13/04/10

[Kalashnikov collective live!]
27/2/2010: Kopi @ Berlin (Germania) - 20 years party!
Nessuno di noi ha mai amato le feste di compleanno: roba di bicchieri di carta con il nome scritto a pennarello, aranciata amara, presenti sempre presenti e regali raramente regali. Se il compleanno però è del Kopi, il discorso cambia. Eh! L’invito all’evento celebrativo dei 20 anni di esistenza, prima clandestina oggi un po’ meno, del celebre mega-squat berlinese ci giunge inaspettato lo scorso gennaio: un evento faraonico, una quattro-giorni ultra-rovina, una Woodstock senza pantaloni a zampa e foulard, ma con jeans aderenti neri e cartucciere.
La preparazione del viaggio, soprattutto se rapportata a certe nostre trasferte (tipo Russia o Grecia), appariva puerile, come prendere l’autobus sotto casa. Il piano era per giunta banale nella sua linearità. Sentite qua: partiamo in furgone venerdì mattina, suoniamo la sera a metà strada in Germania, sabato arriviamo a Berlino, la sera suoniamo, domenica torniamo indietro, concerto a metà strada e lunedì siamo a Milano.
Come al solito, più i nostri piani paiono riusciti nella mente, più risultano fallimentari nella realtà. Risulta infatti impossibile trovare date in Baviera, dato che tutti i punx della Germania, in quella settimana, confluiranno a Berlino. Inoltre, emergono dal nulla svariati problemi organizzativi, che naturalmente i nostri piani non contemplavano. Ci ritroviamo quindi a rivalutare l’idea di abbandonare il mezzo gommato e percorrere i 1.100 che ci separano dalla capitale tedesca con il mezzo più costoso ed inquinante al mondo: l’aereo. Facciamo un mutuo decennale e compriamo i biglietti. Partenza Venerdì pomeriggio e ritorno domenica sera: un tranquillo week end di paura…

Giorno 1:
I nostri check in aeroporto sono sempre funestati da interminabili discussioni con gli impiegati delle compagnie aeree, i quali, alla vista degli strumenti, ed in particolare di synth o expander, sospettano di trovarsi di fronte a dirottatori di Al Quaeda. Purtroppo la foto sulla carta d’identità di Puj, drammaticamente simile a quella di uno dei kamikaze dell’11 Settembre, non aiuta. Atterriamo a Berlino e dopo la consueta scarpinata modello via crucis con chitarre-crocefissi sulle spalle, raggiungiamo la desolatissima Kopenicker strasse, dove sorge il Kopi, appunto. La zona è piuttosto degradata e pare il set di un film post-atomico, ma è normale: all’epoca della DDR, lungo questa strada correva il muro di Berlino e, benché oggi Kopenicker strasse sia praticamente al centro della città, a quei tempi era una zona di confine, posta ai bordi di una terra di nessuno tra l’est e l’ovest, chiamata Striscia della Morte.
Vegan-burger in un localino di Kreuzberg e ci tuffiamo nella bolgia. La fila all’entrata del Kopi è degna del concerto di Madonna, solo che al posto delle ragazzine urlanti ci sono amabili punx provenienti da tutta Europa (isole comprese). Lo squat è come sempre imponente: una palazzina su più piani con un ampio cortile interno, una palude costellata di sabbie mobili (che mieteranno alcune vittime nei giorni a seguire). Il supermercato dell’anarcopunk è a pieno regime: sale a tema, tre, quattro concerti in contemporanea, cibo a bassa costo, decine di bar sparsi in ogni anfratto, un oceano di birra. A proposito: soffriamo un po’ l’assoluta mancanza di alternative alla birra, ma, dopotutto, questa è la Germania.
L’affluenza è enorme, al punto che si viene trasportati dalla folla e il libero arbitrio è ridotto al minimo: la corrente ci trasporta di sala in sala, basta non opporre resistenza ed essere tempestivi nell’ordinare una birra quando ne capita l’occasione. Incontriamo i mitici Kava e Katta degli Infamia (Modena anarco-punk). Vaghiamo qua e là finché la nostra attenzione viene rapita da un non ben identificato gruppo kraut-punk nel sotterraneo (uno scantinato umidissimo) che fa letteralmente esplodere d’entusiasmo i presenti. Sarta, satanico come sempre, con cappello e sciarpa di lana nonostante il clima tropicale, solleva il povero Claudio per uno stage diving kamikaze con soffitto basso. Incredibilmente il nostro ne esce indenne, salvo poi accorgersi, una volta emerso dall’Ade, di aver perso il cellulare. I lettori affezionati ai nostri reportage sanno dell’hobby di Claudio di seminare indumenti, accessori, neuroni ed anni di vita in giro per l’Europa, ma questa volta la responsabilità è da addebitare al diabolico Sarta (vade retro sa(r)tana); ma anche sarta ha un cuore, quindi si fa strada nel pogo, strappa il microfono dalle mani del cantante e in ubriachese biascica “If someone find a cellular phone, give us!”. Tutti allora si domandano perché un tizio italiano abbia così urgentemente bisogno di un phon; altri, riconoscendo in Sarta un vecchio compagno trombone, ne liquidano l’intervento bollandolo come il solito “italian political bla bla bla”.
Ad un’ora ormai indefinita quando l’oggi diventa ieri, e il domani oggi, torniamo in ostello, per consolare Claudio con un triplo, mortifero, giro di sambuche. Claudio passerà la notte avvinghiato alla tazza del cesso.

Giorno 2:
Freschi come mutilati della Grande Guerra ci godiamo un giorno da turisti con pranzo luculliano a Friedrichshain e shopping di vinili da un euro. Per gli appassionati, questo è quello che è riuscito ad acquistare quel pervertito musicale di Puj: primo album del pianista reazionario Richard Clayderman con copertina poster, doppio album del cantautore Adamo in edizione tedesca, un vergognoso 45 giri funky-disco d’epoca dance. Dopo la giornata di relax, si torna al Kopi, tra l’altro, per suonarci. La situazione è a dir poco incasinata, non si capisce un gran cazzo, non troviamo nessuno che ci dica che cosa fare. La solita situazione “autogestita”, diciamo. Claudio, nel frattempo, ha ritrovato il telefono, o meglio ciò che ne resta: un grumo marrone con impresso il disegno di una suola carroarmato. La parte posteriore manca totalmente ma, miracolo, la scheda è salva! Tutto è bene ciò che finisce bene…
Prima di noi il cartellone prevede un “Karaoke Punk”. Fino alla fine abbiamo sperato che non si trattasse di quello che tutti immaginavamo. Poi abbiamo capito: si trattava di quello che immaginavamo. L’accostamento di “punk” e “karaoke” è un ossimoro, dato che il punk dovrebbe essere, in fondo, un rifiuto delle logiche che stanno dietro al karaoke. Insomma, viene voglia di urlare: Fatevi i pezzi vostri! Ci aspettiamo che da un momento all’altro salga sul palco un Fiorellen qualsiasi, ma dobbiamo accontentarci di qualcosa di comunque molto simile: un simpatico tamarrone vestito da gelataio che introduce tutti gli aspiranti cantanti con modalità da balera. Scorrono faticosamente svariate cover che tracciano la storia del genere: dai Gorilla Biscuits ai Discharge, dai 7 Seconds ai Dead Kennedys, dai Motorhead ai Judas Priest… l’entusiasmo del pubblico tedesco è al livello di finale di coppa del Mondo. Dopo circa due ore mezza di tortura, con tempi morti degni del festival di Sanremo, finalmente, alle tre passate, saliamo sul palco!
Incredibilmente, il nostro live si rivela all’altezza e la partecipazione degli astanti è fantastica. Ci sono ragazzi tedeschi che conoscono i pezzi e tanti italiani. La palma del migliore tra il pubblico va ad un ragazzo di Piacenza che ci accoglie con un “vaffanculo milanesi di merda!”, e che cadrà un trentina di volte sul pavimento viscido di sudore, birra e fango, facendosi saltare un incisivo. Dopo un iniziale smarrimento raccoglierà il dente e se lo infilerà in tasca.
Terminato il concerto, alle quattro del mattino, in un’atmosfera di totale delirio, ci attende l’ormai usuale siparietto dell’ubriaco che chiede di potersi esibire con la chitarra trasparente di Puj. Ci “godiamo” quindi una “Hey Jude” extended version di venti minuti. Ormai la piega alcolica della serata è inarrestabile, è tardissimo e nel cortile non si contano i morti riversi nel fango. Decidiamo di accomiatarci, torniamo in ostello e sveniamo. Tutti eccetto Claudio. Il pazzo, non pago, torna al Kopi, e si becca il bis del Karaoke punk che si tiene nel sotterraneo. Tornerà all’alba, laureato cintura nera di Karaoke…

Giorno 3:
Ci svegliamo in condizioni da polo geriatrico. In tarda mattinata ci spariamo un giro al mercatino delle pulci di Mauerstrasse con gli amici Infamia. Tra un vin brulè e l’altro, Puj non resiste ancora una volta al richiamo dei vinili da un euro. Questa volta si rende ridicolo acquistando nell’ordine: una compilation di cantanti soul anni ’70 cadute in disgrazia, un terribile musical rock tardo-comunista e un doppio vinile con i successi pop della Germania Est del 1986. La giornata è uggiosa e ci concediamo un falafel regale, seduti in un localino di Prenzlauer Berg, prima di caricarci in spalla i nostri poveri averi e dirigerci verso l’aeroporto di Schonefeld.
Dopo tre giorni intensi tutti casa e Kopi riflettiamo su questa incredibile festa di dimensioni bibliche che ha richiamato ragazze e ragazzi da tutta Europa e, soprattutto, sugli ettolitri di birra consumata. Il compleanno del Kopi è stato un evento enorme, impensabile per le dimensioni e gli spazi della nostra scena DIY, con migliaia di partecipanti, nel quale il discorso politico è rimasto sullo sfondo e la circolazione di denaro è stata impressionante. Le dimensioni ciclopiche dell’insieme hanno reso tutto caotico e dispersivo, e di conseguenza anche il messaggio che si voleva trasmettere è risultato un po’ confuso. Tuttavia una partecipazione di massa, un simile entusiasmo e un’organizzazione così imponente, hanno reso l’idea di una cultura molto forte capace di accomunare davvero le persone, aldilà dei vincoli di amicizia e di conoscenza che le legano. Certo è che noi preferiamo realtà più umane, dove non bisogna fare una fila di un’ora per pisciare. Ah, ah, ah!