09/05/11

[Kalashnikov tour report]
KALASHNIKOV COLLECTIVE TOURING THE BALKANS!
Santificata la pasqua anarcopunk con brindisi di Finkbrau e messa cantata in growl, lunedì 25 aprile (festa della liberazione o pasquetta o, meglio, liberazione dalla pasquetta) belli freschi e stipati come sarde nel furgone, attrezzati di mappe autoprodotte tracciate sul tabellone del Risiko, salpiamo alla volta dei balcani. La ciurma: Milena (voce), Sarta e Puj (chitarra), il Nonno (basso), il Don (tastiere), Lisa (synth), Rissa (batteria), Claudio (driver che perde tutto), più Maria e Ludò. Cinque stati, cinque dogane, cinque valute, cinque concerti, tremila chilometri in sei giorni. Uff, un gioco da ragazzi…

[K. touring the balkans - 1]
Lunedì 25/4: Kranj, Slovenia @ Kud Subart + Riot Brigade (D)
Qualcuno chiama la Slovenia “la Svizzera dei balcani”: in effetti è montagnosa e pittoresca, però immaginatevi una Svizzera nella quale hanno imperversato per decenni architetti filosovietici con una predilezione per il cemento armato… Accanto alle casupole in legno e i verdi pascoli troverete quindi tetri condomini e muri di Berlino in miniatura.
Torniamo sul luogo del derelitto: Kranj. Abbiamo conosciuto questa ridentissima località tre anni fa, quando suonammo in uno sgabuzz
ino a fianco di un enorme concerto metal. Oggi quel posto è stato murato, ma sull’altra sponda del fiume è stato aperto un sordido localino chiamato Kud Subart che ospiterà il nostro concerto e quello dei tedeschi Riot Brigade.
Dopo una breve passeggiata, appuriamo con soddisfazione che Kranj è rimasta la città spettrale e deprimente che abbiamo tanto amato. Anche Darci è rimasto il buffo promoter anarcopunk di tre anni fa, simpatico e molto confuso, quasi fosse lì per sbaglio. Ci presenta la cena: in un pentolone incandescente di proporzioni abnormi galleggiano, raminghi, teste di zucchine ed arti di cavolfiore immersi in un liquame sanguinolento. Darci ci confessa di aver inavvertitamente rovesciato nel pentolone l’intero barattolo del sale, ma ci dice di non temere: dopo ci ha buttato dentro anche quello dello zucchero e quindi tutto dovrebbe essere tornato normale. Non è esattamente così. Però la temperatura vulcanica della pietanza ci rinfranca. Nel frattempo inizia a piovere a catinelle, dritto dritto nella zuppa.
Eccovi un’equazione anarcopunk per sintetizzare l’andamento della serata: lunedì di pasqua + due gruppi stranieri + zero gruppi locali + tempo da armageddon = 4 spettatori + entrata gratuita = zero euro di rimborso.
Tra i pochi avventori alcuni risultano comunque notevoli: per esempio, un cinquantenne tutto unto e con un salame nel taschino (ehm, sì, proprio come nei fumetti di Jacov
itti), ben fornito di erba che sostiene di coltivare lui stesso (ci fidiamo e non approfondiamo le modalità di coltura). Sorprendentemente, quando suoniamo da queste parti, c'é sempre qualcuno che ci conosce sulla base di mitologiche cassette bootleg dei nostri primi due album circolate sette, otto anni fa nella ex-yugoslavia: anche Darci confessa di essere cresciuto ascoltando uno di questi fantomatici nastri, che nessuno di noi però é mai riuscito a vedere...
I Riot Brigade aprono il loro set: un tripudio di salti, piegamenti, flessioni, esercizi al quadro svedese, figure agli anelli… insomma un vero è proprio saggio di aerobica h.c. Il sudore versato è ammirevole, ma un po’ vano considerando il pubblico di pupazzi. Avendo intravisto la scaletta dei Riot (composta da un centinaio di pezzi) ci mettiamo comodi a sorseggiare Lasko (classica birra slovena, dolce e cartonata), ma dopo una manciata di minuti il batterista, nella trance agonistica, sfonda la pelle della cassa. Interpretandolo come monito divino, i tedeschi interrompono il concerto e, benché abbiano una cassa di riserva, ci lasciano il palco. Nel frattempo, sarà che ha smesso di piovere, sarà che è terminata la puntata del quiz serale del Gerry Scotti sloveno, sarà quel che sarà, ma il pubblico è notevolmente aumentato e mostra di apprezzare il romantic punk all’italiana. A gradire in modo particolare é una signora con doppio mento e vestito a fiori.
A fine concerto, i presenti sono ubriachi persi come alpini in congedo. Chiediamo a Darci: dove dormiremo? Qui! è la risposta. Valutiamo la situazione: il freddo è polare, c’è un’umidità oscena, l'aria puzza di rancido e siamo immersi in una nube di nicotina che ci vediamo a malapena in faccia l'uno con l'altro... beh, buonanotte! Come se le condizioni climatiche avverse non fossero abbastanza, si trattiene nel locale, a pochi centimetri da noi, un’allegra compagnia di strafatti di speed che ci allieterà con balli e canti fino alle otto del mattino. Gli "amici" sloveni sono incontenibili: uno cerca di infilarsi nel sacco a pelo di Claudio, un altro sveglia Rissa per chiedergli una sigaretta (!), altri due si accoppiano selvaggiamente in bagno e, dulcis in fundo, alcuni interpretano una versione per percussioni e canto a cappella (cioè a cazzo) di "I shoot the sh
eriff" di Bob Marley. Il Nonno non ce la fa più è si unisce al pezzo lanciando, dall’oscurità del suo sacco a pelo, un bestemmione italiano a 18.000 megasuoni, che, malgrado tutto, cade nel vuoto. A titolo di parziale risarcimento per la notte d’inferno (o da infermi) appena trascorsa, il Nonno decide di compiere un esproprio proletario: intasca una boccia di Jagermaister mezza vuota abbandonata sul bancone ed una piena piena di Stock84 trovata in un angolo, che ci saranno di certo utili per i giorni a venire… [Continua...]

Kalashnikov collective @ Kud Subart, Kranj (25/4/'11)

[Free music for punx]
AA.VV. - NOVI PUNK VAL 78-80 compilation (Yugoslavia 1981)
[Puj] Per ogni data di questo tour voglio proporvi qualche specialità musicale locale... Partiamo dunque con un antipasto leggero, per farsi la bocca: una panoramica sulla scena punk sloveno-croata di fine anni ’70. La classicissima compilation "Novi Punk Val", data alle stampe nel 1981, è il manifesto del nascente fenomeno punk nella terra del maresciallo Tito. A quel tempo la Yugoslavia, come sapete, era un’unica nazione comunista (che comprendeva le attuali Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Kosovo e Macedonia), ma non allineata con l’Unione Sovietica, né con altri paesi socialisti. Se nel blocco sovietico il punk si è di fatto diffuso con un ritardo che va dai cinque ai venti anni rispetto all’Europa, in Yugoslavia, grazie ad una tradizione rock già piuttosto consolidata e un’apertura culturale impensabile in altri paesi socialisti, già nel ‘78 alcuni gruppi proto-punk pubblicavano dischi ad imitazione di Ramones e Sex Pistols. Sul panorama rock pre-punk della Yugoslavia socialista ci sarebbe molto da dire: per tutti gli anni '60 e ’70 si susseguirono strepitose rock-band provenienti da tutto il paese, purtroppo sconosciute in occidente: parlo di Smak, Leb I Sol, Bijelo Dugme, Lačni Franz
, Korni Grupa, Drugi Nacin, Buldožer... band tecnicamente eccelse e con un gusto speciale per la melodia. Anche in Yugoslavia, come nel resto del mondo, però, i baffuti protagonisti della stagione rock dei ’70 furono travolti dall’ondata punk/new wave e dovettero, volenti o nolenti, tagliarsi i baffi per adattarsi alle nuove tendenze. Specialmente in Slovenia il punk divenne un fenomeno diffusissimo tra i giovani e monopolizzò il mercato musicale locale.
"Novi Punk Val" include band esclusivamente slovene e croate: troviamo i Pankrti di Lubjana (attuale Slovenia), che si vantano ancora oggi di essere la prima punk-rock band del mondo comunista, i Prljavo Kazalište ("Dirty Theatre", dal titolo di un albo del fumetto Alan Ford di Max Bunker, famosissimo in Yugoslavia) che sono invece di Zagabria (attuale Croazia) e suonano hard-rock sbilenco (quindi punk), i Termiti e i fantastici Paraf di Rijeka (Croazia, anche loro asseriscono di essere stati la prima punk band oltre cortina) già catalogabili come post-punk, i Berlinski Zid (Muro di Berlino) con il loro sound scheletrico a base di organetto e patetici chitarrini, i Grupa 92, anch'essi in balìa di un organetto vintage da complesso beat, i Buldogi, che imitano drammaticamente i Clash, e i Problemi, scatenati garage rockers croati. Proto-punk esotico per gli amanti della musica fuori moda...

>>> Download AA. VV. NOVI PUNK VAL 78-80 compilation in .mp3 + art scan (.rar - 142 mb.)

08/05/11

[K. touring the balkans - 2]
Martedì 26/4: Rijeka, Croatia @ Klub Place + Riot Brigade?
Rigenerati da un ettolitro di caffè annacquato su un terrazzino vista fiume (è romantic punk?), partiamo per Rijeka, Croazia. Ci avviciniamo alla prima frontiera del tour, quella sloveno-croata, che non dovrebbe presentare grosse difficoltà, anche se Claudio riesce ugualmente a far innervosire la doganiera fissandola senza parlare.
Rijeka è Fiume, la città che nel periodo tra le due guerre mondiali fu italiana. E’ una cittadina post-atomica e decadente, dal fascino misterioso, con i muri delle case anneriti e crivellati dai colpi di proiettile. La skyline è deturpata dall’edilizia irrazionale di scuola sovietica e per un buon 30% gli edifici sembrano in stato di abbandono. Qui a Rijeka il nostro contatto é il premuroso Damir; lo incontriamo al Molekula, un bellissimo infoshop nella zona del porto. Un vero paradiso, caldo e accogliente, nel quale ci viene offerta una strepitosa cena a base di gnocchi al ragù di seitan. Divoriamo tutto con una foga disumana. Veniamo intanto a sapere che i Riot Brigade, con cui avremmo dovuto suonare anche questa sera, non ci saranno perché uno di loro ha la carta d’identità scaduta e non gli hanno fatto passare la frontiera. Wow, notevole.
Dopo che Rissa è riuscito a chiudersi una mano nella portiera del furgone, ci rechiamo al Klub Place, locale dove si terrà il concerto. E’ un bar simil-messicano un po’ lurido, con un palchetto sul fondo più adatto al karaoke che ad un concerto punk. Ci sono i tavolini con gli sgabelli davanti al palco che fanno sempre taaaanta tristezza, di fianco al palco ci sono i cessi e dietro ai cessi il laboratorio di un tatuatore. Boh.
Seconda equazione anarcopunk: martedì sera + bar messicano – gruppo tedesco fermo alla dogana + una bottiglia piena piena di brandy Stock84 + ½ bottiglia di Jegermeister = concerto ubriachi davanti a nessuno. Fortunatamente non finisce proprio così, perché alla fine le fantomatiche cassette bootleg dei Kalashnikov sono circolate anche qui e qualcuno viene apposta per assistere al nostro concerto. Per esempio, un bambino con lo zaino che sa tutti i pezzi a memoria.
La nostra intelligenza é, diciamo, nella media; tuttavia, a volte, qualcuno di noi ha intuizioni talmente sorprendenti da poterle definire, senza falsa modestia, GENIALI. L’idea geniale della serata è quella - sentite che roba! - di versare lo Stock84 nelle birre croate gusto fognatura che ci sono state offerte; così facendo le birre, da smunte e maleodoranti che erano, diventano robuste e gustose, ed incrementano a dismisura il nostro buonumore! Soprattutto quello di Sarta, il quale, malgrado la scarsità di pubblico, decide di sciorinare in sequenza i suoi numeri migliori, riservati solitamente alle grandi occasioni, ovvero: Sarta Penitente (inginocchiato esegue un assolo e soffre), Sarta Fitness (corre sul posto eseguendo piegamenti sulle gambe), Sarta Ecumenico (invita un avventore a suonare la sua chitarra), ma la più sorprendente é Sarta Cantautore: all'inizio di un pezzo ci giriamo e lo vediamo seduto su uno sgabello eseguire una partitura intimista (sudatissimo). Detto questo, ci lanciamo in qualche bis, ringraziamo i presenti, arraffiamo il rimborso e facciamo perdere le nostre tracce nella notte... [Continua...]

Il nonno, puj e il don fanno del loro meglio sul palco del KlubPlace di Rijeka...


[Free m
usic for punx]
PARAF (Post-punk, Rijeka) - Izleti (Lp 1981)
[Puj] Alla scoperta del punk yugoslavo d'annata! Uno dei più grandi gruppi punk della Yugoslavia socialista furono i Paraf di Rijeka. Adoro il materile di questa band sia nella sua fase punk-rock, che in quella successiva new-wave... I Paraf si formarono nel 1976 e irruppero nel mercato musicale yugoslavo con un plagio di Chinese Rock dei Ramones intitolato alla loro città e che pubblicarono come singolo nel 1978 (pensavano che nessuno si accorgesse del plagio, ma vennero smascherati quasi subito dagli stessi critici yugoslavi, che evidentemente, all'epoca, se ne intendevano di punk già molto più dei nostri!). Il primo album uscì qualche settimana più tardi con il titolo di "A dan je tako lijepo poceo..." (La giornata era iniziata così bene...): insulti contro la polizia, slogan comunisti usati in chiave ironica, prese per il culo dei colossi della musica pop slava ed altre trovate punk decisamente nuove per il panorama culturale yugoslavo.
Nel 1980, dopo alcuni cambi di formazione, i Paraf smisero il chiodo e fecero la svolta new wave. Il risultato é il bellissimo album "Izleti" (Escursioni), contenente undici pezzi di post-punk teso e creativo, che trovate scaricabile da qua sotto. Bellissimi i testi minimalisti tipo quello di Tužne uši (Orecchie tristi): "Sono sdraiato sulla schiena e piango finché le lacrime mi finiscono nelle orecchie... orecchie tristi...". I Paraf pubblicheranno nel 1984 il loro ultimo album, "Zastave" (Bandiere), ispirato alle vicende politiche della madrepatria, musicalmente molto più synthetico e ambizioso del precedente, e per questo accolto tiepidamente dai fans... [nella foto: i Paraf nella loro fase punk a spasso per il porto di Rijeka...].

>>> Download PARAF - Izleti (1981) LP in .mp3 + art scan (.rar - 75 mb.)


Trova le differenze: "Rijeka" dei Paraf a confronto con "Chinese Rock" dei Ramones...

07/05/11

[Kalashnikov touring the Balkans - 3]
27 aprile @ Budapest, Hungary.
Terzo giorno di tour, day-off ungherese, utile a spezzare il viaggio verso Timisoara, Romania, dove suoneremo l'indomani. Il confine croato-ungherese è davvero comico. Ad un valico di frontiera semideserto alcuni sbirri baffuti ci fanno scendere e risalire dal furgone tre volte senza capire bene perché. Ci chiedono se abbiamo qualcosa da dichiarare. Nulla a parte una bottiglia mezza vuota di Stock84. Dopodiché attraversiamo a piedi l'autostrada (deserta) e ci rechiamo in un bungalow in mezzo alla campagna per acquistare il lasciapassare autostradale ungherese e ci vengono rilasciate una decina di ricevute incomprensibili da una signora vestita da bidella che ci insulta ripetutamente. Solo dopo mezz’ora di beghe burocratiche riusciamo a ripartire e sfrecciamo nella pianura magiara. Sembra che il genere umano si sia estinto dato che per chilometri non incrociamo nessuno. Non ci sono nemmeno stazioni di servizio.

Ora di pranzo: Claudio mette la freccia ed esce a caso dall’autostrada. Capitiamo in un villaggio chiamato Zalakomàr, altamente deprimente. Seguiamo poi un cartello di cartone con scritto a pennarello “restaurant” e ci troviamo davanti ad un prefabbricato di epoca comunista con alcuni tir parcheggiati fuori. Un’autentica trattoria ungherese per camionisti! L’atmosfera all’interno è unica, ben bilanciata tra vecchio e nuovo. Dove il nuovo sono le tovagliette della Pepsi ben ordinate sul tavolo e il vecchio... tutto il resto. C’è un televisore a tubo catodico degli anni ’80 adibito a soprammobile e una radio a transistor di fabbricazione bulgara che trasmette l’ultimo singolo di Rihanna. Ad un tavolo, due camionisti dal volto paonazzo (foto) sono impegnati a sbranare un cinghiale intero. Davanti a un manipolo di individui vestiti di nero, per giunta vegetariani e che, soprattutto, non parlano una parola di ungherese, la signora della trattoria si mostra intimorita, ma stranamente non si lascia prendere dal panico. Ci consiglia alcuni piatti del menù. Riusciamo ad evitare la carne, ma con la frittura non c’è niente da fare: qui, a parte il piatto e le posate, tutto è fritto, compresa la tovaglia.

E vada per i funghi fritti! Beh, é una specialità ungherese... E come contorno un piatto d’insalata, per smagrire. Oh no! Quella che ingenuamente pensavamo fosse insalata consiste in cubetti di verdure cotte ricoperte di maionese! Il Nonno, poveretto, per andare sul sicuro ordina delle patate, ma gli arrivano immerse nella panna montata. Indecisi se chiedere dell’Anitra WC o un digestivo, ci affidiamo ai consigli di Claudio: chiudiamo in bellezza con una grappa locale. Nel frattempo sono giunti altri avventori: due signore di 400 chili molto voraci e un vecchietto disperato che ordina una pinta di vino. Ecco i bicchierini contenenti il digestivo tipico: wow, rakija fatta in casa! La famigerata vinaccia balcanica è diffusa anche qui in Ungheria. Non si chiama proprio rakija come nei balcani, ma palinka, però la sostanza é la medesima: si tratta di una bevanda corroborante da 70°. Praticamente un torcibudella letale. Altro che Assenzio ed altre droghe da pivelli bohemien, la rakija è l'autentico, definitivo trip mistico da trattoria!
Claudio è in pieno delirio cosmopolita da interscambio eno-gastronomico e decide di acquistare alla modica cifra di 14 euro (un'enormità) una bottiglia da due litri di rakija autoprodotta dalla signora. Un acquisto che a questo punto del viaggio ha le fattezze del classico souvenir da portare a parenti e amici in Italia, ma il suo reale destino sarà, come scopriremo più avanti, moooolto diverso…
Dopo aver pagato il conto (6 euro a testa), ci lasciamo alle spalle Zalakomàr. Ah, per chi volesse scegliere Zalakomàr come destinazione per le prossime vacanze, tenga presente che nel periodo estivo la cittadina ungherese ospita un colorato Festival Regionale con interessanti concerti di musica folk, tipo questo:



Dopo un paio d’ore di vuoto assoluto ci ritroviamo a Budapest. Puj ha organizzato il pernottamento in un sedicente "Bed & Beers": sotto, un allegro pub dove la birra Dreher sgorga ininterrottamente, sopra un appartamento per viandanti. Il posto è veramente confortevole (arredato 100% Ikea) e il proprietario è molto gentile, benché assomigli ad Ozzy Osbourne. Ci riserva il parcheggio per il furgone davanti al pub mettendo due sedie di legno in mezzo alla strada (stile ungro-napoletano) e ci consiglia di consumare al più presto una pinta di birra. Puj, nel suo delirio organizzativo, ha addirittura ordinato la cena un mese fa, da Milano. Che cosa prevede il menù? Funghi fritti, naturalmente! Per segnare però un solco netto rispetto al pranzo decidiamo di ordinare anche una zuppa di cipolle. Ce ne pentiamo. Ovvio.
La cena nel pub seminterrato (una bettola) in compagnia di alcuni tamarri ungheresi che vedono Barcellona - Real Madrid (trasmessa abusivamente via internet da Ozzy) é comunque suggestiva. La serata termina con una classica passeggiata sulle rive del Danubio. Birra della staffa? Ma é tutto chiuso! L'unico é un fast-food che si proclama vegetariano, ma che in vetrina espone una fila di polli allo spiedo; si vede che in Ungheria i vegetariani sono di manica larga... comunque sia, domani ci attende la Romania, quindi:
Noapte Buna. Ignoranti, è buonanotte in Rumeno! [Continua...]

[We talk about...]
80's HUNGARIAN PUNK!

[Puj] L’Ungheria, che ci crediate o no, nel corso degli anni ’80, ovvero sotto il dominio comunista, ha avuto una vivace scena punk. Band veramente misconosciute come ETA, QSS, CPg, Auròra e molte altre formazioni clandestine animate principalmente, come accadeva in tutto il blocco sovietico, dall'odio viscerale verso il comunismo di regime.
Niente slogan politici, niente istanze pacifiste, niente di ciò che ha caratterizzato i gruppi punk capitalisti: soltanto un abisso di nichilismo! Le bands dei paesi comunisti hanno incarnato più di ogni altre lo spirito primigenio del no future. D'altronde, intorno a loro altro non vedevano che un piatto, grigio ed opprimente presente.
Come tanti punx dell’ex-blocco sovietico, anche quelli ungheresi subirono censure e arresti da parte delle autorità governative. La storia di uno dei più leggendari e controversi gruppi punk ungheresi, i CPg di Szeged (foto), é sintomatica del clima di paranoia e repressione che si respirava all'epoca:
poco più che adolescenti, due componenti della band finirono in carcere con una condanna a due anni di reclusione semplicemente a causa dei testi del gruppo, giudicati immorali dalla censura ungherese. Nel frattempo, i media avevano diffuso la notizia che il nome della band, CPg (che stava per "Came on Punk, Go!" e poi per "Coitus Punk Group"), fosse un'abbreviazione di Cigány Pusztitó Gárda, ovvero "Banda Sterminatrice di Zingari"! Lo scopo era naturalmente quello di far passare i punx come neo-fascisti, xenofobi e violenti. Anche gli Auròra di Gyor non se la passarono granché bene: il cantante Dauer, fu anch'egli incarcerato e costretto a lasciare il paese, mentre la band si esibì per anni sotto falso nome per non cadere nelle mani degli sbirri.
Detto questo, non mi è ancora riuscito di individuare tra la miriade di cassette, live e demo dell'epoca qualcosa di musicalmente entusiasmante; é soprattutto la qualità delle registrazioni a rappresentare un ostacolo davvero ostico per chi voglia avvicinarsi alle punk band magiare del periodo comunista... Il modo migliore che ho trovato per fruire pienamente della musica e dello spirito del punk ungherese degli '80 é un bellissimo video-documentario girato a Budapest nel 1983 da un gruppo di cineasti francesi. Protagonisti alcune giovanissime band ungheresi come gli stessi CPg, ETA, Mosoi, Kretens, QSS e Kontroll Csoport...

06/05/11

[Kalashnikov touring the Blakans - 4]
28 aprile: Timisoara, Romania @ Atelier DIY + Pavilionul 32 (Romania) + Vise od Milimetra (Serbia)
Un baffone in uniforme ci apre un sorriso a trentadue denti d’oro e ci fa passare, augurandoci buona permanenza in Romania.
Ai lati della via maestra sorgono casupole e costruzioni diroccate dalle cui finestre ci osservano alcune vecchine medievali. A parte i distributori di benzina, nuovi e scintillanti, tutto sembra... decrepito. Ci aspettavamo che la campagna rumena fosse, come dire, un po’ vintage, però... é come se fossimo piombati in un romanzo verista di fine ’800, ma con qualche idiosicrasia spazio-temporale dovuta all'ediliza comunista dell'epoca di Ceaucescu, che conferisce al panorama un flavour post-nucleare. Sui muri di alcuni ruderi sono stati sprayati enormi numeri di telefono con scritto sotto “in vendita”.
In Romania non esistono autostrade, men che meno in questa zona di confine con l’Ungheria. Purtroppo scopriamo che non solo le autostrade non esistono, ma anche le strade segnate sulla cartina sono, in buona parte, immaginarie. Dobbiamo svoltare verso Timisoara, dato che la strada che stiamo percorrendo va verso Arad. Ci rendiamo però conto che la maggior parte delle scorciatoie sono in realtà sentieri sterrati utilizzati dai carretti a trazione animale, molto in voga da queste parti. Claudio non si arrende all’evidenza ed imbocca prepotentemente l’unica strada asfaltata che troviamo, verso un villaggio chiamato Semlac. Proseguiamo a zig-zag per evitare buche e voragini sulla carreggiata. In un tratto di una decina di chilometri, percorsi a passo d’uomo, incontriamo: due sventurati che trasportano sulla bicicletta alcuni tronchi d’albero, un vecchino rugoso a cui, ingenuamente, chiediamo indicazioni senza ottenere alcunché, un capannello di operai con divise logore e sudicissime intenti a coprire una buca.
L’incontro più emozionante è però quello con una temibile banda di bikers teppisti che ci vengono incontro in una nuvola di fumo: i capi e le loro donne cavalcano motorini Garelli smarmittatissimi degli anni ’70, sfrecciando spavaldi a quindici all’ora, tutti su una ruota, seguiti da alcuni scagnozzi a bordo di biciclette sbilenche, agganciati ai portapacchi dei motorini con le corde...

Dopo una ventina di chilometri di buche, grazie alle indicazioni di un tizio che parla un po' d'italiano (il quale ci conferma che tutte le strade segnalate dalla nostra cartina non esistono più o non sono mai esistite), ritorniamo sulla via maestra e proseguiamo per la cittadina di Arad, dove finalmente potremmo svoltare a sud e dirigerci verso Timisoara.
Arad è un primo assaggio dell’urbanistica rumena: sembra una di quelle città che si vedono nelle puntate di Ken il Guerriero. Tutto ha un aspetto malandato e depresso, il traffico è illogico, le indicazioni, quando ci sono, sono mezze arrugginite, nascoste dagli alberi o da qualche altro cartello (!). Finalmente raggiungiamo l’agognato svincolo per Timisoara: un incrocio con una buca enorme al centro, piena d’acqua piovana. Per percorrere i quaranta chilometri della statale Arad–Timisoara impieghiamo due ore e finalmente, nel tardo pomeriggio, col buonumore scivolato nelle scarpe, giungiamo a destinazione.


Timisoara è un po' rattristante. Sembra una città appena uscita dalla guerra, non c’è quasi nessuno in giro. Tutto pare versare in stato di abbandono. Qui i nostri uomini sono Tavi e Matej dei Pavilionul 32, una delle poche punk band rumene e grandi punti di riferimento per la scena d.i.y. da queste parti. Giunti all’indirizzo ove dovrebbe sorgere il posto nel quale suoneremo troviamo l’ingresso di una fabbrica, per giunta in parte dismessa. Benché alcuni amici rumeni in Italia ci abbiano consigliato, quale precauzione più importante da tenere presente in Romania, di “non rivolgere la parola a nessuno” (tipico terrorismo rumeno?), chiediamo ad un paio di operai sfaccendati all’ingresso se sanno qualcosa del fantomatico “Atelier DIY”. Sono molto gentili, ma non parlano inglese, quindi ci osservano divertiti. Al che, sopraggiunge una signora con un grembiule da bidella sadica e i capelli cotonati, che pare il capo della stuazione. Inizia a sbraitare contro di noi in rumeno, poi prende a litigare anche con gli altri due. Scappiamo e ci ritroviamo con una bottiglia di birra in mano seduti in un tristissimo baretto.

Nel bar c’è solo un frigorifero e un tizio che non parla, limitandosi ad indicarci la maniglia del frigo. Nello schermo al plasma attaccato alla parete scorrono le immagini di Mtv Romania: pare un altro pianeta, fatto di ragazze imbellettate, belle auto, ragazzi alla moda, studi televisivi scintillanti… qui intorno non c’è nulla di tutto questo. Dalla vetrina del bar si intravede un capannello di poveretti che tenta di rianimare il motore di un vecchia Dacia senza una ruota… durante la nostra permanenza nel bar non entra anima viva, se non un vecchietto che si scola una rakija al palo...
Al nostro ritorno alla fabbrica la bidella sadica non c’è più, anzi il posto è deserto. Entriamo nel cortile e imbocchiamo l’unica porta aperta. Come al solito, tutto pare in stato di abbandono. Poi appare un punk con i dreadlock. È Matej!
L’atelier DIY sorge in una saletta minuscola in questo complesso industriale. E’ come se ufficialmente non esistesse, ma non è un posto occupato. E’ uno spazio concesso in affitto ai ragazzi come "luogo di aggregazione", dove almeno ufficialmente, si svolgono soltanto festicciole private. La scena punk/hc di Timisoara è tutta qui, non c’è altro. Niente di più di una stanza! Conosciamo anche Tavi, il cantante dei Pavilionul 32, che ci spiega che qui è tutto un casino, tutto è precario, le cose vanno di merda e il fatto che il punk esista in Romania è semplicemente un miracolo. Tipico disfattismo rumeno?

Atelier DIY in Timisoara, Romania...

Soundchek in Altelier DIY...

Inizia il concerto! I Pavilionul 32 suonano un h.c. vecchia scuola, incazzatissimo. Tavi arringa la folla (15 persone) con interminabili invettive in rumeno tra un pezzo e l’altro. In particolare, capiamo che ce l'ha con la dogana serbo-rumena. L'altro gruppo che suonerà stasera, i Vise od Milimetra di Temerin, é serbo e ha passato la giornata al confine.
Da qualche parte sbuca la bottiglia di Stock84 di Kranj, ormai ridotta ai minimi termini. Ne versiamo il contenuto in una bottiglia di birra Ciucas (la più economica birra rumena, venduta in taniche di plastica da due litri). I Vise od Milimetra sono un ottimo quartetto funk-punk con cantante femminile e bassista a piedi nudi che ci da dentro, animando la situazione. Il chitarrista suona una buffa chitarra marca “Obanez” (!). Birra Ciucas + Stock84 + funk-punk serbo = balliamo come scemi per tutto il tempo. A seguire un sudatissimo Kalashnikov collective...

Crazy romanian punx...

Furious dancing in Timisoara...

Vise od Milimetra (particular)...

Sarta has fun with his new friends...

K. live in Atelier DIY...

Durante questo tour avevamo riflettuto sul fatto di evitare di vendere i nostri dischi a prezzo libero, come solitamente facciamo, perché ogni giorno avremmo cambiato valuta e rischiavamo di non capirci più un cazzo... Nel dopo concerto, però ci si para davanti un simpatico punk rumeno e ci chiede “Quanto costa il cd?”, "20 lei" rispondiamo spavaldi (il leu è la valuta rumena, 20 lei sono circa 5 euro, un prezzo più che onesto...). Al che, il punk ci dice sconsolato “...uuuuhh, peccato... purtroppo ho solo questo”, stringendo tra le dita una banconota da un leu. Mmmh, 24 centesimi di euro? Beh, ci arrendiamo e ripristiniamo il prezzo libero. In fondo, va bene così...
Dopo il concerto, ci spostiamo a casa di Tavi per la notte, in un quartiere dormitorio dove sorgono decine di condomini di epoca comunista. La prima cosa che notiamo appena entrati in casa é una cagata di gatto nella vasca da bagno. Lo spazio è quello che è, alcuni di noi occupano la superficie disponibile incastrandosi come pezzi di tetris, mentre Claudio il Don e il Nonno optano per la soluzione autarchica: la notte in furgone. Dopo aver consumato una cenetta frugale acquistata ad un minimarket dei paraggi, a base di birra Ciucas, sottilette rumene e crackers di cartapesta, parcheggiano davanti ad un baracchino aperto 24 ore su 24, crocevia di tassisti abusivi, poliziotti corrotti e tagliagole. A metà nottata si rendono conto dell’errore e si appartano in un posto più tranquillo, tra palazzoni in cemento armato. In casa di Tavi nel frattempo sono arrivati i serbi dei Vise od Milimetra che festeggiano e fumano per tutta la notte. Al sorgere del sole, freschi come vongole, ricompattiamo il gruppo e sfrecciamo verso Belgrado, Serbia… [Continua...]

[Free music for punx]
PUNK IN ROMANIA ?
[Puj] Se cercate notizie su una presunta scena punk nella Romania degli anni ’70 e ’80, state certi che non le troverete. Il punk in Romania è arrivato soltanto dopo la caduta del regime comunista di
Nicolae Ceaucescu nei primi anni ’90. Basta conoscere alcuni dettagli della storia della Romania del secondo dopoguerra per capire il perché...
Dopo un breve periodo di crescita economica e culturale tra gli anni cinquanta e i sessanta, la Romania è rimasta al palo. Caucescu, nel 1971 fece un viaggio nella Corea del Nord di Kim-Il Sung, il regime comunista più isolazionista e degenerato della terra, e decise che il modello nord-coreano gli piaceva un sacco e che l’avrebbe importato nella sua Romania. I risultati della politica illuminata del dittatore si poterono valutare nella loro portata complessiva solo negli anni novanta, quando i rumeni, liberaratisi in malo modo di Ceaucescu, si aprirono al mondo.
L’economia rumena, ancora nel 1989, era trainata da un’industria pesante che oltre a utilizzare metodi surclassati consumava uno sproposito di risorse, inquinando senza alcun ritegno. La maggior parte della produzione poi non la si riusciva a vendere e diventava ruggine nei cortili delle fabbriche. Dall’altra parte la produzione degli oggetti di uso quotidiano (auto, radio, elettrodomestici di ogni genere…) era quanto mai arretrata e insufficiente a coprire le
richieste della popolazione.

Ceaucescu e la moglie Elena piantano un alberello in una ridicola illustrazione di propaganda...

1971: Ceaucescu visita la Corea del Nord (dalla televisione rumena dell'epoca)...

Facciamo un esempio: se un rumeno, nel 1989, possedeva un’automobile era sicuramente una Dacia (foto), paragonabile, come tecnologia, ad una fiat degli anni ’60, e probabilmente l’aveva ordinata dai cinque ai dieci anni prima (!). Se poi voleva usarla doveva fare i conti a) con le code infinite ai distributori di benzina, b) con le strade rumene, fatiscenti, mai più asfaltate dagli anni ’50. E se, malauguratamente, finiva con una ruota in una voragine che si apriva sull’asfalto e si trovava costretto a chiamare un carro attrezzi, doveva mettersi a caccia di un telefono nei paraggi. Cosa non semplice in un paese nel quale soltanto un rumeno su trenta possedeva un telefono. Se poi l’imprevisto lo aveva colto nelle campagne, beh… semmai avesse trovato un telefono avrebbe dovuto contare sulle tecnologie ad indirizzamento manuale risalenti agli anni ’30! Probabilmente, avrebbe sbattuto la portiera della macchina e si sarebbe infilato nel primo bar ad ubriacarsi di rakija
Riassumendo: in un paese nel quale, ancora alla fine degli anni ’80, si viveva completamente isolati dal mondo esterno, ove vigeva un clima di terrore e omertà preservato dalla
Securitate, una delle più brutali e potenti polizie segrete del mondo comunista, dove esisteva un unico canale televisivo che trasmetteva per sole due ore al giorno notiziari fasulli e programmi di propaganda, nel quale gli unici computer erano dei cloni rumeni del Sinclair ZX Spectrum utilizzati soltanto nelle stazioni di lavoro delle fabbriche, beh… nessuno aveva mai sentito parlare di punk-rock. E nemmeno ne sentiva la mancanza.
La prima punk band rumena nacque a Timisoara nel 1991 e si chiamava Haos (Caos); sì, é un nome un po’ banale, ma stiamo parlando pur sempre della prima punk-band rumena della storia! Gli Haos, tra l’altro, sono attivi ancora oggi e suonano a fianco delle giovani d.i.y. band rumene. Il primo disco punk invece fu stampato a Bucarest nel 1994 e fu il 7” split tra gli Ura de Dupa Usa e gli Zob.
Solo alla fine degli anni ’90 si può collocare la nascita di una vera e propria scena punk/d.i.y.
in Romania, che ebbe (e tutt’ora ha) il suo fulcro a Timisoara, la città più collegata all’Europa occidentale, sia per ragioni culturali, che per banali motivi geografici. Attualmente la più importante punk/hc band rumena, punto di riferimento anche per le bands in tour sono i già citati Pavilionul 32 di Tavi, band molto politicizzata attiva dal 2004 e proveniente proprio da Timisoara. Il nome della band si riferisce al padiglione numero 32 dell’ospedale psichiatrico di Timisoara, dove vengono trattati i pazienti più gravi. Qui sotto, trovate il loro primo album intitolato "Camasa de forta" (camicia di forza) del 2005: h.c. caotico ai limiti del grind, pieno di rabbia ed incrollabile convinzione…

>>> Download PAVILIONUL 32 "Camasa de Forta" album in .mp3 + complete art scan (.rar - 45 mb.)

Trova le differenze:

1987: festival rock nella Romania comunista...

2010: concerto punk/h.c. (Pavilionul 32) nella Romania capitalista...

05/05/11

[Kalashnikov touring the Blakans - 5]
29 aprile: Belgrado (Serbia) @ Academija Club + Weltschmerz + Trepanacija.
Facciamo un passo indietro… marzo 2011, un amico ci scrive dalla Serbia: “Al confine rumeno AVRETE dei problemi. Ed aspettatevi di rimanere inchiodati lì due ore, forse di più o forse di meno, questo dipende dalla vostra abilità nel contrattare. Alla fine, comunque vada, dovrete pagare qualcosa, ma non date per definitiva la cifra che vi diranno all’inizio, cercate di abbassarla fino a circa 25 euro. È la somma giusta. Ah, avrete di certo bisogno del passaporto e, ufficialmente, di un documento che si chiama ATA Carnet per i vostri strumenti e gli amplificatori. Oggigiorno pochi ce l’hanno, si tratta di un libretto rilasciato dalla vostra Camera di Commercio, nel quale è elencato con dovizia di particolari tutto ciò che vi porterete dietro. Questo documento vi costerà un po'. Una soluzione alternativa è quella di confondere i doganieri con una grande quantità di carta: dategli scontrini, certificati di garanzia, ricevute, libretti d'istruzione… tutto ciò che abbia a che fare con i vostri strumenti. Alcuni hanno successo anche stampando una lista degli strumenti e appiccicando in fondo un francobollo (uno qualsiasi)”.
29 aprile, c
onfine Romania-Serbia: siamo in mezzo alla campagna. All’orizzonte si staglia un distributore di benzina bruciato che ha l’aspetto di un tempio buddista dopo un’esplosione nucleare. Davanti a noi ci sono una decina di mezzi in attesa di superare la dogana. Il cielo è nero e si sta per scatenare una tempesta. La fila avanza lentamente, ma al tempo giusto considerando che, quando è il nostro turno, dal cielo si rovescia un acquazzone di dimensioni bibliche. Malgrado la tettoia, ai poveri doganieri con i baffi piove sulla testa e così, in fretta e furia, ci controllano i passaporti; poi, fanno cenno di andarcene e si mettono al riparo nei gabbiotti. Ehi! Pensavamo di avere a che fare con dei veri duri e invece si sono rivelati dei pivelli, spaventati da quattro gocce di pioggia acida rumena!

Facciamo tappa in un paese il cui nome contiene solo consonanti, per cambiare i Lei rumeni in Antichi Dinari Serbi (questo è il nome della valuta locale) e mettere qualcosa nello stomaco. La Serbia è meno assurda della Romania, a parte un’altissima percentuale di uomini con i baffi.
Belgrado è grigia e trafficatissima, minacciosi edifici in cemento armato si stagliano all’orizzonte. La nostra cartina autoprodotta con
Google Maps e lo scotch funziona alla grande e ci porta dritti dritti all’infoshop di via Krusevacka dove ci attende Rasha, il nostro contatto di Belgrado. L’infoshop ha l’aspetto di un orto abusivo tipo quelli che ci sono in Bovisasca, vicino a casa nostra. Consiste in un giardinetto e una baracca che ci ospiterà per la notte.
Entriamo e troviamo Rasha che spadella in cucina sfoggiando un grembiule con scritto “Cuoca Sexy”. Rasha è un gigante buono e soprattutto bravo, a cucinare, come testimonia il delizioso menù vegan a base di cotolette di seitan e fagioli piccanti.
Dopo cena, lasciamo questo ambiente prim
itivista di periferia e rotoliamo a dieci all’ora verso l’Academija Club, dove suoneremo. L’ambientazione è decisamente differente: siamo nel pieno centro di Belgrado, accanto alla via dello struscio, affollata di famiglie, turisti e pittoresche compagnie di zarri. Parcheggiamo con arroganza in una strada pedonale tipo Corso Vittorio Emanuele a Milano e scarichiamo tutte le nostre cianfrusaglie.

L’Academjia è un locale alternativo dall’aspetto un po’ balordo, mezzo bar, mezzo nightclub. Noi però suoneremo nel sotterraneo, che sembra invece un incrocio tra una cantina vinicola e un cripta di famiglia. Questa sera, tra l’altro, si terranno due concerti contemporaneamente: il nostro e quello di alcune vecchie glorie del rock serbo. Constatiamo però che le sale sono praticamente una accanto all’altra e si sente tutto. Alcuni amici serbi ci offrono della rakija autoprodotta in segno di ospitalità. E’ rakija buona, ci dicono, perché è leggera, ne puoi bere quanta ne vuoi e non ti dà alla testa. Sarà, ma sembra di bere l’alcool rosa per fare le pulizie. E l'effetto allucinogeno? E' normale?
Dopo il soundchek più lungo e faticoso del mondo (complice un fonico in paranoia completa), lo scantinato con le volte a botte si riempie all’inverosimile ed inizia il concerto. I Trepanacija (“Trapano” in lingua locale) suonano grind-core politicizzato. Il bassista della band ci aveva confidato che: a) è il loro primo concerto, b) nessuno di loro ha mai suonato in un gruppo e c) non provano mai perché la sala prove costa troppo. Inoltre, appuriamo che lui é in evidente stato di ebbrezza. Il risultato? Undici minuti di caos-non-musica con grande attitudine e spregio totale per le orecchie del pubblico, il quale, tuttavia, pare gradire. Seguono i Weltschmerz di Rasha, che per l’occasione ha smesso il grembiule da cuoca sexy e indossa una buffo giubbino argentato.

Anche i Weltschmerz sembrano un gruppo un po’ improvvisato, tanto che la tastierista non ha la tastiera e la chiede in prestito dal Don, il quale, perplesso, si prodiga di farle da assistente da palco mentre lei, con aria da poetessa esistenzialista, gli impartisce ordini, svogliatamente, con la sigaretta tra le dita. Anche per loro è il primo concerto (onde evitare scivoloni Rasha suona il basso ad un volume impercettibile), ma il sound è davvero spettacolare: un incrocio tra Siouxsie and the Banshees e gli Urinals. Il pubblico è in delirio.
Infine tocca a noi. Equazione anarcopunk: poco spazio + palco rasoterra + generosi sorsi di rakija locale – ossigeno = bolgia infernale. Il clima è assolutamente invivibile tant’è che il prode Claudio deve passare tutto il concerto a sorreggere una delle casse che si è staccata dalla parete. C’è anche un accenno di rissa quando un vecchio punk ciccione vestito da impiegato del catasto inizia a pogare in modo violento e alcune ragazze lo insultano (giustamente). Al che l
ui si impossessa del microfono e snocciola un sillogismo aristotelico del tipo: “Il pogo è punk”, “io sono punk”, “quindi pogo”. Noi però che odiamo il pogo macho fatto di spintoni sleali e gomiti alti, lo ammoniamo pubblicamente. Lui si rimette alla decisione arbitrale. Evviva! Continua con successo la nostra crociata contro il pogo macho...
Il delirio va avanti per un bel po’, mentre a turno veniamo sollevati dalla folla come salami, infine lasciamo il palco ad un gruppo di poveri francesi imbucatisi all’ultimo che ci chiedono se possiamo organizzare loro una data in Italia per il giorno successivo (ehm, con tutta la buona volontà…). Suonano punk rock più rock che punk, e ringraziamo il cielo di non aver suonato dopo di loro considerando che la loro scaletta prevede un milione di pezzi uno uguale all’altro.
Dopo il concerto torniamo all’infoshop di via Krusevacka pronti a tumularci nei sacco a pelo, senza fare però i conti con alcuni amici serbi il cui scopo è unicamente quello di festeggiare e bere tutta la notte insieme a noi. Il mattino dopo, freschi come cozze la
sciate al sole, partiamo alla volta di Zagabria, per l’ultima data del tour… [Continua...]

[Free music for punx]
ДАЖД (Blackened crust, Belgrado) - S/t (cd 2009)
[Puj] Durante la serata a Belgrado, un omone serbo con la maglietta dei Contropotere (ottimi gusti) mi regala questo cd dei Dazd, crusters locali. Direi che li potremmo definire gli Amebix serbi, dato che il loro sound è profondamente debitore della seminale band inglese: riff scurissimi, spruzzatine di synth, suoni marci… sì, direi che non siamo lontani da Arise!. Pur esistendo da parecchi anni, i Dazd hanno prodotto un solo album, ovvero quello che trovate qua sotto a portata di download. Grandi titoli assurdi tipo "La mia ferita brucia con il sangue del sole occidentale" (Bukte mi rane krvlju zapadnog sunca), "Il futuro brilla di tenebre" (Buducnost tamom sja), "L'imperativo della fine dei tempi", (Imperativ poslednjeg doba), "Le manette si stringono" (Okov me steze), "Vento nucleare" (Nuklearni vetar) e "Giù, in profondità, nella terra" (Duboko duboko pod zemljom). Ah, dimenticavo: "Dazd" significa “Pioggia”...

>>> Download DAZD - s/t album (2009) in .mp3 + artwork (.rar - 65 mb.)

04/05/11

[K. touring the Balkans - 6]
Sabato 30/4: Zagreb, Croatia @ Pogon Jedinstvo + Katma + Kriva Istina
Dopo tre ore di sonno, che scorrono veloci e riposanti come un pezzo grind, saliamo in furgone diretti a Zagabria. A noi si unisce il grande Rasha con il suo pessimismo nichilista nei confronti della dogana serbo-croata. Ci preannuncia catastrofi varie, che in realtà (e fortunatamente) non si verificano.
Se il problema di Belgrado era il traffico congestionato, quello di Zagabria è la viabilità insensata. La città ha una forma non riconducibile alla geometria euclidea e un sistema di sensi unici pianificat
o da un sadico che odia l’umanità. Riusciamo comunque a raggiungere l'ostello dove passeremo la notte.
L’amico Fistra, vecchia conoscenza di Zagabria e nostro contatto attuale, però, è stato un po’ vago con l’indirizzo del Pogon Jedinstvo (luogo dove suoneremo), così l’abbiamo tirato giù da un sito in croato. Tuttavia, dopo aver parcheggiato tra un casinò e l’Hotel Sheraton, ci sorge il leggerissimo sospetto di aver sbagliato qualcosa.
Ci viene in aiuto un tatuatore della zona, al quale chiediamo di poter accedere al suo compute
r per capirci qualcosa. Lui apre il sito del Pogon Jedinstvo e sull’home page appare una gigantografia di Sarta con la faccia da maniaco sessuale. Vabbé. Alla fine capiamo dove diavolo dobbiamo andare, ovvero nello stesso posto dove avevamo suonato tre anni fa. Grazie al cielo Claudio è stato alcune volte a Zagabria in macchina e si destreggia abbastanza bene nel dedalo di vie e sensi unici.
Il Pogon è strano, assomiglia ad un loft e sta al secondo piano di una costruzione industriale. Dentro è completamente bianco, con dei finestroni che danno sul parco adiacente. Sembra di essere in una sala del museo di arte contemporanea! Il cartellone della serata prevede i Kriva Istina di Slavonski Brod e i Katma di Belgra
do. I primi fanno h.c. melodico in lingua locale e sono tecnicamente egregi, mentre i Katma sono una spettacolare crust/punk band guidata da una cantante ipercinetica con voce acidissima.
Qu
ando iniziamo a suonare noi la sala è praticamente deserta, ma dopo qualche pezzo si riempie e diviene una bolgia assurda con crowd surfing per tutti i gusti. Uno spettatore in particolare é piuttosto esagitato e fa free-climbing tra la gente, issandosi sulle teste e piroettando qua e là. E' Claudio, il nostro driver! Stringe nella mano destra una bottiglia sospetta… Dio mio, non può essere! Prendiamo coscienza della situazione quando ormai è troppo tardi: sì, lo ha fatto. Tutti in cuor nostro sapevamo che alla fine sarebbe successo, ma non volevamo ammetterlo a noi stessi… Vorremmo salvarlo dalla rovina, ma come? Stiamo suonando, il pubbilco è infervorato, lui sfuggente e sudato come un’anguilla! La situazione, per giunta, degenera: Sarta e Milena vengono rapiti da alcuni facinorosi e issati come trofei di guerra, Puj è ostaggio di un vecchio punk croato che lo insulta per divertimento, la scaletta dei pezzi è saltata, si passa ai tripli bis e ai doppi tris, l’assenza del palco crea una situazione promiscua nella quale non si capisce più la differenza tra chi suona e chi no.
Dopo un'ora di concerto si placano le ostilità e la polvere si posa sul campo di battaglia, disseminato di cadaveri. A quel punto, una visione atroce ci si para davanti: accanto al palco giace una bottiglia d
a due litri di rakija ungherese, riversa... completamente vuota.

La storia del Pupazzo Ripieno di Rakija.
C'era una volta una bottiglia da due litri di rakija da 7o° acquistata in una locanda ungherese da un gruppo punk in tour. Giaceva infossata nel bagagliaio di un furgone in attesa di essere regalata come souvenir a qualche anziano parente che mai l'avrebbe aperta.
Ella riposava immobile e beata tra un ampli per chitarra e uno per basso fino a che, in un bel momento, una forza oscura ed inaspettata volle, ahimé, che il suo destino mutasse e che il suo contenuto andasse a riempire il ventre di un diabolico pupazzo. Eccola quella forza malefica incarnatasi in un driver con la barba, eccolo lo sciagurato brandire la bottiglia tra le mani e ingollarsela come fosse un lavandino! Ed eccolo il malefico assumere le sinistre fattezze del... Pupazzo Ripieno di Rakija!
[Qui a fianco: una rara foto segnaletica del Pupazzo]


[K. live in Pogon Jedinstvo, Zagabria. Si può intravedere il Pupazzo Ripieno di Rakija in alcune delle sue più moleste manifestazioni...]

Ascesa e declino del Pupazzo
Claudio è scomparso. Lanciamo l'allarme! Mentre Fabio prepara i soldi del riscatto per ottenere la libertà della band dalla folla di non-morti che chiede l'ennesima one more song, il Don si lancia prontamente alla ricerca del driver, ma viene chiuso all’angolo della distro e assediato da uno sciame di punx che sventolano biglietti da dieci kune; Puj, con alcune finte, riesce a percorrere qualche metro in più, ma viene al fine placcato da uno zombi col chiodo che gli mette le mani al collo e con alito di rakija ungherese pronuncia alcune parole inequivocabili: “Bastardo… driver… racchiaaaa!”. Ha il timbrino dell'entrata stampato sulla fronte! Puj intravede Ludò e si rivolge a lui per essere tratto in salvo, ma... orrore! Anche Ludò è ora uno zombie con l'alito di rakjia! Perde ogni speranza quando intorno a sé vede stringersi un cerchio di zombi con le toppe dei Discharge, tutti con il timbrino dell'ingresso ben stampato in fronte. E' chiaro: il pupazzo ha marchiato a fuoco tutti i suoi compagni di rakija!
Il Nonno é particolarmente preoccupato per l'amico Claudio e a malincuore decide di immolare Milena sull’altare di alcuni famelici fans adolescenti, per creare un diversivo e raggiungere l’uscita. La scena a cui assiste una volta fuori però gli gela il sangue nelle vene. Porta le mani agli occhi per non guardare, ma da una fessura tra le dita intravede un pupazzo con la barba ripieno di Rakjia assalire con un ghigno satanico il povero Sarta, trascinandolo in una raccapricciante orgia sull’asfalto. Il pupazzo sghignazza sinistramente mentre le urla d’aiuto del povero Sarta si alzano nella notte come monito per chi volesse opporsi alla furia del Pupazzo Ripieno di Rakjia. Quando Sarta sembra spacciato e pare destinato ad essere anch'egli marchiato a fuoco dal timbrino degli ingressi, l’involtino di rakija lascia la presa e da sacerdote diabolico decide di battezzare la folla con una bottiglia d'acqua senza tappo dalla quale cerca invano di bere. Maria ha la peggio, e ne esce fradicia e sconvolta. Annalisa, al sicuro da dietro il furgone, osserva la scena impietrita dal terrore. Poi il pupazzo infernale si esibisce in una danza enigmatica, si timbra la fronte da solo e rotola infine aldilà di un angolo buio, uscendo di scena. Seguono alcuni minuti di silenzio inframezzati da scrosci di vomito.

La notte del morto vivente
Carichiamo in fretta e furia la salma del pupazzo e sgommiamo via alla volta dell'ostello. No! Non abbiamo una cartina decente di Zagabria, perché avevamo confidato nell'esperienza di Claudio! Costui un tempo era un driver, ma ora, che ne rimane? Una carcassa maleodorante riversa con le braccia e la testa fuori dal finestrino. Che fare? Ci basiamo sull'intuito, ma c'é chi dice di andare da una parte e chi dalla parte opposta, con la medesima convinzione. Tutto a caso quindi, poi, ad un certo punto, dopo essere riusciti ad imboccare quella che a tutti pareva essere la strada giusta... maledizione, un incrocio! Colpo di scena: il Pupazzo di Rakija ha un sussulto, alza la testa ed eroso dai sensi di colpa decide di venire in soccorso del collettivo indicandogli la strada del successo. A destra! Obbediamo. Risultato: una strada chiusa e pure stretta che conduce ad un parcheggio.
Dal retro del furgone una minoranza del collettivo tesse le fila di un piano sedizioso per scaraventare la salma del diabolico pupazzo sull'asfalto adiacente. Un'altra fazione si batte per garantire al pupazzo, malgrado tutto, una degna sepoltura. Dopo alcuni minuti di lotta intestina, mentre Sarta è riuscito a fare inversione tornando al centro dell'incrocio, e Puj, in preda ad un raptus, rotea vorticosamente una cartina di Zagabria scala uno:un milione al grido di moriremo tutti, ecco aprirsi il portellone laterale. Ennesimo colpo di scena: é Il nonno, che rotola fuori dal furgone e corre via nella notte, in direzione di un cartello. Quello che a tutti pare un gesto sconsiderato e disperatamente comico, si rivela risolutivo. Il nonno torna con il nome della via, Puj la individua (per puro culo) sulla mappa e Sarta sgasa. Eureka! In pochi minuti siamo nel parecheggio di fronte all' ostello. Aperta la portiera, il pupazzo di rakija ha un ultimo velleitario sussulto e si sbocca sulle scarpe, cadendo riverso in un'aiuola. Ormai è innocuo: viene prelevato da alcuni operatori ecologici ed infilato nel sacco a pelo...

L'alba del morto vivente
Mattina di maggio. Dalla finestre dell'ostello filtra una tiepida luce primaverile e tutt'intorno risuona il canto dei fringuelli. Il sole riscalda la periferia di Zagabria, ignara del pericolo sventato. Un sacco a pelo con l'immagine della Sacra Sindone giace abbandonato sul letto del dormitorio. Fuori, nel giardino dell'ostello, su una sedia di vimini, siede un driver barbuto maleodorante di rakija. Ha un sorriso serafico e un'aria estatica quasi fosse al cospetto dell'arcangelo gabriele...

Epilogo.
"Sto bene, ho solo un leggero bruciore di stomaco".

03/05/11

[Free music for punx]
LOBOTOCRAZIA (Anarcopunk, Abruzzo) - "Storie di ordinaria lobotomia. Autore: Democrazia" (cd 2010)
[Puj] Uh, sono stato decisamente colto di sorpresa da questo album di esordio dei Lobotocrazia. Assistendo ai loro concerti, non ero mai riuscito a decodificare il sound dell'anarcopunk band abruzzese, complice la mia ubriachezza... o la loro... o forse, più verosimilmente, le precarie condizioni acustiche dei concerti punk che noi tutti frequentiamo. Questo disco, dal titolo già cult di "Storie di ordinaria lobotomia. Autore: Democrazia" e dall'ingegnosa confezione esagonale, rivela una band originale dotata di forte personalità! Poco crust, poco hc, poco stench, poco sludge (devo continuare?), ma molto anarco-grind con rullatone furibonde, chitarrine apocalittiche e una libertà compositiva/esecutiva quasi jazzistica. Sembrano i Crass che tentano di suonare una cover degli Area al doppio della velocità. Non so se mi spiego... A colpire sono le parti cantate, sia per lo stile (Caterina é un incrocio tra Eve Libertine e Burzum, mentre il batterista Pié ha uno stile tutto suo, teatrale e allucinato) che per i testi, vere e proprie riflessioni ad alta voce su temi come il nucleare, il vegetarianesimo, le multinazionali, il consumismo... Non i soliti slogan insomma. Inoltre, anche se i pezzi sono lunghi e dall struttura un po' irrazionale, trasudano ugualmente spontaneità e rabbia sincera.
Notevole é la traccia conclusiva, "Mentre ti nutri del suo cuore", una delle più efficaci e feroci requisitorie animaliste che abbia mai ascoltato! "Mentre parli, una mucca dopo aver trascorso una vita negata, attaccata ad una catena, senza aver mai visto la luce del sole, senza potersi muovere, sta per essere condotta all'uccisione. Un gancio alla sua zampa posteriore da terra la solleva, lei si scuote, si dimena, sa cosa l'aspetta, il gancio la porta tra le braccia del macellaio, una lama affilata le trapassa la gola, il sangue scorre veloce dallo squarcio del suo collo, passa per la testa attaccata ancora per poso al resto del corpo e scroscia sul biancco pavimento del macabro mattatoio... Non c'é differenza, ad ucciderla é stata la tua indifferenza, mentre ingoi la sua carne e ti ingozzi delle sue viscere... ".
Stesso discorso vale per il pezzo doom-grind "Vestito di bianco sul trono dorato", furioso attacco anticlericale: "la chiesa cattolica e il suo sommo papa dichiarano di professare una religione basata sull'uguaglianza, la vita e l'amore, ma se sono davvero questi i vostri principi fondamentali sono troppe le cose che non riesco a spiegarmi... il papa di bianco vestito ricorda che chi ha fede non deve porre domande e, per ribadire il concetto, la sua unica preoccupazione é di ripristinare la messa in latino..."
Anche se qui non c'entra niente, segnalo che la chitarrista Caterina, assieme
ad Ale dei Terrorwave e Anchilostoma, cura un simpaticissimo blog intitolato "Rabbia in cucina" che propone ricette vegan in stile crust con tanto di accompagnamento musicale e ottime foto che fanno venire fame solo a guardarle.
Detto questo, scarichiamo da qua sotto il cd dei Lobotocrazia e speriamo che i tre continuino su questa strada, che lascia presagire una brillante carriera nel mondo della musica. O no?

>>> Download LOBOTOCRAZIA -
"Storie di ordinaria lobotomia. Autore: Democrazia" in .mp3 + complete art scan (.rar - 53 mb.)