26/09/14


[we talk about...elettroshock!]
Collettivo Antipsichiatrico A. Artaud, "Elettroshock. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute", Sensibili alle foglie, Cuneo 2014
[Sarta] Pubblichiamo qui sotto un breve comunicato degli amici del collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, autori dell'interessante libro intitolato "Elettroshock: la storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute" che trovate scaricabile in fondo al post. Si tratta di un notevole lavoro che dimostra ancora una volta come il pregiudizio psichiatrico costituisca ancora oggi un potente quanto violento strumento di controllo sociale e repressione da parte dello Stato.
 
Nato nel 2005, il collettivo si propone come gruppo sociale che, costruendo occasioni di confronto e di dialogo, vuole sostenere le persone maggiormente colpite dal pregiudizio psichiatrico. Il Collettivo si riunise il martedi, a Pisa, con cadenza settimanale. Il nostro impegno consiste, innanzitutto, nell’osservazione e nell’analisi del ruolo sempre più ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, ponendo particolare attenzione alle modalità e ai meccanismi attraverso i quali essa si espande sempre più capillarmente e trasversalmente. Questo lavoro di analisi e di denuncia è accompagnato da iniziative volte alla diffusione di cultura antipsichiatrica come, ad esempio, la presentazione di libri, opere teatrali, film, video, incontri e dibattiti. Oltre a questo siamo dotati di un telefono cellulare dedicato alle persone che hanno la necessità di contattarci in caso di emergenza psichiatrica o semplicemente per confrontarsi, avere dei consigli o essere ascoltate. Allo stesso modo veniamo contattati da diverse persone attraverso il nostro indirizzo email. Riteniamo fondamentale avere sempre presente i due diversi piani su cui si fonda la nostra attività.

Un piano è innanzitutto quello politico, attraverso le forme che sono proprie del collettivo, mentre l’altro è quello della relazione e del sostegno alle persone che richiedono il nostro aiuto. È nel piano della lotta politica che possiamo portare avanti le nostre istanze, misurarci con le nostre forze ed eventualmente raggiungere degli obiettivi. Riguardo invece il sostegno diretto alle persone che ci contattattano, possiamo dire che solitamente è azione di informazione riguardo ai trattamenti in corso, le loro conseguenze e i loro effetti collaterali, unita spesso alla denuncia degli abusi ai diritti dei pazienti stando alle poche garanzie che la Legge Basaglia prevede. 

"Elettroshock"
In relazione ad entrambi i nostri piani di intervento abbiamo scritto e pubblicato un saggio socioanalitico. Il libro si intitola "Elettroshock: la storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute". Propone un viaggio nella storia delle shock terapie, che precedono e accompagnano l’applicazione della corrente elettrica al cervello degli esseri umani, per provocare uno shock, ritenuto appunto “terapeutico”. Ripercorrendo la storia dell’elettroshock (dal 1938, anno della sua invenzione, fino alle vicende più attuali come la dichiarazione di incostituzionalità nei confronti dei tentativi di vietare tale pratica) si cerca di mettere in luce quei meccanismi che hanno garantito la sopravvivenza della terapia elettroconvulsiva nel corso dei decenni. Documentiamo come l'elettroshock non sia un metodo desueto, ma tutt'ora utilizzato in Italia dove viene praticato in più di novanta strutture pubbliche e private. Per sfatare il mito che le shock terapie, comprese quelle elettroconvulsive, siano barbarie di altri tempi, proponiamo le testimonianze di persone in carne ed ossa, vive e vegete, che sono state sottoposte all’elettroshock.

Questo lavoro vuole essere soprattutto uno strumento per ampliare la riflessione e il confronto sul delicato tema dei metodi terapeutici ai quali le persone, soprattutto quelle vittime di etichette psichiatriche, vengono costrette, il più delle volte senza esserne nemmeno informate. Siamo partiti raccogliendo le narrazione di persone che hanno subito questa terapia; l'ascolto e la lettura di queste testimonianze ci ha permesso di capire come la psichiatria utilizza questo dispositivo; cioè senza il consenso informato, per cancellare la memoria, come punizione e tortura.

E soprattutto abbiamo concluso lasciando aperte alcune questioni: perché questo trattamento medico, utilizzato in passato come metodo di annichilimento dell’umano, come strumento di tortura, come mezzo repressivo contro la disobbedienza, non viene dichiarato superato dalla storia? È sufficiente l'introduzione della anestesia totale per rendere più umana e dignitosa e legittima la sua applicazione? Possono dei benefici temporanei, che per avere effetto devono comunque essere accompagnati dall’assunzione di psicofarmaci, essere un valido motivo per usare questo trattamento? Si possono ignorare gli effetti negativi dell’elettroshock?

Ci teniamo a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una tortura, una violenza, un attacco all'integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche, l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. La nostra attività collettiva, diretta alla difesa dei diritti umani all'interno dell'istituzione psichiatrica, attualmente prosegue la sua battaglia proprio contro quelle forme coercitive come il TSO (trattamento sanitario obbligatorio), e per l’immediata chiusura dei manicomi criminali (gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari).


Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org

22/09/14

[we talk about...homo comfort!]
Stefano Boni “Homo comfort: il superamento tecnologico della fatica e le sue conseguenze”, Elèuthera 2014
[Sarta] "La diffusione della comodità – secondo quanto scritto da Stefano Boni nel bellissimo libro che vedete qui a fianco – è una chiave di lettura per spiegare la sostanziale adesione di parte della popolazione mondiale al modello sociale capitalista iper-tecnologico-produttivo, che si sta rapidamente estendendo su scala globale. I bassi livelli di conflittualità interna nelle società occidentali non si possono spiegare solamente con lo strapotere dei mass media nella creazione del consenso, con l'esasperata frammentazione sociale o l'efficacia e la capillarità della macchina repressiva; oppure ancora con il restringimento degli spazi di autonomia della cittadinanza, ormai prossima alla completa zombificazione di romeriana invenzione e istericamente refrattaria a qualsiasi stravolgimento dei propri pregiudizi. Tutti questi sono certamente fattori reali, che agiscono costantemente nello smorzare ogni impeto non solo rivoluzionario, ma anche semplicemente di protesta. 

Tuttavia, tutto ciò non sembra ancora sufficiente a spiegare il perché, nonostante la percezione sempre più diffusa della catastrofe ambientale imminente e la sempre più evidente crudeltà dell'attuale sistema, siamo ancora così docili rispetto al potere costituito. E cos'è questo “qualcosa” che ci manca? Il tassello fondamentale, che l'autore del libro ci suggerisce per completare o perlomeno arricchire il ragionamento, è l'anelito alla comodità. Sviluppando una ricerca ossessiva del comfort in ogni ambito del nostro quotidiano, spinti dai messaggi più o meno subliminali di pubblicità e stili di vita creati ad hoc, ci siamo tutti “evoluti” da Homo Sapiens a Homo comfort. Cerchiamo case sempre più pulite, asettiche, con zanzariere, finestre con doppi e tripli vetri, riscaldate e climatizzate, con elettrodomestici per cucinare senza sforzo, pulire facilmente e infine svaccarci su divani comodi davanti a televisori giganti con l'aiuto di computer, tablet, smartphone coi quali interagire con facilità, semplicemente sfiorando lo schermo. Senza contare la grande comodità di poter evadere da pensieri scomodi attraverso aperitivi, serate al pub o al ristorante con gli amici, giornate a fare shopping o pomeriggi a teatro o al cinema. Ed è così che “Homo comfort – scrive Stefano – si assoggetta facilmente: al potere politico egli preferisce una sudditanza confortevole e volontaria”. L'unica sua preoccupazione è semmai legata al potere d'acquisto, in quanto direttamente proporzionale alla possibilità di incrementare il proprio livello di agio e benessere.

Partendo da questa intuizione, l'autore del libro ci accompagna in un percorso analitico dei nostri stili di vita, delle nostre condotte e delle ripercussioni che esse hanno sui nostri sensi e sul nostro sviluppo intellettuale. Cerca di indagare l'uomo contemporaneo occidentale – da sincero antropologo – come se lo vedesse per la prima volta, per vie esterne, con lo sguardo sorpreso di chi osserva qualcosa che gli è estraneo.

Tanti sono i temi che emergono a partire dallo spunto iniziale. Innanzitutto il progressivo appiattimento dei nostri cinque sensi rispetto a quelli degli uomini anche solo di due o tre generazioni precedenti: se facciamo eccezione della vista, l'olfatto, il gusto, l'udito e il tatto si sono decisamente impigriti. Spesso non siamo più in grado, ad esempio, di valutare con esattezza lo stato di conservazione dei cibi, affidandoci supinamente alla data di scadenza riportata sulle scatole degli alimenti preconfezionati, oppure di riconoscere gli odori o di svolgere lavori artigianali. Siamo spesso vittime di allergie e intolleranze. Di conseguenza, tendiamo a “schermarci” dalla natura dentro abiti puliti, disinfettati con prodotti chimici ed altrettanto facciamo con gli ambienti chiusi e asettici dove passiamo le giornate, disinfestati dagli insetti, senza odori e sempre più spesso climatizzati tecnologicamente. L'esperienza della natura è, per chi lo desidera, circoscritta a determinati momenti: la gita in montagna o in campeggio, il viaggio nella località esotica. “L'organico” è qualcosa di antigienico, che provoca un istintivo sentimento di repulsione. Le superfici che calpestiamo con i nostri piedi, protetti da scarpe, sono sempre lisce e ben levigate, tanto che troviamo perfino doloroso camminare a piedi nudi sui sassi o sulla nuda terra. L'isterismo che si impossessa di molti di noi alla comparsa improvvisa di insetti volanti o alla vista di piccoli ragni o topi, è un fenomeno relativamente recente.

Tutto ciò non sarebbe necessariamente un male se non ci fossero sullo sfondo la catastrofe ambientale e la guerra che l'umanità conduce quotidianamente nei confronti del pianeta che abita: lo sfruttamento avido delle risorse del territorio e l'iper-produzione di beni e servizi sono necessari alla sopravvivenza di homo comfort. Il suo stile di vita è irrimediabilmente consumistico e non potrebbe essere altrimenti. Nonostante sia ormai diffuso il pensiero che tale condotta sia insostenibile da mantenere anche solo per qualche decennio ancora - perlomeno su questo pianeta - egli non ha alcuna intenzione di riflettere sulle conseguenze delle sue azioni o - blasfemìa! - di ridurre il livello dei consumi o il grado della sua comodità, avvolto com'è da una coltre di indifferenza nell'agio del suo divano di casa o stordito dall'ennesimo sabato sera di eccessi.

Che fare dunque? Beh, mica posso riassumervi tutto...che ne dite di leggere il libro? Io intanto vi metto qui sotto una canzone del grande gruppo prog “Il Balletto di Bronzo” dal titolo "La tua casa comoda", che magari vi può ispirare, eh,eh, eh..."


11/09/14

[We talk about...]
Sullo sgombero del Telos!
Ieri, all'alba, dopo cinque anni dall'inizio dell'occupazione, è stato sgomberato il Telos di Saronno. Non abbiamo intenzione di scrivere il solito amarcord, né la solita invettiva militante, anche perché il nostro rapporto con il Telos non ha mai avuto nulla di retorico o ideologico. C'è da sempre stata soltanto grande affinità e tanto banale affetto. Non ci ricordiamo quante volte ci abbiamo suonato, registrato dischi e quante volte abbiamo condiviso momenti con le ragazze e i ragazzi che hanno animato quel posto, ma sicuramente abbiamo ricordi bellissimi per ognuna di quelle volte. E soprattutto non vogliamo scrivere un necrologio, perché sappiamo che la storia non finisce qui.
Il nostro incontro con i telosini è avvenuto qualche mese prima l'occupazione di Via Milano, quando fu squattata una vecchia area industriale in via Concordia, sempre a Saronno. Era il settembre del 2008: per festeggiare e tenere alto il morale dopo un paio di settimane di occupazione, in fretta e furia fu organizzato un concerto nello sterminato capannone. Sembrava di suonare in un hangar, il suono tornava indietro stonato e distorto, non si capiva un cazzo di niente, ma noi eravamo contentissimi! 


 

Il posto fu sgomberato di lì a poco e sempre di lì a poco (marzo 2009) fu preso lo stabile di via Milano che tutti/e conoscete. All'inizio i concerti si svolgevano nella saletta del primo piano: bastavano cinquanta persone per creare un vero e sublime caos. Poi, nel 2011 fu aperto il piano terra e allora lì lo spazio sembrò di coplo sterminato. Tanto che il suono si disperdeva creando nuovamente l'effetto hangar...



In occasione della festa di Halloween di quell'anno, un manipolo di punk col trabattello (Kalashnikov + Kontatto) si preoccupò di realizzare una (non così tanto) encomiabile opera di insonorizzazione della sala utilizzando cartoni recuperati nella spazzatura...

  

E basta, il resto è storia... 



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E la storia non si ferma. Va avanti e segue direzioni imperscrutabili. Certo, per ora, è che i ragazzi e le ragazze del Telos, con le loro uniche forze, andando contro tutto e tutti, animati dal semplice e umano sentimento di autodeterminazione, hanno costruito in questi anni qualcosa che i politici, i funzionari e gli amministratori saronnesi (e di ogni altro luogo) si devono accontentare di sognare; vedendola in una certa prospettiva, un successo clamoroso. Che ridere e che piangere vedere poi tutti prendersi la paternità e i meriti di questo sgombero epocale che "finalmente ha riportato la legalità a Saronno". Fossimo in loro non saremmo così contenti perché l'eccezionale portata elettorale dell'affaire Telos ora è svanita e saranno costretti ad inventarsi qualcos'altro per mendicare consenso. E la fantasia non è certo dalla loro parte.
Al posto del Telos che cosa verrà quindi dato alla popolazione saronnese? L'ipotesi più accreditata allo stato attuale è... una strada. Sì, una strada tra Via Varese e Via Milano dicono i proprietari dello stabile, e se capita  pure "un'area commerciale artigianale con esposizione" (?). Però è tutto da vedere, perché il Comune deve concedere un bel po' di spazio gratis e alla fine si litigherà per mesi, forse anni, tra promesse e inciuci, così nemmeno la strada si farà. Ah! C'è stato tempo fa un tale che ha proposto di costruire al posto del Telos un parco giochi per bambini ispirato a Peppa Pig. Sfortunatamente questo tizio non è un cartone animato come Peppa Pig, ma l'aspirante sindaco di Saronno in carne ed ossa. (Parentesi. Chiedetevi: che appeal può avere nel 2014 un parco giochi ispirato agli Snorky o ai Barbapapà? Lo stesso che potrà avere nel 2040 un parco giochi ispirato a Peppa Pig, che per i bambini dell'epoca sarà presumibilmente un'entità anonima e misteriosa. Non è un dettaglio banale: è sintomatico della clamorosa mancanza di lungimiranza di certe persone che hanno ambizioni politiche e che si renderanno responsabili di sprechi, infelicità, degrado ambientale e disastri sociali).  

Insomma: spazzati via i ragazzi e le ragazze, giovani e meno giovani, che si agitavano in un coacervo di passione, vita, solidarietà, arte e cultura, chi irrompre sulla scena? Gli ideologi dello spazio spazzatura, gli utopisti delle strade sgombre, gli inventori dei Comi-point, i profeti dei centri commerciali con l'aria condizionata; dove sicuramente si terranno happening d'arte, concerti di musica d'avanguardia, letture di filosofia, dibattitti su temi d'attaulità, cene popolari, proiezioni di film d'autore, reading di poesia, registrazioni di dischi, workshop di autoproduzione, occasioni di reale integrazione e socialità...  tutte cose, come tante altre, che al Telos c'erano.
Va riconosciuto però che tra i nuovi protagonisti sulla scena c'è anche chi mantiene uno sguardo sobrio sulla realtà: il Telos era quello che era, ma rappresentava anche la risposta ad una reale esigenza di "aggregazione giovanile"; quindi "per i giovani si mettano in atto politiche adeguate, si trovino spazi per i ragazzi affinché possano incontrarsi ed esprimere la loro creatività, ma nella legalità, nel rispetto delle regole". 

Il problema è: chi li vuole i vostri centri di aggregazione giovanile? Nessuno. Perché sono dei posti tristi. Perchè sono vostri, c'è il vostro odore dentro. Quell'odore di opportunismo, di piaggeria, di mani sfregate. Lo sentite? Per questo ci sarà sempre qualcuno che occuperà un telos qualsiasi, perché voi evanescenze grige, voi riflessi nei vetri, voi nomi in calce, voi file jpeg sgranati stampati sui muri delle città in stagione elettorale, non siete in grado di capire che cosa cova nell'animo di chi ha una passione bruciante senza nome, tutta rivolta in avanti, negli spazi sterminati e selvaggi del futuro. C'è chi ha altre ambizioni, altre aspettative. C'è chi non si accontenta degli avanzi freddi e masticati del banchetto, leccati da terra, tra i vostri rutti e le vostre scorregge, ma vuole gioire di cibi squisiti, succosi, esotici, inusitati, afrfodisiaci su spiagge siderali solcate da tramonti di fuoco. 
I saronnesi sono così ingenui da convincersi che senza il Telos tutti i problemi della città possano svanire come al risveglio da un brutto sogno e mettere la croce sul vostro nome? Può darsi, ma l'inganno è da sempre la pietra tombale dei politici.
Lunga vita quindi a chi se la può permettere: LUNGA VITA AL TELOS!

07/09/14

[We talk about...]
Siam del popolo gli arditi. Documentario di Andrea Motta e Paolo Rasconà.
[Ci siamo imbattuti per caso nel documentario che vi presentiamo qui sotto e l'abbiamo trovato interessante. Purtroppo però, non si tratta di qualcosa che troverete in giro sulla rete e tantomeno potrete acquistarne una copia in qualche centro commerciale! Quindi...come fare per vederlo? Beh, provate a contattare gli autori a questo link!]  

Sinossi: "Fondati per iniziativa di Argo Secondari, ex-tenente dei reparti d'assalto durante la prima guerra mondiale, nel 1921, gli Arditi del Popolo furono la prima espressione di resistenza popolare che si oppose con ogni mezzo al neonato squadrismo mussoliniano. Sconosciuti ai più, rappresentano uno fra gli eventi  salienti del 1921 con cui tutte le forze politiche di allora furono costrette a confrontarsi. Nati in continuità con l'arditismo di trincea in breve tempo si diffusero in tutta Italia ottenendo l'adesione di migliaia di lavoratori, di varia tendenza politica, che videro il fenomeno come un efficace strumento di opposizione al fascismo".

L'anarchico Errico Malatesta con gli Arditi del Popolo
[Pep] Il film che il K.C.H. presenta ai suoi lettori è una significativa occasione per sondare le occulte relazioni tra la storia dei movimenti anarchici e il presente delle lotte politiche e sociali. Non si tratta di un'archeologia del nostro presente, che compensi le molte obliterazioni che dagli anni '80 hanno colpito la memoria dei movimenti radicali, ma piuttosto della messa in opera di una strategia audiovisiva per far risuonare e infine esplodere nel nostro presente la realtà rimossa di un passato, la cui incongruenza non solo con l'oggi, ma anche con la parte egemone dei movimenti antagonisti storici, ne ha stabilizzato la latenza. Andrea Motta e Paolo Rasconà ricostruiscono infatti la vicenda degli Arditi del Popolo, inizialmente capeggiati da Argo Secondari (che, con espressione dalle risonanze psichiatriche, all'epoca, fu definito “di tendenze anarchiche”): essendo gli Arditi del Popolo area socialista e anarchica del complesso fenomeno militare dell'arditismo. La modalità concettuale dell'obliterazione è stato infatti il destino che ha colpito la vicenda di Secondari e degli Arditi del Popolo, una lotta antifascista misconosciuta che tentò di scongiurare l'avvento del totalitarismo in Italia, facendo leva su di una dimensione sociale eccedente quella del radicalismo di sinistra ideologicamente concepito: l'ormai misconosciuta solidarietà di classe, da sempre temuta da qualsiasi dirigista rivoluzionario.
L'opera di Rasconà e Motta è dunque primariamente la produzione di una riflessione linguistica sulle modalità di oblio e di obliterazione storica: di cui è configurata quindi la reazione linguistica. Queste ultime nella storia dei movimenti antagonisti vanno situate par excellence nel tornante storico, gli anni '80, in cui si delinea il silente tentativo di mettere in opera un rapporto archeologico con gli anni '70, in luogo di una pertinente storicizzazione, peraltro, dato il breve giro d'anni trascorso, ampiamente prematura: di qui la necessità strategica di rimpiazzarla con una paradossale quanto mistificatoria procedura di ri-lettura archeologica. Va rilevato come quest'ultima possa facilmente presentarsi in quanto archiviazione, cioè costruzione e applicazione di una procedura concettuale pseudo- storiografica, e infine anti-storiografica, in cui la lettura de-attualizzante assume le forme specifiche della reificazione: pervenendo ad un esito de-storicizzante, o più propriamente de-storificante, secondo il linguaggio critico di Franca Ongaro e Franco Basaglia, che colgono tali processi nel loro livello inter-individuale, con primario riferimento alle istituzioni prisonizzanti. 



Barricate degli Arditi del Popolo a Parma
Il film di Rasconà e Motta si configura dunque come terapia cognitiva contro tali processi concettuali, di cui il dispositivo cinematografico è inavvertito portatore, e che il cinema anarchico deve portare ad un livello di trasparenza per via indiretta o reattiva: evidenziandone il situarsi strategico nei livelli del mezzo cinematografico socialmente investiti di un'asserita neutralità, financo quelli tecnologici. Così si esprime infatti, con un più basilare riferimento alla fotografia il più radicale e spregiudicato fotoritrattista e cineasta anarchico italiano, Pino Bertelli, a riprova della sua profonda auto-consapevolezza teorica, nel suo saggio dedicato a Diane Arbus, la luciferina fotografa statunitense (da Bertelli ri-nominata “L'angelo nero della fotografia”), che ha prodotto il deragliamento della pratica fotoritrattistica dai suoi predominanti paradigmi identitari, fino trasformarla nel crogiuolo demoniaco di un'identità espansa che sovverte le pretese auto-identitarie dei soggetti: “La storia della fotografia è storia di prostituzioni e truccherie che i padroni del flusso iconografico hanno portato contro tutto quanto si poneva di taglio ai loro profitti. Ogni conoscenza obbligatoria passa sull'assassinio della verità e l'inverno della ragione cancella gli sguardi dell'indicibile e le lingue dell'interrogazione”. Nel film di Rasconà e Motta, tramite l'abissale trasparenza del susseguirsi delle immagini del'epoca e di quelle contemporanee, ogni livello diacronico della visione scompare e riappare nel successivo, facendo trasparire e baluginare il passato del movimento radicale di Argo Secondari attraverso l'opacità apparente del nostro presente urbano. Quello di Rasconà e Motta è dunque un cinema linguisticamente impegnato nello smascheramento attivo e contro-mistificante dei processi di reificazione, che attraversando le dinamiche interindividuali, ricompaiono sul piano più ampiamente diacronico, a danno di interi soggetti storici, in questo caso il movimento capeggiato, o per più puntualmente e più provocatoriamente dire, catalizzato da Argo Secondari: un cinema il cui risvolto è infine la perturbante decostruzione dei processi identitari nel loro dispiegamento sociale. Così scrive con puntuale ironia il filosofo Pier Aldo Rovatti, continuatore delle tesi di Franco Basaglia e Michel Foucault: “Lo stesso Foucault ha scritto una volta che ogni società si può giudicare dal modo in cui organizza e vive il rapporto con l'altro. Come se ogni società avesse bisogno di costruirsi una realtà e un fantasma della diversità per costruire e mantenere la propria identità. Come se non potessimo avere un'identità senza mettere in atto qualche meccanismo di identificazione ed esclusione di coloro che sono diversi da noi. Dimmi chi sono per te i diversi e come li escludi e ti dirò chi sei. Appunto, e noi chi siamo? Bella domanda”.