenatale o pick-up difettosi?
>>> Download/listen NIHILIST WAVES "Il primo attentato" via Bandcamp!
Due le produzioni discografiche di Nihilist Waves: il primo e finora unico album (Il primo attentato) é composto cinque pezzi di noise sintetico piuttosto minimal dai titoli un po' criptici (tipo Collasso di una navicella spaziale, Non ci sono soldi per la fattura, L'essenza e il comportamento dei pensieri). Il tutto si apre con il celeberrimo discorso di Gianmaria Volonté in "Indagine su un cittadino aldisopra di ogni sospetto" ("Repressione è civiltà!" tanto per intenderci...). Poi c'è la partecipazione ad una compilation dal titolo "Nazis make me vomit!": Gino ci sculaccia i padiglioni auricolari con un pezzo dal titolo ben più esplicito dei suoi standard: The only good fascist is... the dead fascist.
Noi, non si sa bene perché, apprezziamo Gino e le sue mirabolanti esibizioni live, quando, accucciato sul pavimento suona una tastierina trovata nell'uovo di pasqua e grida senza essere sentito da nessuno. In un panorama musicale dove tutti tendono ad imitare quello che fa l'altro, lui ha scelto una strada impervia e, diciamo, coraggiosa: quella di offrirsi in pasto al pubblico in tutta la sua nuda solitudine, in tutta la sua diversità musicale/lessicale che purtroppo, come tutte le differenze, genera perplessità e distanza, e nei casi peggiori pernacchie e sfottò. Gino: un martire dei nostri tempi? Vabbé. Che per le proposte artistico-musicali di questo genere, sia difficile esprimere un giudizio secondo i tradizionali canoni estetici, è ovvio, ma non ci pare davvero un problema: quel che ci interessa é l'intento: che è quello di squarciare la coltre di apatia che ci circonda!
Un problema c'è però, ed é l'impianto artigianale con il quale Gino si presenta solitamente sul palco, che è sgangherato e malfunzionante, e incarna l'incubo di ogni fonico, perché genera feed-back atroci e lancinanti. Rumorismo sperimenatale o pick-up difettosi?
>>> Download/listen NIHILIST WAVES "Il primo attentato" via Bandcamp!
Gino con due fan. |
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DOMS (grind-fitness, Milano) - 4tks demo (2013)
[Puj] Un nuovo genere si fa largo nel panorama musicale odierno: il grind-fitness! Per ora lo suonano solo i grandi DOMS di Milano. La muscia dei DOMS (acronimo di delayed onset muscle soreness, in italiano: "indolenzimento muscolare ad insorgenza ritardata") è davvero una session di aerobica estrema. Formazione a tre (due chitarra e una batteria), capitanata dalla signorina Satanana, che non ha tempo da perdere, perché canta e suona la chitarra insieme, dimostrando di sapersi districare alla grande in mezzo a riff sincopati, cambi di tempo, battute dispari e altre trovate amene che rendono la vita di ogni musicista piuttosto complicata. Clazzo, all'altra chitarra, le dà fortunatamente una mano.
Anziché utilizzare una comoda drum-machine, i DOMS si sono dotati di un batterista cyborg (nome in codice: Santa Chove) che umilia il genere umano con il suo drumming spaventoso: d'altronde un uomo non sarebbe mai stato in grado di eseguire quelle partiture, quindi la scelta di un alieno bio-meccanico è stata pressoché obbligata.
Per ora i DOMS si sono limitati a trivellare le nostre orecchie in occasione di una manciata di concerti qua e là nel circondario e hanno prodotto un demo di 4 pezzi piuttosto notevoli: grind-fitness perfetto, oserei dire. "This is a demo, just to be heard around and get feedback. We hope to be recording something serious soon", dicono.
Detto questo, indossate indumenti comodi e scarpe da jogging, per seguire i DOMS nei loro live. Ah! Non dimenticate i polsini di spugna per asciugare il sudore, che fanno tanto vintage anni '80!
>>> Listen/Download DOMS 4tks. demo via Bandcamp!
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MOTRON (sleaze-crust, Varese) - s/t (cd 2013)
[Puj] Disco senza compromesso alcuno quello dei Motron, quartetto della provincia di Varese, composto da facciazze note del giro punk/d.i.y. nostrano: Ago (Miseria/Kontatto) alla chitarra, il Gra (Campus Sterminii) alla voce, Arca (Miseria) al basso e Luchino alla batteria. Schiacciare play qui è come mettere il piede a paletta sull'acceleratore e imboccare una strada senza uscita: il viaggio non dura molto, il tempo giusto per permettersi di non toccare mai il pedale del freno.
Se siete così perversi da cercare un incrocio ideale tre Extreme Noise Terror e Guns'n'Roses, qui lo potete trovare: ritmiche crust, voce stench, simpatici assoli sleaze-rock e attitudine da teppista di provincia. Discreta bombetta! I testi raccontano della vita di tutti i giorni, cioé tipo di quando mangi una pizza troppo salata e la notte hai gli incubi ("Kiss of death") oppure quando finisce il concerto e scopri che sei circondato da zombie ubriachi ("They are going to eat me") e vorresti salvarti, ma non puoi perché sei... uno di loro! Comunque nessuno perda tempo a leggere i testi dei Motron, dato che loro la pensano così: "If you enjoy the music just for the lyrics... FUCK OFF!". Però è un peccato, perché i loro testi dicono anche cose interessanti: per esempio, la presa di posizione di "Drugs for fun", è abbastanza audace, perché consiste in una dichiarazione chiara ed inequivoabile sul tema droga, raramente affrontato in maniera così esplicita dalle bands (anche quelle che della droga fanno un largo uso): "Without any drugs I can't paly rock'n'roll, drink and sniff is all I need. Destroy all around and wait for my down. I need some drugs, some drugs for fun". Beh!
>>> Listen MOTRON album via Youtube!
OVERCHARGE (Panzerdrumming punx, Varese) - demo (2013)
[Puj] Massive D-beat-R'n'R Punx Bastard: occorre aggiungre altro? Restiamo in territori crust'n'roll con gli Overcharge, anche loro dalla provincia di Varese anche loro devoti ai Motorhead. Rispetto ai Motron qui c'è più metal e meno sleazeness, e lo stesso culto per la velocità.
I riffoni proto-metal che ci accompagnano nel regno della perversione metallica degli Overcharge mostano un certo amore per la musica tonale, che tanti colleghi disprezzano: "Accellerate", per esempio, è un bel pezzo classic-metal immerso nelle acque putride di una palude, che conserva, malgrado tutto, grande enfasi epica, da cavalcata trionfale nella tempesta.
L'inizio di "Drown in our own" denota invece la grande tecnica chitarristica di Josh, che dietro la scorza di turpe axeman puzzone nasconde una raffinatezza hendrixiana, che noi conosciamo bene... Panzer nel frattempo picchia sulla batteria come per distruggerla, e garantisce all'ascoltatore un head-banging regolare e costante, come prescrive il medico. Fabio, infine, sbiascica meavigliosamente dietro al microfono, come se non avesse fatto altro per tutta una vita. Risultato: la perfezione. L'equilibrio totale tra punk e metal, che ultimamente tanti cercano e che nessuno trova. Booom!
>>> Download/listen OVERCHARGE demo via Bandcamp!
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CORPSE (Powerviolence, Milano) - Nessuna Governabilità (e.p. 2013)
[Puj] Inizialmente non avevo capito la poderosa maestà dei Cadavere, giovane quartetto di punk milanesi dedito ad una musica che se proprio volessimo incasellarla da qualche parte, la incaselleremmo sotto la etichetta un po' così del power-violence. Ascoltando con attenzione il loro demo, sono diventati la mia band-che-suona-male preferita. Di sicuro dello stile powerviolence hanno la fretta di finire (la durata media dei pezzi si aggira intorno al minuto), i testi impressionisti e la copertina del disco scelta col culo. I riff sono insensati al punto giusto, la registrazione satura e merdosa, ma quel che fa la differenza qui sono i testi, che sono incisivi e puzzano di anni '70. Fra, il cantante, mi ha detto che nel periodo in cui li ha scritti stava leggendo alcuni grandi saggi di Emilio Quadrelli, come "Andare ai Resti" e "Gabbie metropolitane", che anch'io ho letto, anzi divorato, perché bellissimi racconti, ricchi di testimonianze dirette, delle "lotte segrete" degli anni '70, quelle senza falce e martello, combattute dagli anarchici, dai banditi e dagli emarginati in genere, che la storia ufficiale dell'antagonismo quasi sempre dimentica.
Il riferimento a quegli anni non ha per i Corpse ovviamente niente di archeologico, anzi è giustamente sentimentale e allusivo, determinato da un'urgenza del tutto attuale, dall'istintiva ricerca di una conflittualità sociale più lucida e sfrontata di quella che si respira oggi.
L'ultimo pezzo é risolutore: "Sta nel prendersi la merce, sta nel prendersi la mano" è una cover (molto libera, quasi soltanto una citazione) di una canzone, forse la più bella, del cantautore milanese Gianfranco Manfredi, intitolata "Ma chi ha detto che non c'è". La reinterpretazione pedestre dei Corpse é talmente sincera da far venire le lacrime agli occhi. Lunga vita ai Corpse, quindi! I quali, ovviamente, si scioglieranno dopodomani e nessuno sentirà mai più parlare di loro... A parte gli scherzi (quali scherzi?), ci vorrebbero più gruppi in giro come questo: umili, intelligenti, romantici!
>>> Listen/download the CORPSE e.p. "Nessuna governabilità" via bandcamp!
DOMS (grind-fitness, Milano) - 4tks demo (2013)
[Puj] Un nuovo genere si fa largo nel panorama musicale odierno: il grind-fitness! Per ora lo suonano solo i grandi DOMS di Milano. La muscia dei DOMS (acronimo di delayed onset muscle soreness, in italiano: "indolenzimento muscolare ad insorgenza ritardata") è davvero una session di aerobica estrema. Formazione a tre (due chitarra e una batteria), capitanata dalla signorina Satanana, che non ha tempo da perdere, perché canta e suona la chitarra insieme, dimostrando di sapersi districare alla grande in mezzo a riff sincopati, cambi di tempo, battute dispari e altre trovate amene che rendono la vita di ogni musicista piuttosto complicata. Clazzo, all'altra chitarra, le dà fortunatamente una mano.
Anziché utilizzare una comoda drum-machine, i DOMS si sono dotati di un batterista cyborg (nome in codice: Santa Chove) che umilia il genere umano con il suo drumming spaventoso: d'altronde un uomo non sarebbe mai stato in grado di eseguire quelle partiture, quindi la scelta di un alieno bio-meccanico è stata pressoché obbligata.
Per ora i DOMS si sono limitati a trivellare le nostre orecchie in occasione di una manciata di concerti qua e là nel circondario e hanno prodotto un demo di 4 pezzi piuttosto notevoli: grind-fitness perfetto, oserei dire. "This is a demo, just to be heard around and get feedback. We hope to be recording something serious soon", dicono.
Detto questo, indossate indumenti comodi e scarpe da jogging, per seguire i DOMS nei loro live. Ah! Non dimenticate i polsini di spugna per asciugare il sudore, che fanno tanto vintage anni '80!
>>> Listen/Download DOMS 4tks. demo via Bandcamp!
Santa Chove nel suo laboratorio. Non fatevi ingannare dalla maglietta degli Spazz: non è umano! |
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MOTRON (sleaze-crust, Varese) - s/t (cd 2013)
[Puj] Disco senza compromesso alcuno quello dei Motron, quartetto della provincia di Varese, composto da facciazze note del giro punk/d.i.y. nostrano: Ago (Miseria/Kontatto) alla chitarra, il Gra (Campus Sterminii) alla voce, Arca (Miseria) al basso e Luchino alla batteria. Schiacciare play qui è come mettere il piede a paletta sull'acceleratore e imboccare una strada senza uscita: il viaggio non dura molto, il tempo giusto per permettersi di non toccare mai il pedale del freno.
Se siete così perversi da cercare un incrocio ideale tre Extreme Noise Terror e Guns'n'Roses, qui lo potete trovare: ritmiche crust, voce stench, simpatici assoli sleaze-rock e attitudine da teppista di provincia. Discreta bombetta! I testi raccontano della vita di tutti i giorni, cioé tipo di quando mangi una pizza troppo salata e la notte hai gli incubi ("Kiss of death") oppure quando finisce il concerto e scopri che sei circondato da zombie ubriachi ("They are going to eat me") e vorresti salvarti, ma non puoi perché sei... uno di loro! Comunque nessuno perda tempo a leggere i testi dei Motron, dato che loro la pensano così: "If you enjoy the music just for the lyrics... FUCK OFF!". Però è un peccato, perché i loro testi dicono anche cose interessanti: per esempio, la presa di posizione di "Drugs for fun", è abbastanza audace, perché consiste in una dichiarazione chiara ed inequivoabile sul tema droga, raramente affrontato in maniera così esplicita dalle bands (anche quelle che della droga fanno un largo uso): "Without any drugs I can't paly rock'n'roll, drink and sniff is all I need. Destroy all around and wait for my down. I need some drugs, some drugs for fun". Beh!
>>> Listen MOTRON album via Youtube!
I Motron nella loro formazione originale |
[Puj] Massive D-beat-R'n'R Punx Bastard: occorre aggiungre altro? Restiamo in territori crust'n'roll con gli Overcharge, anche loro dalla provincia di Varese anche loro devoti ai Motorhead. Rispetto ai Motron qui c'è più metal e meno sleazeness, e lo stesso culto per la velocità.
I riffoni proto-metal che ci accompagnano nel regno della perversione metallica degli Overcharge mostano un certo amore per la musica tonale, che tanti colleghi disprezzano: "Accellerate", per esempio, è un bel pezzo classic-metal immerso nelle acque putride di una palude, che conserva, malgrado tutto, grande enfasi epica, da cavalcata trionfale nella tempesta.
L'inizio di "Drown in our own" denota invece la grande tecnica chitarristica di Josh, che dietro la scorza di turpe axeman puzzone nasconde una raffinatezza hendrixiana, che noi conosciamo bene... Panzer nel frattempo picchia sulla batteria come per distruggerla, e garantisce all'ascoltatore un head-banging regolare e costante, come prescrive il medico. Fabio, infine, sbiascica meavigliosamente dietro al microfono, come se non avesse fatto altro per tutta una vita. Risultato: la perfezione. L'equilibrio totale tra punk e metal, che ultimamente tanti cercano e che nessuno trova. Booom!
>>> Download/listen OVERCHARGE demo via Bandcamp!
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Overcharge: musica per tutte le età. |
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CORPSE (Powerviolence, Milano) - Nessuna Governabilità (e.p. 2013)
[Puj] Inizialmente non avevo capito la poderosa maestà dei Cadavere, giovane quartetto di punk milanesi dedito ad una musica che se proprio volessimo incasellarla da qualche parte, la incaselleremmo sotto la etichetta un po' così del power-violence. Ascoltando con attenzione il loro demo, sono diventati la mia band-che-suona-male preferita. Di sicuro dello stile powerviolence hanno la fretta di finire (la durata media dei pezzi si aggira intorno al minuto), i testi impressionisti e la copertina del disco scelta col culo. I riff sono insensati al punto giusto, la registrazione satura e merdosa, ma quel che fa la differenza qui sono i testi, che sono incisivi e puzzano di anni '70. Fra, il cantante, mi ha detto che nel periodo in cui li ha scritti stava leggendo alcuni grandi saggi di Emilio Quadrelli, come "Andare ai Resti" e "Gabbie metropolitane", che anch'io ho letto, anzi divorato, perché bellissimi racconti, ricchi di testimonianze dirette, delle "lotte segrete" degli anni '70, quelle senza falce e martello, combattute dagli anarchici, dai banditi e dagli emarginati in genere, che la storia ufficiale dell'antagonismo quasi sempre dimentica.
Il riferimento a quegli anni non ha per i Corpse ovviamente niente di archeologico, anzi è giustamente sentimentale e allusivo, determinato da un'urgenza del tutto attuale, dall'istintiva ricerca di una conflittualità sociale più lucida e sfrontata di quella che si respira oggi.
L'ultimo pezzo é risolutore: "Sta nel prendersi la merce, sta nel prendersi la mano" è una cover (molto libera, quasi soltanto una citazione) di una canzone, forse la più bella, del cantautore milanese Gianfranco Manfredi, intitolata "Ma chi ha detto che non c'è". La reinterpretazione pedestre dei Corpse é talmente sincera da far venire le lacrime agli occhi. Lunga vita ai Corpse, quindi! I quali, ovviamente, si scioglieranno dopodomani e nessuno sentirà mai più parlare di loro... A parte gli scherzi (quali scherzi?), ci vorrebbero più gruppi in giro come questo: umili, intelligenti, romantici!
>>> Listen/download the CORPSE e.p. "Nessuna governabilità" via bandcamp!
Ecco i Corpse in tutto il loro (contenuto) splendore... |
03/10/13
[We talk about...]
PATRICIA AMA IL COBRA A SETTE TESTE! Patty Hearst, John Waters e l'Esercito di Liberazione Simbionese...
«Tutte le persone in stato d'arresto sembrano più belle. Il più brutto dei criminali sessuali e il più sgangherato dei tossici assumono un fascino particolare quando vengono ammanettati e trascinati al cospetto del pubblico americano affamato di crimine. Un nuovo criminale è l'evento più clamoroso di tutte le star dei media; è l'unico tipo di celebrità che può arrivare dalla mattina alla sera».
[Valeria] Chi scrive è John Waters, il regista di Baltimora che da una manciata di decadi sfida la morale ed il presunto buon gusto dell'americano medio con i suoi film. La citazione è stata tratta da «Shock. L'autobiografia trasgressiva e irriverente del re del trash»; il libro che è uscito per la Lindau nel 2000, a quasi quindici anni di distanza dalla pubblicazione negli Usa per l’americana Delta.
«Shock» può essere definito come il diario personale di John Waters che, dagli anni Settanta, sembra aver sposato la causa dello scandalo a tutti i costi. Spesso riconosciuto con l’appellativo «the Pope of trash» (il Papa del trash), basta vedere i suoi primi film, per confermare e legittimare quest’insolita investitura.
Scritto in prima persona, ci si aspetterebbe – come in ogni autobiografia che si rispetti – che parta dall’infanzia, e invece no, perché John Waters decide di raccontare la sua vita a partire dalla realizzazione di Pink Flamingos, primo film di successo che lo ha consacrato come massimo esperto del cattivo gusto. Il film (uscito nel 1972), reca il sottotitolo «An exercise in bad taste» e passerà alla storia per alcune scene che è difficile descrivere senza scadere nella volgarità e nell’oscenità. Dalle contrazioni a tempo di “Surfing Bird” di uno sfintere ripreso in primo piano, fino all'orripilante scena cult di coprofagia di Divine, la protagonista, nonché musa del regista: un travestito biondo platino di circa 150 chili che, nel film, lotta contro gli orribili coniugi Marble per aggiudicarsi il titolo di «persona più disgustosa del mondo».
Tra la narrazione della fase di produzione dei film (Pink Flamingos, Female Trouble, Desperate Living e Polyester), John Waters racconta i suoi ricordi e le sue ossessioni, in modo spontaneo e senza seguire una precisa cronologia. Racconta per esempio della sua passione morbosa per il crimine e i criminali, in un capitolo esilarante in cui descrive la fauna degli appassionati di cronaca nera che non si perdono un processo, tematica che tornerà sia in Female Trouble che nel blockbuster La Signora Ammazzatutti con Kathleen Turner (del 1994, presentato al 47° festival di Cannes).
Ed è qui che leggiamo per la prima volta un nome che non ci è nuovo: Patty Hearst, quella Patricia che ama il cobra a sette teste (simbolo dello SLA - l'Esercito di Liberazione Simbionese), anti-eroe tragico cantato in un pezzo contenuto nel nostro "Music is a gun loaded with future".
«Riuscire ad avere un posto a sedere a un famoso processo è come intrufolarsi alla premiazione degli Oscar: richiede gran pazienza e organizzazione. Al processo di Patty Hearst centinaia di persone aspettarono per giorni nei sacchi a pelo fuori dall'aula di tribunale per poi scoprire che c'erano solo sei o sette posti disponibili per il pubblico. [...] I fan di Patty erano adirati e si rifiutarono di spostarsi, creando così una sorta di Woodstock del crimine. Cantarono “Buon compleanno” a Patty e mangiarono rumorosamnete una torta di compleanno che aveva preparato una groupie di Patty...»
John Waters racconta di aver avuto l'onore di ascoltare la testimonianza di Patricia Hearst e scrive:
«Dopo settimane di studio di foto ingannevoli dell'accusato sui giornali è sempre un'eccitazione vedere coi propri occhi il criminale in carne e ossa. Alcuni fan svengono come groupie impazziti di rockstar. [...] Patty Hearst, comunque, fu sempre una delusione, con il suo aspetto così anonimo con le sue scarpe per bene e il suo vestiario da scuola privata: "Questa è Patty Hearst?" continuavo a pensare»
Ma chi è Patricia Campbell-Hearst? In un'America che oggigiorno dedica la copertina di Rolling Stone all'attentatore di Boston e a lettere capitali, scrive "THE BOMBER" e sottotitola "come un popolare e promettente studente, sia stato rovinato dalla sua famiglia e sia finito nell'islam radicale, diventando un mostro", in un Paese con la più numerosa popolazione carceraria nel mondo (poco meno di ottocento persone in prigione per ogni centomila abitanti circa), in cui è sancito per costituzione il diritto ad essere armati... come si colloca la vicenda assurda, violenta e ipocrita di Patricia Hearst?
Patricia è una ricca ereditiera di diciannove anni, che porta il cognome di una delle più importanti famiglie a capo di un gruppo editoriale. Nel 1974 viene rapita dallo SLA – L'esercito di Liberazione Simbionese e viene tenuta prigioniera in una cabina armadio per diverse settimane, bendata e costretta a rapporti sessuali coi cuoi carcierieri che, dopo poco meno di tre mesi, dichiara: «Mi è stata data la scelta di essere rilasciata in una zona sicura o di unirmi alle forze dell'Esercito di Liberazione Simbionese per la mia libertà e la libertà di tutti i popoli oppressi. Ho scelto di restare e di lottare». Da allora inizia il suo percorso armato al fianco dello SLA, fatto di addestramenti durissimi, rapine in banca, furti d'auto, rapimenti, fughe e clandestinità.
La sua prigionia durò 591 giorni, al termine della quale venne processata, insieme ai tre superstiti dello SLA (sei ne vennero uccisi nel maggio del '74) e condannati a 35 anni di reclusione. Patty venne difesa dallo stesso avvocato che diventerà poi famoso, per aver fatto assolvere il presunto uxoricidia O.J. Simpson.
La tesi della difesa fu quella che Patricia, nonostante i video e le foto di lei con un fucile automatico al collo che rapinava l'Hibernia National Bank, fosse vittima di un lavaggio del cervello e soffrisse di un disordine da stress post-traumatico a causa del rapimento. Si parlò inoltre di sindrome di Stoccolma, dal momento in cui la Hearst s'innamorò di uno dei suoi rapitori e stupratori. L'avvocato, invocando una sfilza di periti illuminati, riuscì a provare persino che il QI di Patricia fosse passato da 130 a 109, facendo così ridurre la sua pena a 7 anni, che poi diventarono 22 mesi, per poi essere graziata dal presidente Jimmy Carter e ottenere definitivamente l'indulto da Ronald Reagan e Bill Clinton.
Di quei 591 giorni in cui Patricia fu ostaggio e complice dello SLA, sono stati girati film, documentari e sono stati scritti numerosi libri, uno tra questi è Pastorale Rivoluzionaria di Christopher Sorrentino, uscito nel 2005 negli Stati Uniti col titolo "Trance". Non siamo di certo di fronte ad un capolavoro della letteratura, ma è interessante ed utile per comprendere quale sia stato il percorso che ha portato la ricca e viziata Patricia Hearst (che per questioni legali diventa Alice Galton) a diventare quella donna in divisa, in posa davanti al serpente a sette teste con un fucile in mano, che è diventata un'icona al limite del pop, col nome di battaglia di Tania.
Innumerevoli sono i riferimenti di Sorrentino alla parte, al ruolo che, in un certo senso, Patty Hearst decise di interpretare in quella vicenda violenta e sconclusionata, dietro la cui macchina da presa c'erano uomini e donne fanatici e confusi. Il gergo è quello del mondo del cinema e dello spettacolo.
"Lei ride, come da copione, e si toglie gli occhiali da sole. Né i rozzi travestimenti, né i pasti frugali, né la dura disciplina dell'addestramento hanno alterato un viso che ormai tutti conoscono. Scandendo le parole, dice: «Sono Tania Galton»"
"Lei sta per salire in macchina quando Yolanda le ricorda il copione..."
"Sembra la scena di un film muto..."
"Lei sente il brivido della fama."
Come le reginette di bellezza avide e ninfette del recente Spring Breakers di Harmony Korine, che intraprendono la via del crimine e della violenza, continuando a ripetersi "è come in un film, è come un videogioco", ecco che anche la storia di Patricia Hearst nel romanzo di Sorrentino assume delle tinte ludiche e spettacolari, come se la rivoluzione dello SLA fosse prima di tutto, un copione scritto male. Un film assurdo e grottesco in cui la ricca ereditiera dà dei "luridi insetti fascisti" ai propri genitori, in cui rapina banche che appartengono ad amici di famiglia per poi essere graziata dal Presidente che l'ha vista crescere. Una storia che ha di per sé tutti gli elementi per essere spettacolarizzata. Ed è nelle parole di Guy, un cronista che si avvicina allo SLA per raccontare la storia di Tania (e rimediarci un contratto editoriale a sei zeri) che comprendiamo a pieno la fascinazione dell'americano medio per Tania / Patricia Hearst. «Randi, avresti dovuto vederla durante il viaggio in macchina, quando abbiamo attraversato il Paese. Tutte le volte che vedeva un addetto dell'autostrada o un casellante lei diceva che bisognava farlo fuori perché era un servo del sistema. Se ne stava lì seduta a tracciare delle X sulle foto dei manager della finanza che comparivano suelle pagine di economia del giornale. Quella ragazza brava seduta accanto a me, con il suo accento impeccabile, non faceva che elencare le malefatte dei ricchi fascisti. Se è successo a lei può succedere a chiunque: ecco cosa ci vuole dire lo SLA. E puoi star certa che questo è un pezzo di storia. I posteri la ricorderanno se la principessa terrorista morirà qui, fra queste verdi colline. Ma sarà tutta un'altra musica se lei si arrenderà, se dirà "non facevo sul serio", se collaborerà con la giustizia e si riprenderà il suo nome, i suoi milioni e il suo fidanzato coi baffetti. Se nel giro di venticinque anni si trasformerà in una madre di famiglia di Hillsborough che va al talk show di Dick Cavett a raccontare i suoi folli trascorsi di rivoluzionaria, allora quella sarà la storia degli annia Sessanta. L'unica vera storia.»
Non a caso la stessa Patricia Hearst, dopo essersi sposata con la sua guardia del corpo e aver dato alla luce due figlie, intraprenderà una carriera da attrice lanciata proprio da John Waters. E il cerchio si chiude. Più o meno.
[Da un periodico dell'epoca: "Chi c'era dietro l'Esercito di Liberazione Simbionese? L'SLA era stato forse creato e sviluppato con l'intento di collegare i gruppi di sinistra al terrorismo e alla violenza?"]
PATRICIA AMA IL COBRA A SETTE TESTE! Patty Hearst, John Waters e l'Esercito di Liberazione Simbionese...
«Tutte le persone in stato d'arresto sembrano più belle. Il più brutto dei criminali sessuali e il più sgangherato dei tossici assumono un fascino particolare quando vengono ammanettati e trascinati al cospetto del pubblico americano affamato di crimine. Un nuovo criminale è l'evento più clamoroso di tutte le star dei media; è l'unico tipo di celebrità che può arrivare dalla mattina alla sera».
Patricia Hearst al momento dell'arresto. |
John Waters e Patty Hearst nel 1988. |
«Shock» può essere definito come il diario personale di John Waters che, dagli anni Settanta, sembra aver sposato la causa dello scandalo a tutti i costi. Spesso riconosciuto con l’appellativo «the Pope of trash» (il Papa del trash), basta vedere i suoi primi film, per confermare e legittimare quest’insolita investitura.
Scritto in prima persona, ci si aspetterebbe – come in ogni autobiografia che si rispetti – che parta dall’infanzia, e invece no, perché John Waters decide di raccontare la sua vita a partire dalla realizzazione di Pink Flamingos, primo film di successo che lo ha consacrato come massimo esperto del cattivo gusto. Il film (uscito nel 1972), reca il sottotitolo «An exercise in bad taste» e passerà alla storia per alcune scene che è difficile descrivere senza scadere nella volgarità e nell’oscenità. Dalle contrazioni a tempo di “Surfing Bird” di uno sfintere ripreso in primo piano, fino all'orripilante scena cult di coprofagia di Divine, la protagonista, nonché musa del regista: un travestito biondo platino di circa 150 chili che, nel film, lotta contro gli orribili coniugi Marble per aggiudicarsi il titolo di «persona più disgustosa del mondo».
Tra la narrazione della fase di produzione dei film (Pink Flamingos, Female Trouble, Desperate Living e Polyester), John Waters racconta i suoi ricordi e le sue ossessioni, in modo spontaneo e senza seguire una precisa cronologia. Racconta per esempio della sua passione morbosa per il crimine e i criminali, in un capitolo esilarante in cui descrive la fauna degli appassionati di cronaca nera che non si perdono un processo, tematica che tornerà sia in Female Trouble che nel blockbuster La Signora Ammazzatutti con Kathleen Turner (del 1994, presentato al 47° festival di Cannes).
Patricia Hearst durante la rapina alla Hiberna National Bank (1974). |
«Riuscire ad avere un posto a sedere a un famoso processo è come intrufolarsi alla premiazione degli Oscar: richiede gran pazienza e organizzazione. Al processo di Patty Hearst centinaia di persone aspettarono per giorni nei sacchi a pelo fuori dall'aula di tribunale per poi scoprire che c'erano solo sei o sette posti disponibili per il pubblico. [...] I fan di Patty erano adirati e si rifiutarono di spostarsi, creando così una sorta di Woodstock del crimine. Cantarono “Buon compleanno” a Patty e mangiarono rumorosamnete una torta di compleanno che aveva preparato una groupie di Patty...»
John Waters racconta di aver avuto l'onore di ascoltare la testimonianza di Patricia Hearst e scrive:
«Dopo settimane di studio di foto ingannevoli dell'accusato sui giornali è sempre un'eccitazione vedere coi propri occhi il criminale in carne e ossa. Alcuni fan svengono come groupie impazziti di rockstar. [...] Patty Hearst, comunque, fu sempre una delusione, con il suo aspetto così anonimo con le sue scarpe per bene e il suo vestiario da scuola privata: "Questa è Patty Hearst?" continuavo a pensare»
Ma chi è Patricia Campbell-Hearst? In un'America che oggigiorno dedica la copertina di Rolling Stone all'attentatore di Boston e a lettere capitali, scrive "THE BOMBER" e sottotitola "come un popolare e promettente studente, sia stato rovinato dalla sua famiglia e sia finito nell'islam radicale, diventando un mostro", in un Paese con la più numerosa popolazione carceraria nel mondo (poco meno di ottocento persone in prigione per ogni centomila abitanti circa), in cui è sancito per costituzione il diritto ad essere armati... come si colloca la vicenda assurda, violenta e ipocrita di Patricia Hearst?
La sua prigionia durò 591 giorni, al termine della quale venne processata, insieme ai tre superstiti dello SLA (sei ne vennero uccisi nel maggio del '74) e condannati a 35 anni di reclusione. Patty venne difesa dallo stesso avvocato che diventerà poi famoso, per aver fatto assolvere il presunto uxoricidia O.J. Simpson.
L'Esercito di Liberazione Simbionese... in una foto promozionale del film "Patty - la vera storia di Patricia Hearst" (1988). |
La tesi della difesa fu quella che Patricia, nonostante i video e le foto di lei con un fucile automatico al collo che rapinava l'Hibernia National Bank, fosse vittima di un lavaggio del cervello e soffrisse di un disordine da stress post-traumatico a causa del rapimento. Si parlò inoltre di sindrome di Stoccolma, dal momento in cui la Hearst s'innamorò di uno dei suoi rapitori e stupratori. L'avvocato, invocando una sfilza di periti illuminati, riuscì a provare persino che il QI di Patricia fosse passato da 130 a 109, facendo così ridurre la sua pena a 7 anni, che poi diventarono 22 mesi, per poi essere graziata dal presidente Jimmy Carter e ottenere definitivamente l'indulto da Ronald Reagan e Bill Clinton.
Patricia Hearst durante il processo. |
Innumerevoli sono i riferimenti di Sorrentino alla parte, al ruolo che, in un certo senso, Patty Hearst decise di interpretare in quella vicenda violenta e sconclusionata, dietro la cui macchina da presa c'erano uomini e donne fanatici e confusi. Il gergo è quello del mondo del cinema e dello spettacolo.
"Lei ride, come da copione, e si toglie gli occhiali da sole. Né i rozzi travestimenti, né i pasti frugali, né la dura disciplina dell'addestramento hanno alterato un viso che ormai tutti conoscono. Scandendo le parole, dice: «Sono Tania Galton»"
"Lei sta per salire in macchina quando Yolanda le ricorda il copione..."
"Sembra la scena di un film muto..."
"Lei sente il brivido della fama."
Come le reginette di bellezza avide e ninfette del recente Spring Breakers di Harmony Korine, che intraprendono la via del crimine e della violenza, continuando a ripetersi "è come in un film, è come un videogioco", ecco che anche la storia di Patricia Hearst nel romanzo di Sorrentino assume delle tinte ludiche e spettacolari, come se la rivoluzione dello SLA fosse prima di tutto, un copione scritto male. Un film assurdo e grottesco in cui la ricca ereditiera dà dei "luridi insetti fascisti" ai propri genitori, in cui rapina banche che appartengono ad amici di famiglia per poi essere graziata dal Presidente che l'ha vista crescere. Una storia che ha di per sé tutti gli elementi per essere spettacolarizzata. Ed è nelle parole di Guy, un cronista che si avvicina allo SLA per raccontare la storia di Tania (e rimediarci un contratto editoriale a sei zeri) che comprendiamo a pieno la fascinazione dell'americano medio per Tania / Patricia Hearst. «Randi, avresti dovuto vederla durante il viaggio in macchina, quando abbiamo attraversato il Paese. Tutte le volte che vedeva un addetto dell'autostrada o un casellante lei diceva che bisognava farlo fuori perché era un servo del sistema. Se ne stava lì seduta a tracciare delle X sulle foto dei manager della finanza che comparivano suelle pagine di economia del giornale. Quella ragazza brava seduta accanto a me, con il suo accento impeccabile, non faceva che elencare le malefatte dei ricchi fascisti. Se è successo a lei può succedere a chiunque: ecco cosa ci vuole dire lo SLA. E puoi star certa che questo è un pezzo di storia. I posteri la ricorderanno se la principessa terrorista morirà qui, fra queste verdi colline. Ma sarà tutta un'altra musica se lei si arrenderà, se dirà "non facevo sul serio", se collaborerà con la giustizia e si riprenderà il suo nome, i suoi milioni e il suo fidanzato coi baffetti. Se nel giro di venticinque anni si trasformerà in una madre di famiglia di Hillsborough che va al talk show di Dick Cavett a raccontare i suoi folli trascorsi di rivoluzionaria, allora quella sarà la storia degli annia Sessanta. L'unica vera storia.»
Non a caso la stessa Patricia Hearst, dopo essersi sposata con la sua guardia del corpo e aver dato alla luce due figlie, intraprenderà una carriera da attrice lanciata proprio da John Waters. E il cerchio si chiude. Più o meno.
[Da un periodico dell'epoca: "Chi c'era dietro l'Esercito di Liberazione Simbionese? L'SLA era stato forse creato e sviluppato con l'intento di collegare i gruppi di sinistra al terrorismo e alla violenza?"]
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